Torniamo a parlare di un tema che negli ultimi anni sta assumendo connotati rilevanti in termini giuslavoristici e deontologici, per il particolare intreccio fra diritto del lavoro ed utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazioni.
L’Ordinanza della Sez. Lavoro
La Cassazione Civile – Sez. Lavoro, con Ordinanza n. 28828 dello scorso 8 novembre, si è infatti pronunciata di nuovo sul caso di un dipendente che, a mezzo social network (in questo caso Facebook), aveva espresso giudizi poco lusinghieri e considerati lesivi nei confronti del datore di lavoro.
Il contenuto del post
In particolare, nel post comparso sulla bacheca dell’interessato si invitava a vedere una fiction relativa alle malattie -professionali e no- e ai decessi causati dalla vicinanza di uno stabilimento affine a quello in cui lavorava il dipendente: il caso è facilmente estensibile a tutte le fattispecie considerate lesive dell’immagine e della reputazione datoriale, eccedenti il diritto di critica. Nel frattempo un nuovo datore rilevava lo stabilimento (un caso analogo a quello che, nel settore pulizie/ multiservizi/ servizi integrati, potrebbe essere rappresentato dal cambio d’appalto con subentro di nuovo appaltatore e assorbimento del personale con clausola sociale).
L’opinione della Corte
Il caso giungeva, con univoco orientamento favorevole al dipendente, fino al terzo grado di giudizio, dove gli Ermellini, con l’ordinanza in parola, confermavano che “il post del dipendente non conteneva, infatti, alcun riferimento né diretto né indiretto al suo attuale datore di lavoro, che solo di recente aveva rilevato lo stabilimento. Di talché i giudici hanno concluso che il fatto contestato è insussistente, perché non contenente nessun comportamento di rilievo disciplinare, idoneo a offendere il datore di lavoro o lederne la reputazione, giudicando inoltre superflua ogni ulteriore indagine sul contenuto eccedente il diritto di critica.
Altre volte convalidato il recesso
Non si tratta di un pronunciamento scontato: altre volte, infatti (e ne abbiamo parlato anche in questa sede), la Corte ha convalidato recessi per motivazioni analoghe: a pesare in questo caso, senza dubbio, sono stati i contenuti non direttamente offensivi, ma soltanto allusivi, nonché la circostanza che, nel frattempo, al vecchio datore di lavoro ne fosse subentrato uno nuovo totalmente estraneo alle vicende contestate.
Auspicabile una “netiquette” più stringente e condivisa
Il suggerimento che ci sentiamo di dare, tuttavia, è più ampio e riguarda, in generale, l’utilizzo dei social network: se da un lato, infatti, l’impresa ha il dovere -se non altro etico e deontologico- di pesare l’effettiva gravità dei contenuti postati dai dipendenti e di rispettare il legittimo esercizio del diritto di espressione costituzionalmente presidiato, dall’altro il lavoratore dovrebbe astenersi da modalità espressive atte a ledere non solo l’immagine e la reputazione dell’impresa, ma lo stesso vincolo fiduciario indispensabile in ogni rapporto lavorativo di carattere sinallagmatico. Nell’era dei social e dei clic facili, dovremmo abituarci ad una “netiquette” più stringente e condivisa a tutela dei diritti di tutti.