(tratto da: “GSA” n.12, Dicembre 2008)
Gsa intervista Gianfranco Cianci,presidente e A.D. di IPC, Integrated Professional Cleaning, per fare il punto sulla crisi finanziaria mondiale e in particolare nel settore del cleaning.
La crisi che sta interessando l’economia mondiale non ha precedenti. Neppure la grande depressione del 1929 ebbe una portata tanto devastante, pur coinvolgendo il mondo intero, sia i paesi industrializzati, sia quelli esportatori di materie prime.
Tuttavia, le due crisi hanno un’origine comune: il crollo dell’economia degli Stati Uniti e quello di Wall Street che hanno coinvolto, a catena, tutte le più importanti istituzioni finanziarie e bancarie mondiali. Una vera e propria infezione che, partita da un particolare comparto dei mutui edilizi negli USA, ha contagiato inesorabilmente paesi e settori economici anche se lontani pur sempre collegati e funzionali al sistema finanziario internazionale. I governi di tutti i paesi del mondo stanno correndo ai ripari (immettono liquidità nel sistema bancario e abbassano i tassi di interesse), tuttavia la “malattia” deve fare il suo corso e la guarigione non è ancora all’orizzonte.
È di questi giorni la notizia di un’indagine effettuata dalle banche centrali nazionali europee (Bank Lending Survey – ndr) in collaborazione con la BCE, che rivela come nel terzo trimestre di quest’anno tutte le banche d’Europa abbiano ristretto ulteriormente i criteri per l’erogazione di prestiti alle imprese. Per ora non si tratta di una stretta in termini di quantità, ma di un aumento del costo del credito che riguarda soprattutto i prestiti a lungo termine concessi alle grandi e piccole imprese.
Il ministro dell’economia Giulio Tremonti assicura che questo sconvolgimento finanziario non porterà in Italia una drammatica crisi di liquidità delle banche, con conseguente fallimento, ma genererà una recessione dell’economia reale, ovvero restrizione dei consumi e degli investimenti, riduzione dei redditi, minori profitti per le imprese eccetera.
Tremonti ha dichiarato che l’Italia arriverà alla fine del tunnel in condizioni migliori di altri paesi, proprio a causa del suo sistema bancario e per il fatto di essere un paese in cui l’industria manifatturiera è dominante rispetto alla cultura speculativo-finanziaria.
Non c’è dubbio però che il sistema industriale italiano non sia immune dal vortice che sta travolgendo l’economia globale, tanto più che l’Italia è un paese di forte esportazione soprattutto nei settori di eccellenza come quello del cleaning, che ci vede leader mondiali con una forte presenza su tutti i mercati internazionali.
IPC – Integrated Professional Cleaning, primo gruppo italiano e tra i primi al mondo per dimensioni e penetrazione dei mercati, essendo presente in oltre 70 paesi di tutti i continenti, è indubbiamente il punto di riferimento del cleaning mondiale, con sette unità produttive in Italia (ciascuna delle quali leader in uno specifico segmento di mercato), otto filiali in tutti i continenti, 1.100 dipendenti.
Abbiamo chiesto a Gianfranco Cianci, presidente e amministratore delegato di IPC di fare con noi il punto della situazione.
Dottor Cianci, a suo giudizio la crisi finanziaria che sta investendo il mondo intero è limitata agli aspetti finanziari o coinvolge anche il settore industriale?
Non c’è alcun dubbio che gli effetti della crisi finanziaria si sono riversati sull’economia reale, travolgendo con un effetto domino la maggior parte dei settori. E’ sorprendente quanto grave il ritardo con cui gli organismi monetari e di vigilanza sono intervenuti per cercare di porre rimedio alla situazione, basti pensare che la BCE fino a poche settimane fa si ostinava ancora ad indicare nell’inflazione il principale rischio, sottovalutando invece il pericolo di una recessione.
Considerata la complessità, l’ampiezza e la profondità della crisi, la ripresa richiederà tempi lunghi e il prossimo anno appare già in larga parte compresso. La situazione prima o poi si normalizzerà ma credo che tutto non sarà più come prima, dobbiamo abituarci all’idea di confrontarci in futuro con uno scenario comunque diverso da quello del passato.
La crisi riguarda anche il settore del cleaning?
«La crisi coinvolge sicuramente anche il settore del cleaning, per diversi motivi. In primo luogo, si accompagna a una crisi immobiliare che ha bloccato la crescita delle superfici, che, di fatto, è il principale driver del nostro settore. La crisi, poi, grava in particolare su alcuni comparti industriali molto importanti per l’industria del cleaning, quali, per esempio, quello dell’automotive e dell’edilizia.
Inoltre, gli effetti della stretta creditizia si faranno sentire particolarmente in un settore come il nostro, caratterizzato da una diffusa presenza di piccole e medie imprese, con una struttura finanziaria spesso piuttosto fragile. Non dobbiamo poi dimenticare che nella maggior parte dei casi l’acquisto delle macchine e delle attrezzature per la pulizia non ha una valenza strategica e quindi può essere facilmente rinviabile».
Questa la situazione a livello mondiale. In Italia, dice il ministro Tremonti, la peculiarità del nostro tessuto industriale costituisce una sorta di ombrello protettivo. Vale anche per il settore del cleaning?
