Lo scorso 13 ottobre, presso il Circolo della stampa di Milano, al cospetto di una nutrita presenza di giornalisti e addetti del settore del cleaning professionale, Copma ha presentato ufficialmente il nuovo sistema PCHS, acronimo di Probiotic Cleaning Hygien System, un sistema che si preannuncia rivoluzionario perché scardina l’assioma della detergenza tradizionale basata sui prodotti chimici e propone un nuovo protocollo operativo d’intervento. PCHS è dunque il marchio depositato da Copma per identificare questo nuovo sistema di pulizia e sanificazione basato sull’impiego dei prodotti probiotici.
Copma lancia la sfida: stabilità d’igiene in sanità
E’ con orgoglio che il presidente di Copma Alberto Rodolfi annuncia la portata rivoluzionaria della sperimentazione: «Il sistema che abbiamo messo a punto e che oggi presentiamo ufficialmente è frutto di una geniale intuizione e di un serio e lungo percorso di ricerca che ha visto la collaborazione del Centro di Ricerche CIAS (Centro Ricerche Inquinamento Ambienti Alta Sterilità) dell’Università di Ferrara e dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Sant’Anna di Ferrara. Copma si pone l’ambizioso obiettivo di individuare, nella ricerca volta al miglioramento delle procedure operative in sanità, il proprio plusvalore qualificante ed è proprio in quest’ottica che abbiamo sviluppato questa metodologia specifica basata su protocolli operativi certificati da un lungo percorso di studio, ricerca e sperimentazione. A differenza dei metodi tradizionali, il sistema PCHS garantirà, infatti, non solo un elevato livello di pulizia ma un’igiene stabile all’interno dell’ambiente sanitario».
I limiti del sistema tradizionale
Per capire la portata innovativa del sistema è necessario partire dal punto nevralgico del sistema “tradizionale”. Il protocollo operativo tradizionale in uso negli ambienti sanitari prevede l’uso di prodotti chimici con azione biocida congiuntamente all’utilizzo di attrezzature per la pulizia e sanificazione dell’ambiente. Tuttavia la capacità biocida dei chimici comporta l’annientamento di tutta la carica batterica presente sulla superficie trattata, sia quella innocua che quella potenzialmente patogena, ma non garantisce alcun effetto sulla stabilità di quelle condizioni igieniche.
In questo senso è illuminante l’intervento del Prof. Sante Mazzacane, che spiega i criteri cardine entro cui si è mosso l’intero progetto di ricerca. « Il metodo di pulizia tradizionale – afferma – si basa sull’applicazione dei biocidi che, come detto, rimane un’azione molto limitata nel tempo. Appena la sostanza biocida evapora, infatti, si ricreano nell’arco di poche decina di minuti le condizioni ideali per la proliferazione batterica. In pratica, dunque, i metodi tradizionali non hanno alcun effetto “inibente” sul naturale processo di ricontaminazione delle superfici. Non solo: c’è da considerare il fatto che sulle superfici appena trattate la carica batterica può ripristinarsi anche più velocemente, sino a diventare esponenzialmente più consistente rispetto alla situazione pre-operativa precedente. A ciò si aggiunga che le attività di pulizia condotte con i prodotti tradizionali impattano notevolmente sull’inquinamento, dacché i composti dei formulati hanno scarsa compatibilità ambientale».
Dall’intuizione scientifica all’applicazione pratica
A fronte di questa consapevolezza, da alcuni anni a livello internazionale si stanno intensificando le ricerche mirate all’utilizzo dei prodotti alternativi di sanificazione, basati sul principio della competizione biologica che creino un effetto di biostabilizzazione. Se infatti il problema legato ai prodotti tradizionali è quello che la carica batterica patogena viene annientata per esigui intervalli temporali senza nessun effetto sulla fase di ricontaminazione, la sfida implicita del mercato è quella di creare sistemi di sanificazione che assicurino un’igiene stabile. A tal scopo la ricerca ha fatto propria la legge di Gause, nota in letteratura fin dal 1920 che si basa sull’esclusione competitiva. In pratica, secondo questa legge, due o più specie batteriche e/o funginee non possono coesistere in equilibrio stabile sullo stesso microcosmo ecologico sfruttando i medesimi substati nutritivi: necessariamente una delle due diventerà predominante rispetto all’altra, potendone causare anche l’estinzione.
