(Tratto da “Hospital & Public Health” n.5, Ottobre 2009)
A livello nazionale ed internazionale non è stato ancora adeguatamente sviluppato, sperimentato e consolidato un approccio in chiave “operativa” al problema della definizione/applicazione degli standard di manutenzione. Il problema si evidenzia ancor più a seguito della sempre più diffusa adozione di contratti di Global Service manutentivo che dovrebbero essere imperniati sull’obbligo da parte delle imprese di conseguire risultati prestazionali conformi a precisi standard di manutenzione prefissati dai committenti. Da ciò l’esigenza sempre più impellente di contributi metodologici anche sperimentali che consentano di passare da un approccio finora prevalentemente “teorico” ad una prassi più operativa, concretamente adottabile negli appalti di servizi manutentivi.
——————————————————————
La definizione degli standard di manutenzione: un problema aperto
La definizione oggettiva degli standard di manutenzione e dei criteri attraverso i quali essi possono essere individuati e misurati rappresenta uno degli aspetti di maggiore difficoltà e criticità nell’ambito della gestione dei patrimoni immobiliari e urbani.
Alla complessità dell’analisi prestazionale da applicare al patrimonio per tutte le sue componenti tecnologiche o famiglie di componenti si aggiungono sovente la assenza/carenza dei più elementari dati di informazione sulla consistenza e sullo stato fisico, manutentivo e prestazionale del patrimonio stesso; nonché l’impossibilità di definire la quantità prestazionale dei beni, rapportata allo specifico stato di avanzamento del processo di degrado delle diverse componenti, in assenza di fondamentali quanto propedeutiche fasi e/o attività di valutazione/monitoraggio della situazione esistente, di diagnostica mirata e di acquisizione dei parametri quantitativi e qualitativi sulle stesse componenti edilizie ed impiantistiche.
Attraverso azioni programmate di monitoraggio e autocontrollo è possibile tuttavia intervenire su eventuali non conformità, pianificando azioni e interventi mirati durante il ciclo di vita utile dei beni.
In questa direzione risulta evidente l’esigenza di disporre di criteri di riferimento per pervenire ad un’armonizzazione delle procedure di manutenzione, in modo da indirizzare la pianificazione affinché le limitate risorse economiche generalmente disponibili possano essere impegnate con criteri razionali, in grado di valorizzare gli investimenti e di dar luogo progressivamente a modelli gestionali le cui caratteristiche prestazionali siano coerenti con le funzioni previste, la sicurezza e le aspettative degli utenti.
Da queste premesse emerge a tutto tondo l’esigenza di una corretta definizione degli standard di manutenzione al fine di stabilire come – nelle diverse fasi di sviluppo degli appalti di servizi manutentivi – la qualità possa essere progettata, perseguita e controllata tanto dai committenti quanto dalle imprese, nei rispettivi ambiti di competenza.
Rispetto a questa esigenza di fondo, fino ad oggi si è prevalentemente intervenuti con contributi ed enunciazioni di natura essenzialmente teorica, di fatto inapplicabili/inapplicati sul campo: da qui la necessità di avviare una fase di mirata formulazione di proposte di taglio più operativo da sperimentare e monitorare direttamente nell’ambito degli appalti.
Alcune definizioni teoriche
“Modello, tipo al quale ci si uniforma o che viene assunto come termine di riferimento, … livello, misura, valore assunto come normale in rapporto al quale si misura il rendimento di persone, macchine, unità organizzative, … valore predeterminato con cui si confrontano i valori effettivi per rilevarne e analizzarne gli scostamenti”. Queste alcune delle definizioni correnti del termine “standard” (AA.VV., 2009).
Per comprendere appieno il significato del termine inteso come “standard di manutenzione”, occorre tuttavia partire dalla definizione stessa di “manutenzione”.
Si richiamano qui brevemente solo alcuni concetti-chiave legati alla sua evoluzione che interessano direttamente il concetto di “standard di manutenzione”.
Il primo è che l’obiettivo che si vuole conseguire con l’intervento manutentivo, tende a dilatarsi dal semplice “ripristino” al “miglioramento della qualità” del bene edilizio e del suo “intorno” e all’“adeguamento tecnologico” dei subsistemi che lo compongono. Viceversa l’opportunità di riportare l’edificio alle condizioni di partenza non è affatto un assioma di validità generale: tutto dipende, evidentemente, dalla qualità stessa di tali condizioni iniziali.
Il secondo è quello introdotto già negli anni ’60 dalla norma britannica BS 3811 che, definendo la manutenzione come “combinazione di attività svolte per conservare o riportare un oggetto in condizioni accettabili”, introduce il concetto di “standard accettabile”, interpretabile come “accettabile” per il committente, per l’utente beneficiario degli interventi o, infine, per una struttura esterna che ha la responsabilità di garantire uno standard qualitativo minimo (in senso più lato può essere anche interpretato come accettabile a livello sociale o per un determinato settore sociale). È ovvio che non esiste uno standard assoluto accettabile per tutti o che possa rimanere accettabile indefinitamente per lo stesso gruppo di persone.
Al momento in cui si intraprendono le attività manutentive, lo “standard accettabile” può essere più alto o più basso dello standard deciso in fase di progetto. Non solo, ma con il passare del tempo, gli edifici subiscono modificazioni più o meno estese per soddisfare nuove esigenze e, pertanto, diventa sempre meno realistico ragionare in termini di mantenimento o ripristino dello standard iniziale.