«È un ragionamento condivisibile, ma ciò non toglie che le condizioni si stiano facendo difficili. La filiera italiana del cleaning ha caratteristiche intrinseche di debolezza: come dicevamo, tolti alcuni grandi gruppi industriali, le aziende del settore, per quanto sane e accortamente gestite, sono di piccole dimensioni e quindi più soggette alle fluttuazioni del mercato e più sensibili rispetto alle strette creditizie. La struttura distributiva, poi, è polverizzata, essendo costituita essenzialmente da tanti piccoli distributori; lo stesso vale per le imprese di pulizia che, a parte alcune eccezioni, sono essenzialmente a carattere familiare. Non esistono da noi i colossi in grado di operare a livello internazionale. Tutti questi soggetti sono potenzialmente a rischio.
Inoltre, non siamo ancora riusciti a fare diventare la pulizia un valore sociale, uno strumento di marketing; la pulizia è per lo più considerata un costo da tagliare e non un’area in cui investire».
Quindi per lei il quadro non è positivo…
«No, anzi, penso che il settore possa avere buone prospettive. Nel breve termine lo scenario si presenta difficile, ma i fondamentali del cleaning rimangono buoni e vi sono importanti fattori che potranno contribuire alla ripresa una volta superata la crisi. Pensiamo per esempio alla crescente sensibilità verso i valori della pulizia, ai crescenti costi del lavoro e ai conseguenti vantaggi consentiti dall’introduzione di macchine e sistemi più efficienti, alla penetrazione ancora molto bassa nei paesi emergenti. La crisi non fermerà lo sviluppo ma sicuramente ne accelererà la trasformazione. Porterà a un inevitabile processo di selezione che premierà le aziende più capaci che avranno la possibilità di conquistare le quote lasciate libere da quelle più deboli. Penso che la crisi avrà l’effetto positivo di accelerare la modernizzazione del nostro settore e aumentare l’efficienza di tutta la filiera, favorendo una maggiore e più efficiente integrazione tra le aziende industriali e quelle distributive».
Il presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso ha dichiarato che si deve trasformare questa crisi in opportunità.
«Anche a mio parere, si può trasformare questa crisi in opportunità, affrontandola però con il giusto atteggiamento. La crisi non deve diventare un grande alibi che finisce per giustificare cattivi risultati. Ne discutiamo costantemente con i miei collaboratori. Nella gravità della congiuntura ci possono essere delle opportunità. Occorre saperle vedere e cogliere, liberandosi di stereotipi culturali che, peraltro, sono inutili. Bisogna cambiare ottica, tanto più che non ci sono modelli di riferimento a cui uniformarsi. Una crisi come quella attuale non si è mai vissuta se non, con le dovute differenze, nel 1929. Ma per il nostro settore, che pure tende a essere autoreferenziale – e lo considero un difetto – non costituisce un precedente valido. In genere quando si verificano condizioni del genere si tende a ricercare soluzioni nella propria esperienza, ma in questo caso non c’è esperienza che tenga perché non ci sono precedenti. Il settore è figlio della ricostruzione seguita alla seconda guerra mondiale, del boom economico degli anni 60/70, della nascita dei paesi emergenti. Siamo nella fase che definirei di obsolescenza dell’esperienza. Per questo è importante avere un’ottica del tutto nuova, tanto più che il mondo e i mercati sono in costante evoluzione e si creeranno nuovi scenari».
Che cosa devono fare le aziende produttrici per vincere questa sfida?
«Occorre che le aziende diffondano al proprio interno la mentalità giusta, per cui non si affronti la crisi con un atteggiamento “lamentoso” o di rassegnazione, ma con la determinazione che nasce dalla consapevolezza che il cambiamento offre anche delle opportunità. Bisogna sapere cogliere anche gli aspetti positivi, come, per esempio, la probabile riduzione dei costi delle materie prime e i benefici che derivano dal rafforzamento del dollaro e della moneta cinese. Dobbiamo avere un atteggiamento positivo e, soprattutto, dobbiamo reagire al cambiamento con strategie e azioni nuove. Dobbiamo essere più innovativi, non solo nella progettazione di nuove macchine, ma anche nelle altre aree principali, dalla comunicazione alla gestione del mercato, dalla logistica alla gestione delle risorse umane. Anche a livello distributivo ci vuole maggiore specializzazione per offrire servizi mirati alla soluzione di problemi concreti, evitando il rischio di diventare generalisti. Bisogna che fabbricanti e distributori facciano squadra, per creare un sistema più efficiente. I margini di operatività si stanno riducendo, solo il gioco di squadra può ricreare condizioni proficue per tutti. Ma la squadra, oggi più che mai, deve mirare a una maggiore efficienza di tutto il sistema».
E in questo campo, IPC, con il suo modello di sistema integrato può offrire dei vantaggi nell’affrontare la crisi?
«Certamente. Grazie alla peculiarità della nostra struttura, siamo pronti ad affrontare le turbolenze del mercato. Tutte le aziende di IPC sanno di poter contare sulla forza di un gruppo importante senza perdere la propria vocazione specialistica e di nicchia: una combinazione fondamentale per vincere la sfida di un mercato sempre più difficile, ma anche molto stimolante.
Rilancio con grande convinzione la proposta di aggregazione ad aziende che, pur essendo ben gestite e in tempi “normali” in grado di produrre utili, hanno risorse finanziarie limitate e a volte non sufficienti per affrontare la crisi attuale, perché basta una contrazione di fatturato, un mercato che dia meno margini, una stretta creditizia, per entrare in sofferenza e mettere a rischio l’attività. Noi offriamo la possibilità di unirsi a un progetto di grande respiro, mantenendo la centralità degli imprenditori e il ruolo del management, valorizzando le specificità, garantendo la possibilità di penetrazione in mercati più ampi. La nostra storia lo dimostra».
Renata Mantovani