Restiamo su un tema caldo, anzi caldissimo, stavolta sentendo la “voce” del Giudice amministrativo, che ha dichiarato legittima l’esclusione dalla gara d’appalto di un concorrente che applicava un contratto inadeguato sotto il profilo salariale.
Si parla dunque di Contratti eccessivamente “poveri”, e degli effetti che l’applicazione di questi ultimi (pure sottoscritti spesso dalle Oo.Ss. comparativamente maggiormente rappresentative) ha sulle gare d’appalto: il Tar Lombardia, con sentenza n. 2830 del 28 novembre 2023, ha confermato la linea del Consiglio di Stato e, sul versante della magistratura ordinaria, della Cassazione, che con una serie di recenti sentenze ha nei fatti sconfessato i Ccnl con paghe sotto la soglia di dignità.
Ma c’è di più, come si accennava. Stante che la competenza del Giudice Amministrativo concerne la legittimità degli atti della PA, appare interessante la previsione della possibilità di esclusione da una gara pubblica di un soggetto che presenta un’offerta economica nella quale il costo del lavoro viene stimato utilizzando un contratto collettivo che non assicura ai lavoratori una retribuzione conforme ai principi di sufficienza e proporzionalità previsti dall’articolo 36 della Costituzione.
Nella fattispecie si parla di una gara per l’affidamento di un servizio di accoglienza e reception presso le sedi di un importante Comune, a cui un concorrente aveva partecipato utilizzando il Ccnl “Vigilanza”, a parere dei concorrenti (e anche dei giudici) eccessivamente penalizzante per i lavoratori (e, naturalmente, distorsivo della concorrenza).
Spetta dunque alla stazione appaltante, in sede di valutazione della congruità dell’offerta, contemperare le esigenze della libertà imprenditoriale (che sembrerebbero aprire il campo alla scelta del contratto più confacente alle esigenze dell’impresa) e della tutela dei lavoratori (cui non si possono riservare trattamenti economici non dignitosi).
Nell’ambito di tale bilanciamento, tuttavia, un punto fermo è rappresentato dalla Carta Costituzionale, laddove al ricordato art. 36 recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
La nota dolente, come sempre, è cosa si intenda per trattamento “dignitoso”. Nel silenzio della legge (come ben sappiamo il dibattito sul salario minimo è arenato da tempo), e trattandosi molto spesso di contratti siglati da organizzazioni sindacali rappresentative, non è sempre semplice “trovare una quadra”.
Un’indicazione, seppure siano ormai trascorsi diversi anni, può arrivare dalla sentenza n. 4699/2015 del Consiglio di Stato, laddove si dice che il valore dell’offerta dei partecipanti alle gare deve essere adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro. In proposito, la legge adotta come parametro di valutazione le tabelle periodicamente elaborate dal Ministero del lavoro sulla base delle retribuzioni previste, nei vari settori, dai contratti collettivi stipulati dalle Oo.Ss. comparativamente più rappresentative. Si torna però a quei Ccnl che alle volte costituiscono essi stessi parte del problema.
Nei fatti dunque occorre procedere di caso in caso, valutando concretamente la situazione anche sulla base di contratti analoghi e affini. E molto spesso, anzi quasi sempre, sono i giudici a dire l’ultima parola. Ad esempio, nella fattispecie analizzata dalla sentenza, l’offerta economica del concorrente escluso, basata sul contratto collettivo Vigilanza privata e servizi fiduciari, risultava inferiore del 30% rispetto ai costi del personale stimati dalla stazione appaltante, che aveva considerato l’applicazione di un altro Ccnl.