L’intuizione è quella di utilizzare questo principio per la sanificazione. Da qui parte dunque la collaborazione dei tre soggetti, volta alla creazione di prodotti a base di batteri cosiddetti probiotici, in grado di colonizzare le superfici su cui vengono applicati contrastando la proliferazione degli altri organismi in base alla legge gausiana dell’esclusione competitiva.
Identikit del bacillus probiotico
«Questi innovativi prodotti – ci spiega il Prof. Pier Giorgio Balboni – contengono una miscela di spore, del genere Bacillus spp, in concentrazione molto elevata, in grado di favorire un’azione competitiva dei medesimi nei confronti di tutti gli altri microrganismi, siano essi Gram positivi, Gram negativi, miceti o sporigeni. L’impiego del genere Bacillus spp è ben consolidato in agricoltura, in orticoltura, nell’alimentazione umana e in veterinaria (come integratore alimentare), in quanto considerati sicuri. Inoltre, in base alle conoscenze attuali risultano sensibili agli antibiotici. Infine, questi ceppi batterici sono presenti nello stomaco dell’uomo (a anche di molti animali) e quindi implicitamente non dannosi per la salute, non allergenici ed assolutamente ecocompatibili. Inoltre sono riconosciuti dalla FDA (Food and Drug Administration) come utili per l’organismo senza effetti collaterali ».
La collaborazione: in vitro e sul campo
La ricerca sperimentale proposta da Copma al CIAS dell’Università di Ferrara è stata effettuata prima in laboratorio (in vitro) e successivamente sul campo. Questo perché – come ci spiega Mazzacane – in laboratorio si verificano dei risultati che poi sin campo non sempre si ripropongono; in laboratorio infatti si lavora in un ambiente indisturbato da fenomeni esterni mentre sul campo bisogna fare i conti con interventi esterni, primo su tutti la ricontaminazione, il cui tasso è prevedibile in linea teorica ma non determinabile con precisione a priori. In altre parole, in laboratorio si verifica la legge di Gause, sul campo l’effettiva efficacia della sperimentazione.
Le sperimentazioni in vitro (UNI IS O 13697:2001) hanno permesso di misurare l’abbattimento di una iniziale carica nota di patogeni (Stafilococcus auerus, Pseudomonas e Escherichia coli) su superfici pulite e sanificate con prodotti PIP (che sta per probiotic in progress). A distanza di un’ora si è constatata una riduzione di 6 logaritmi del numero dei microrganismi in esame.
Successivamente, con la collaborazione della Direzione Medica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara, si è passati alla sperimentazione sul campo, che è avvenuta su due aree assistenziali dell’Arcispedale S.Anna di Ferrara, diverse per attività sanitaria; la prima area presa in esame è quella relativa alla Degenza di Medicina Generale e l’altra è quella dei Poliamulatori di Oculistica/Cardiologia e Ortopedia (in cui dunque, oltre ai degenti, hanno accesso anche tutti gli utenti esterni che si recano a fare una visita specialistica di controllo). Queste due aree sono state per mesi oggetto di procedure di pulizia/sanificazione sia con prodotti PIP che con prodotti tradizionali, in modo da valutare eventuali differenze e vantaggi prestazionali. Nella prima Fase di sperimentazione, ogni area è stata divisa in due zone: una trattata coi prodotti tradizionali (Sala T) e l’altra con i prodotti PIP (sala S). Questo per avere dei risultati comparabili in un area del tutto del tutto analoga quindi in termini di utenza e di attività sanitarie.
