(Tratto da GSA n.12, dicembre 2011)
La presenza e il necessario controllo degli artropodi e dei roditori all’interno dei locali adibiti allo stoccaggio, trasformazione e/o manipolazione di sostanze alimentari può, senza dubbio, essere considerato uno dei problemi chiave nella gestione delle imprese di tali comparti. La loro stessa presenza può divenire insostenibile e per diversi aspetti; nel caso delle popolazioni murine il danno può estrinsecarsi come danno diretto – sottrazione di materia prima, alterazione della stessa – ma anche indirettamente – interruzione di corrente elettrica a seguito di rosura dei cavi che così facendo interrompono le normali attività produttive; ma non meno gravi sono tutte le forme di inquinamento delle strutture e degli arredi per la presenza di deiezioni solide e liquide.
La normativa vigente che regolamenta la qualità igienica degli alimenti e in particolare quella italiana, non ha favorito il giusto approccio al problema. La legge 283/62 (G.U.R.I. n. 139 del 4/6/1962) “Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande” all’art. 5, comma d, vieta “…la vendita, la detenzione, la somministrazione e la distribuzione per il consumo di sostanze alimentari insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione”. Ovviamente a tale legge hanno fatto seguito negli anni successivi altri provvedimenti modificativi a integrazione tra i quali il più noto è il D.lgs. 155/97 e successive modificazioni che ha normato il controllo alimentare introducendo i principi dell’Hazard Analysis and Critical Control Points (H.A.C.C.P.) – sistema di autocontrollo igienico, che previene i pericoli di contaminazione alimentare basato sul controllo sistematico dei punti della lavorazione degli alimenti dove c’è un pericolo di contaminazione sia di natura biologica che chimica ma anche fisica. L’introduzione della norma UNI n° 11381/2010 sul controllo degli insetti nelle Industrie Alimentari pone le aziende nella necessità di valutare l’adeguatezza del proprio Sistema di igiene Ambientale e di richiedere alle società fornitrici del servizio di Pest management la conformità a quanto previsto dalla norma.
Di per se si potrebbe dire che ci si sta muovendo da un buon punto di partenza, che dovrebbe portare a una corretta gestione del problema. La ricerca spasmodica di uno standard qualitativo che per certi aspetti si muove in un sistema normativo ancora lacunoso determina delle inosservanze nelle procedure che portano inevitabilmente a scorrette gestioni del reale problema entomologico, o dei parassiti in generale, in quasi tutte le strutture.
L’HACCP e l’applicazione delle procedure contemplate nei manuali da essa derivanti di cui si sono dotati tutte le aziende non consentono di rinunciare ai profusi interventi da parte degli operatori del settore della disinfestazione; non si è riusciti, infatti, a definire al momento, un sistema che garantisca un reale contenimento del rischio da artropodi e roditori.
Tralasciando le polemiche sulla reale preparazione professionale di alcuni estensori di tali manuali (ingegneri, geologi, geometri, così come agrotecnici – che al loro interno inglobano, laureati in scienze naturali, ingegneri ambientali e del rischio idrogeologico e tutti coloro non incasellabili in altro Albo professionale), nella maggior parte dei casi si evince un uso distorto del monitoraggio; spesso e senza la giusta valenza viene inserito in questo processo di ricerca di qualità e sicurezza alimentare; viene indicato come un sistema che ha lo scopo prioritario di “fotografare” esattamente la situazione portando inevitabilmente a fare errori grossolani. Non si può più prescindere dal dare alle attività di monitoraggio il giusto ruolo a supporto del “moderno” pest-management.
La crescente sensibilizzazione sociale inizia a trovare riscontro anche nella moderna gestione degli infestanti alimentari con la conseguente ricerca di sostenibilità a tutto tondo. Non è più possibile ignorare la necessità di ridurre l’immissione di sostanze ad alto impatto all’interno di locali e stabilimenti che manipolano sostanze alimentari; la parola d’ordine è ormai e ovunque “basso impatto ambientale e sicurezza nell’ambito dei locali di lavorazione”.
Il termine monitoraggio origina dal lat. monitorius, der. di monïtus, p. pass. di monére ammonire, avvisare, (che con accezione più ampia può significare anche: informare, consigliare). Estendendo il valore di questa parola a un comune pensare, nel Monitoraggio s.l., ritroviamo anche un’azione di controllo, volta a eliminare artropodi che altrimenti continuerebbero a “girovagare” all’interno dei locali, con l’effetto naturale di un aumento della popolazione che nell’arco di pochi mesi porterebbe a un intervento di contenimento più radicale. Ciò trova plausibilità solo limitatamente e in peculiari occasioni. E’ conclamato che non vi è rispondenza statisticamente significativa che sostenga una relazione tra numero di individui catturati e/o ritrovati all’interno di una trappola e consistenza numerica della popolazione del parassita monitorato. Sono troppe le variabili che intervengono nel funzionamento di una trappola; sulla loro efficacia intervengono fattori legati al posizionamento – altezza, presenza di attività aziendali –, tipologia di derrata ma anche fase del processo interessato – ad es. frumento, farina o pasta -, presenza di correnti d’aria – che possono essere dovute allo stesso condizionamento del locale -, e tanto altro. E’ facile vedere trappole per specie sitofile o sitobie indifferentemente posizionate in locali che ospitano granaglie o sfarinati. Gli esperti sostengono che la buona interpretazione del dato ottenuto risiede nella taratura del sistema. Dietro l’interpretazione di uno sterile valore numerico c’è l’approfondita conoscenza della struttura e/o del locale. Chi opera il monitoraggio deve avere una frequentazione familiare degli ambienti che gli permettano di cogliere tutte le indicazioni che da questo gli vengono fornite. È del tutto inutile andare con cadenza più o meno regolare a contare gli individui catturati se non si relaziona il dato con tutte le altre osservazioni che ci permettono di stimare con buona approssimazione la reale consistenza della popolazione all’interno del nostro stabilimento.
