(tratto da “GSA” n.6, Giugno 2010)
Elementi distorsivi nel mercato del multiservizi
E’ la stessa struttura del mercato ad aprire la strada proliferare degli elementi distorsivi che ne minano la regolarità. Ecco come.
Che cosa sono gli elementi distorsivi del mercato di questi servizi? La risposta è semplice: si tratta di tutti quei fattori che, in un modo o nell’altro, in una misura o nell’altra, condizionano negativamente il mercato, modificandone le prassi e le dinamiche in direzione di una sempre maggiore irregolarità. Nel nostro settore ce ne sono diversi, e vanno dai ritardi di pagamento nel pubblico alla mancanza di chiarezza sul subappalto e alla scarsa conoscenza da parte dei clienti dei rischi legati alla responsabilità solidale (per citare solo alcune delle situazioni più problematiche). Ma da dove arrivano queste “distorsioni”? Quali sono le loro causa profonde? Sono individuabili? Gli addetti ai lavori lo sanno bene: è nella struttura stessa del mercato dei servizi in Italia che si annidano molti degli elementi di criticità che rendono così tanto complesso e così poco trasparente (e corretto) il mercato. Un problema che ci trasciniamo dietro da anni, ma che, com’è comprensibile, il momento di difficoltà e di crisi globalizzata che stiamo vivendo contribuisce ad inasprire e a rendere più sentito.
Molta, troppa irregolarità
Che il comparto del multiservizi sia un preoccupante serbatoio di irregolarità è storia nota, e d’altro canto non è molto difficile risalire alle cause degli elementi distorsivi più volte denunciati all’interno del settore da strutture come l’ONBSI (Osservatorio paritetico) delle organizzazioni sindacali e delle associazioni datoriali. E così se da un lato si cerca un mercato trasparente, corretto e possibilmente meritocratico quanto alle dinamiche di concorrenza, dall’altro non si può fare a meno di constatare che certi difetti sono connaturati nel tessuto stesso dell’imprenditoria dei servizi in Italia.
Anche le grandi sono piccole… ecco il mercato italiano dei servizi
Ma andiamo con ordine: per ciò che riguarda il mercato dei servizi, il nostro è un paese in cui anche le grandi sono piccole. In cifre: se in Italia le realtà più importanti si collocano tra i 5 e i 7.000 dipendenti e la più grande non arriva ai 15.000, in Francia questo numero va quintuplicato per avere un’idea della dimensione dei veri colossi. Tale situazione ha fatto sì che le imprese italiane si affacciassero alla soglia del nuovo millennio già in una condizione di debolezza strutturale rispetto all’evoluzione del mercato su scala internazionale. Un’anomalia italiana che, unita alla (prevedibile) diffusione dei cosiddetti global contractors, realtà più grandi e più solide provenienti da altri settori (come energia, calore, ecc.) rende lo scenario del mercato ancora più problematico. Se si riflette sulla situazione del settore pubblico, che risente in misura minore della crisi, si registra la presenza di una centrale d’acquisto a livello nazionale per l’amministrazione pubblica, come Consip, e alla moltiplicazione di centrali d’acquisto a livello regionale. Le Regioni, infatti, possono costituire centrali di acquisto anche unitamente ad altre regioni, che operano quali centrali di committenza, in favore delle amministrazioni ed enti regionali, degli enti locali, degli enti del Servizio sanitario nazionale e delle altre pubbliche amministrazioni aventi sede nel medesimo territorio, che stipulano convenzioni per gli ambiti territoriali di loro competenza.
Tali centrali, insieme alla Consip, costituiscono un sistema a rete, perseguendo l’armonizzazione dei piani di razionalizzazione della spesa e realizzando sinergie nell’utilizzo degli strumenti informatici per l’acquisto di beni e servizi. Questa razionalizzazione, se vista dal lato delle imprese, costituisce tuttavia un problema, perché interferisce sulla possibilità, per le imprese meno grandi, di partecipare alle gare per la fornitura alla pubblica amministrazione, e di poter accedere così alla fetta di mercato meno toccata dalla crisi. Già, perché l’effetto immediato di questa operazione è la creazione di gare d’appalto di alto e altissimo valore (50, 100 o 150 milioni di euro ed altro), tanto da escludere la partecipazione diretta della maggior parte delle imprese italiane che si vedono costrette in alternativa a partecipare a consorzi stabili, a Rti (raggruppamenti temporanei di imprese) o Ati (associazioni temporanee di imprese) o in subordine in rapporti di subappalto.
Le imprese irregolari: la concorrenza dal basso
A questi fattori che provengono dall’alto, vale a dire da dinamiche di mercato collocabili a monte, si aggiunge, a valle, la concorrenza sleale proveniente dal basso, da società che realizzano fini illegali. Ciò è reso possibile dalla sostanziale e cronica carenza di controlli sull’irregolarità, che rende possibile -malgrado le numerose denunce e le ancor più numerose stigmatizzazioni dello status quo provenienti da più fronti (va detto peraltro che con gli strumenti a disposizione è anche difficile pensare di fare qualcosa in più)- il proliferare di società irregolari con finalità ben diverse da quelle di offrire un servizio di qualità.
Troppi i punti oscuri, dal subappalto alla responsabilità in solido
Tutto questo provoca nel mercato una serie di elementi difficili da controllare, ma che senza dubbio ne distorcono le dinamiche: nel subappalto ad esempio, dove pur essendoci regole cogenti si assiste perlopiù a una deregulation allarmante; nella responsabilità solidale, importante vanto e conquista del comparto italiano dei servizi, che tuttavia nel pubblico trova applicazione parziale e notevolmente ridotta.
Le PA, cronicamente in ritardo
Da non dimenticare, infine, il cronico ritardo di pagamento delle pubbliche amministrazioni, che tante difficoltà ha creato, e continua a creare, per le imprese (che si vedono soggette a tempi di pagamento lentissimi: 120/180 giorni nel privato e oltre l’anno nel pubblico, a fronte di una media europea di 45 giorni). Sappiamo molto bene quanto questo sia drammatico in un settore, come il nostro, ad alto contenuto di manodopera.
L’intermediazione e il margine che non c’è
Ulteriore aggravante: nel caso del subappalto la situazione diventa disastrosa perché chi subappalta, di norma, chiede percentuali di mediazione a due cifre, francamente irrisolvibili per imprese labour intensive.
Imprese spinte all’irregolarità, o all’abbassamento della qualità del servizio
Tutto si tiene, dunque: non c’è da meravigliarsi se molte imprese, in una simile situazione, sono spinte verso l’illegalità o, quantomeno, verso una drastica riduzione della qualità del servizio erogato.
Simone Finotti
I dati ONBSI: oltre il 30% delle imprese di servizi indicate nel campione rappresentativo riferito al 2008 sotto riportato presenta bilanci in perdita, confermando la grande difficoltà del comparto.
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Utile o perdita confronto tra i territori (Elaborazione ONSBI su dati Unioncamere) | ||
LOMBARDIA | 32,55 (perdita) | 67,45 (utile) |
EMILIA ROMAGNA | 33,3 (perdita) | 66,67 (utile) |
ROMA |
30,68 (perdita) |
69,32 (utile) |
NAPOLI |
38,96 (perdita) |
61, 04 (utile) |
PALERMO |
46,27 (perdita) |
53,73 (utile) |