Nel secondo mese di sperimentazione (Fase 2), i protocolli sono stati invertiti tra le medesime zone, al fine di verificare la replicabilità dei risultati. Per la sola Degenza di Medicina Generale, dopo un periodo cuscinetto di circa 5 settimane, in cui i trattamenti in uso sono rimasti invariati, le indagini sperimentali sono continuate per un altro mese, durante il quale sia per la Sala S che per la Sala T si è fatto uso esclusivamente di prodotti di pulizia/sanificazione a base di probiotici (Fase 3), in modo da valutarne l’efficacia sul medio-lungo periodo.
I risultati
Sono stati effettuati in totale oltre 12.000 campionamenti microbiologici (un numero molto elevato proprio a garanzia della significatività statistica dei risultati ottenuti), sulle superfici dei pavimenti del corridoio delle due aree ospedaliere oggetto di esame, del pavimento delle stanze di degenza e degli ambulatori medici, del pavimento e del lavello del bagno, ovvero le aree dove più frequentemente è possibile trovare contaminazione dei sei ceppi patogeni presi in esame. Sulla base di questi campionamenti è stata stimata una riduzione percentuale della carica patogena con valori del 70-90% rispetto ai metodi tradizionali nel momento di massima ricontaminazione, che è stimato verso le ore 14.00 ca.
Non un prodotto ma un sistema
Sulla base dell’esito positivo delle prime tre fasi e dell’efficacia dei protocolli di pulizia e sanificazione a base di agenti probiotici rispetto a quelli che impiegano agenti chimici, Copma ha quindi elaborato il sistema PCHS (fase 4). La fase 5 rappresenta l’ultimo step, quello di un ulteriore approfondimento della ricerca che nel periodo novembre 2011-ottobre 2012 sarà finalizzato al monitoraggio delle infezioni nosocomiali presso l’ospedale S. Giorgio dell’Azienda Ospedaliero Universitaria S. Anna di Ferrara: questa fase avrà come obiettivo la verifica delle riduzioni delle infezioni sulla base di un Protocollo d’Igiene predisposto con la collaborazione della Direzione Medica dell’Azienda Ospedaliera.
« PCHS non è un formulato – conclude Rodolfi – ma un protocollo operativo enucleato sulla base della sperimentazione condotta e che presuppone l’utilizzo di attrezzature specifiche che noi abbiamo realizzato con il preciso intento di massimalizzare il risultato e garantire stabilità nel livello di igiene in corsia». La dott.ssa Paola Antonioli, dell’AOU ferrarese, responsabile del modulo funzionale Igiene Ospedaliera e Qualità dei Servizi Ambientali, sa bene quali sono le criticità legate alla gestione del polo ospedaliero ed è molto soddisfatta che la sperimentazione sia avvenuta proprio nel Policlinico per cui lavora. «La nostra è una struttura dei primi del 1900 che si compone di due stabilimenti con i relativi padiglioni legati tra loro da un anello coperto. Da anni collaboriamo con Copma per la gestione delle pulizie all’interno del nostro ospedale e la sfida dei probiotici mi aveva colpito da subito, da quando ero stata coinvolta alla presentazione dei risultati in vitro della ricerca. A quel punto abbiamo agguantato l’occasione di offrirci volontari. Inizialmente ero scettica riguardo all’efficacia del sistema, ma ho dovuto ricredermi. Prossimamente è in apertura un nuovo polo moderno del sant’Anna appena fuori dal centro storico e speriamo di poter gestire i nuovissimi 190.000m2 a disposizione con il protocollo PCHS».
Abbattimento in vitro di Stafilococcus aureus mediante applicazione di 3 diversi prodotti PIP in diversi istanti temporali
Abbattimento in vitro di Escherichia coli mediante applicazione di 3 diversi prodotti PIP in diversi istanti temporali
Abbattimento in vitro di Pseudomonas aeruginosa mediante applicazione di 3 diversi prodotti PIP in diversi istanti temporali
Riduzione percentuale complessiva dei patogeni con i protocolli PIP rispetto alle procedure tradizionali espressa in valore assoluto