Il 91% dei materiali è avviato al recupero, resiste a 75 cicli di lavaggio, impatta sull’effetto serra il 48 % in meno del monouso. Sono questi i numeri vincenti del tessuto riutilizzabile per la ristorazione ottenuti dalle analisi comparative di LCA, Life Cycle Assessment, ed LCC, Life Cycle Costing, le metodologie che rilevano rispettivamente gli impatti ambientali ed economici nelle varie fasi di vita del prodotto, dalla “culla alla tomba”, tenendo conto del ruolo delle lavanderie industriali.
I dati sono stati presentati ad Ecomondo a Rimini, la fiera divenuta punto di riferimento per nuovi modelli di economia, durante la conferenza stampa di EBLI, Ente Bilaterale Lavanderie Industriali. “Il PNRR prevede, proprio sul tessile, il primo modello di studio di HUB circolare per recuperare gli scarti tessili. Il ciclo di vita presentato da EBLI centra il modello descritto dal Piano: il tessile in uscita dalle lavanderie industriali è riutilizzato in settori diversi sotto forma di stracci o di altri prodotti. Questo asset, dunque, si prefigge lo scopo di perseguire un duplice percorso verso una piena sostenibilità ambientale: da un lato si propone di migliorare la gestione dei rifiuti con modelli di economia circolare e dall’altro realizzare progetti innovativi per la filiera del tessile che riveste il vero e proprio core dell’economia circolare. Attraverso un investimento nel riutilizzabile si contribuisce alla crescita del PIL nazionale e all’occupazione lasciando in Italia un importante valore economico che altrimenti sarebbe indirizzato verso l’estero dove si produce il monouso”, ha dichiarato Giuseppe Ferrante, presidente EBLI.
Nella fase di smaltimento, il monouso finisce per il 55% in discarica, il 45% va all’inceneritore, mentre, a seguito dei 75 cicli di lavaggi industriali, del tovagliato in tessuto solo l’8% va in discarica e un 1% è destinato all’incenerimento, il resto viene avviato a riciclo.
Sebbene la produzione di tessuto potrebbe far pensare a un maggior utilizzo di acqua, soprattutto nella fase di produzione del cotone, dal LCA risulta che dopo 57 lavaggi si ha un punto di pareggio, con il 18% in meno di consumi dopo 75 cicli di lavanderia. Rispetto al monouso, il tessuto produce il 59% in meno di eutrofizzazione e – 61% di acidificazione.
Lo studio ipotizza due scenari di conversione al tovagliato riutilizzabile in cui si nota che nello scenario minimo si arriverebbe al 12% in meno di CO2 equivalente, mentre nello scenario massimo a – 20 %. Questo si traduce in risparmio economico, rispettivamente, di 39 milioni di euro nello scenario minimo e di 71 milioni di euro in quello massimo, e in termini di costi che sostiene la collettività per riparare i danni ambientali, il 63 % in meno.
Il costo del fine vita che ricade sulla società non è subito evidente: è il prezzo che noi tutti siamo tenuti a pagare nel medio o lungo periodo per porre rimedio agli effetti delle attività antropiche. In quest’ottica è stato calcolato che il costo della raccolta e dello smaltimento del tovagliato a fine vita è di circa 374 mila euro per il riutilizzabile a fronte dei quasi 28 milioni di euro del monouso.