La difesa di Giuliani: basta giocare sporco negli appalti di pulizia!
Per rispondere ad una provocazione latente da parte della committenza che vorrebbe imprese più coerenti che per prime si rifiutassero di partecipare a gare d’appalto con importi a base d’asta incongrui, la Presidente di ANIP/FISE puntualizza che:«le aziende sono obbligate a partecipare alle gare perché sono riferimento per tanta occupazione. Se le aziende smettessero, non darebbero stipendio ai propri lavoratori. Le aziende vogliono fare le gare perché questo è nel DNA della figura dell’imprenditore: l’obiettivo al risveglio ogni mattina è quello di portare a casa un business per dare occupazione ai propri dipendenti. Oggi, invece, gli imprenditori la mattina escono con l’obiettivo di trovare banche che siano disposte a finanziare affinché si possano coprire le spese, e questo è tutto un altro mestiere. Il nocciolo del problema non è stabilire se e quando le imprese debbano partecipare, ma assicurarsi che il legislatore assicuri a tutti un’equa possibilità di partecipazione. Le imprese chiedono dunque che venga precisato il contratto di riferimento e che i costi da sostenere siano uguali per tutti. In questo contesto, sollecitiamo peraltro una funzione coercitiva da parte dell’Autorità di Vigilanza che invece oggi svolge più che altro una funzione d’indirizzo. Oggi esistono moltissime gare che hanno dei requisiti quantomeno strani, per usare un eufemismo: ancora oggi compare, soprattutto nei bandi della committenza sanitaria, il requisito di fatturato analogo come prerequisito di accesso alla gara. Probabilmente il concetto del fatturato analogo intendeva riferirsi all’esperienza dell’impresa in quel tipo di servizio che un’impresa doveva possedere per poter concorrere ad un appalto in sanità. Ma siccome le imprese hanno un tipo di contratto che prevede l’obbligo dell’assunzione del personale che in quel momento svolge il servizio, che si presume sia già formato: quindi presumibilmente ogni azienda è in grado di partecipare ad una gara dacché assume del personale già qualificato per quel tipo di servizio. Quindi il valore aggiunto che deve mettere ogni azienda è l’organizzazione del servizio, che è una cosa diversa. E tuttavia le imprese oggi si trovano a non poter partecipare ad una serie di gare perché non hanno i fatturati analoghi, un limite di partecipazione che esclude anche grandi aziende con fatturati di riferimento non esattamente trascurabili.
Inoltre, si assiste ad una serie di gare in cui si accorpano una serie di servizi dei più vari: molte amministrazioni continuano ad accorpare una serie di servizi che hanno origini diverse: E cosa può fare un’azienda quando vede una gara di questo tipo? Non può che costruire un ATI (associazione temporanea di impresa) con qualche partner specializzato, salvo poi leggere nel disciplinare di gara che paradossalmente entrambe le aziende devono possedere tutti i requisiti per quella gara: un controsenso rispetto alla scelta di costituire un ATI. Una serie di tecnicismi, che presumibilmente vengono costruiti con altri obiettivi, finiscono dunque per inficiare uno spirito imprenditoriale sano. Quello che oggi appare del tutto prioritario è la necessità di porre l’accento sulla valutazione, per cui la committenza, invece di limitare preventivamente l’accesso alle gare, si adoperi ad effettuare una rigida valutazione in fase di aggiudicazione».
Per rispondere ad una provocazione latente da parte della committenza che vorrebbe imprese più coerenti che per prime si rifiutassero di partecipare a gare d’appalto con importi a base d’asta incongrui, la Presidente di ANIP/FISE puntualizza che:«le aziende sono obbligate a partecipare alle gare perché sono riferimento per tanta occupazione. Se le aziende smettessero, non darebbero stipendio ai propri lavoratori. Le aziende vogliono fare le gare perché questo è nel DNA della figura dell’imprenditore: l’obiettivo al risveglio ogni mattina è quello di portare a casa un business per dare occupazione ai propri dipendenti. Oggi, invece, gli imprenditori la mattina escono con l’obiettivo di trovare banche che siano disposte a finanziare affinché si possano coprire le spese, e questo è tutto un altro mestiere. Il nocciolo del problema non è stabilire se e quando le imprese debbano partecipare, ma assicurarsi che il legislatore assicuri a tutti un’equa possibilità di partecipazione. Le imprese chiedono dunque che venga precisato il contratto di riferimento e che i costi da sostenere siano uguali per tutti. In questo contesto, sollecitiamo peraltro una funzione coercitiva da parte dell’Autorità di Vigilanza che invece oggi svolge più che altro una funzione d’indirizzo. Oggi esistono moltissime gare che hanno dei requisiti quantomeno strani, per usare un eufemismo: ancora oggi compare, soprattutto nei bandi della committenza sanitaria, il requisito di fatturato analogo come prerequisito di accesso alla gara. Probabilmente il concetto del fatturato analogo intendeva riferirsi all’esperienza dell’impresa in quel tipo di servizio che un’impresa doveva possedere per poter concorrere ad un appalto in sanità. Ma siccome le imprese hanno un tipo di contratto che prevede l’obbligo dell’assunzione del personale che in quel momento svolge il servizio, che si presume sia già formato: quindi presumibilmente ogni azienda è in grado di partecipare ad una gara dacché assume del personale già qualificato per quel tipo di servizio. Quindi il valore aggiunto che deve mettere ogni azienda è l’organizzazione del servizio, che è una cosa diversa. E tuttavia le imprese oggi si trovano a non poter partecipare ad una serie di gare perché non hanno i fatturati analoghi, un limite di partecipazione che esclude anche grandi aziende con fatturati di riferimento non esattamente trascurabili.
Inoltre, si assiste ad una serie di gare in cui si accorpano una serie di servizi dei più vari: molte amministrazioni continuano ad accorpare una serie di servizi che hanno origini diverse: E cosa può fare un’azienda quando vede una gara di questo tipo? Non può che costruire un ATI (associazione temporanea di impresa) con qualche partner specializzato, salvo poi leggere nel disciplinare di gara che paradossalmente entrambe le aziende devono possedere tutti i requisiti per quella gara: un controsenso rispetto alla scelta di costituire un ATI. Una serie di tecnicismi, che presumibilmente vengono costruiti con altri obiettivi, finiscono dunque per inficiare uno spirito imprenditoriale sano. Quello che oggi appare del tutto prioritario è la necessità di porre l’accento sulla valutazione, per cui la committenza, invece di limitare preventivamente l’accesso alle gare, si adoperi ad effettuare una rigida valutazione in fase di aggiudicazione».