Si deve parallelamente operare monitorando visivamente (cfr. foto), perlustrando presenze di tracce, passaggi e ricercando gli artropodi nei luoghi ove essi solitamente si annidano, e si può implementare questa peculiare ricerca posizionando tutta una serie di trappole più o meno specifiche che permettano una cattura fisica dell’artropode o del mammifero target ove sono state intercettate le tracce.
Il tipo di interpretazione del dato è, quindi, alla base del ruolo che si può e vuole dare a ogni singola trappola che può dare, in definitiva, solo indicazioni finalizzate alla prevenzione o essere strumento funzionale nella predisposizione di un piano di controllo dei parassiti nella sua più ampia accezione.
Se è vera la non corrispondenza reale tra le catture realizzate dalla singola trappola e l’entità d’infestazione presente nell’azienda stessa, come si risolve il problema? Cosa assumiamo come dato per stabilire una soglia di intervento? Intervento che per ragioni economiche e salutistiche non potrà che essere unico nella stagione. Non c’è spazio per approssimazioni, l’efficacia deve essere certa o la massima possibile. Spesso il valore aggiunto della trasformazione è così limitato che un secondo intervento non sarebbe sostenibile economicamente oltre che impattante dal punto di vista della salubrità dell’alimento.
Non si potranno standardizzare gli interventi con rigorose soglie di intervento che andranno ponderate di volta in volta. E’ bene ricordare che concettualmente per soglia di danno si intende il punto critico in cui danno economico prodotto dal parassita equivale al costo necessario per l’intervento. Nel settore agricolo ciò è di più facile e intuitiva realizzabilità. In campo gli indicatori sono molteplici e di facile reperimento – numero di esemplari/frutto o numero esemplari/foglia e così via. Negli stabilimenti se ciò può essere con i dovuti distinguo per gli artropodi non lo potrà mai essere con i roditori per i quali ciò sarebbe impossibile per il fatto che i danni sono quasi tutti di tipo indiretto e sarebbe opinabile e discutibile stabilire dei rigorosi limiti di tolleranza.
In ambito agroindustriale difficilmente ci si trova a operare su strutture assimilabili l’una all’altra e tale diversificazione impone la specifica disamina dei singoli casi e dei conseguenti interventi. Ricordiamo che se nel nord Italia queste strutture risultano collocate in aree industriali dedicate, nel meridione è frequente che siano ubicate in prossimità di centri urbanizzati e avvolte perfino all’interno del tessuto cittadino. Ovviamente anche la vetustà del corpo di fabbrica gioca un ruolo preponderante condizionando le tipologie di intervento in funzione anche della tipologia di macchinari che possono differenziarsi per ingombro e caratteristiche costruttive.
Il trasferimento del concetto di lotta integrata a questo comparto può essere di supporto alla soluzione del problema, si possono mettere insieme tutta una serie di informazioni tali da mettere in moto un approccio metodologico basato sull’integrazione e la taratura delle informazioni ispirata a quanto collaudatamente e più facilmente viene fatto in campo nel settore agricolo.
Gran parte di queste informazioni possono provenire dal monitoraggio. Quest’ultimo, infatti, non viene di norma adeguatamente considerato dai responsabili aziendali ma allo stesso tempo viene, talvolta, scorrettamente proposto tra le soluzioni dall’operatore chiamato a risolvere il problema.
Esiste un monitoraggio rivolto ad acquisire informazioni spaziali sul problema che consente di fotografare una situazione cogliendone gli aspetti legati alla dinamicità, un monitoraggio rivolto alla definizione di soglie e piano degli interventi, un monitoraggio di accertamento ex-ante ed ex-post, il collocamento della trappola e solo l’inizio di un’attività preliminare che dovrebbe essere condotta e seguita da portatori di competenze che oggi in Italia ricadono solo sul tecnologo alimentare.
Non esiste monitoraggio slegato da analisi qualitative del prodotto e/o della materia prima in ingresso e in uscita; nel settore molitorio, a esempio, in scarsa considerazione vengono tenuti i filth-test e i controlli sulle caratteristiche reologiche che ove eseguiti difficilmente vengono ricondotti e valutati in funzione delle risultanze del monitoraggio stesso. Se si vuole (ma ciò è quasi obbligatorio) solo verificare o meno la presenza di un determinato artropode basta anche una sola trappola o al limite tre dislocate strategicamente all’interno della struttura (cattura spia) (cfr. foto); più che il numero (sulla cui scelta influiscono spesso logiche diverse) l’importante è che questa venga controllata secondo criteri oggettivi legati alla mera funzionalità della stessa; se funziona per cattura mediante colla fondamentale è la verifica della tenuta della capacità collante della superficie preposta e ancora se funziona per adescamento fondamentale è che ci sia della presenza della sostanza o dell’olio adescante e cosa più importante, qualora sia di tipo a feromoni, che la sostituzione del dispenser di feromoni avvenga nei giusti tempi e non in relazione al numero di interventi annui pattuiti. Le colle, che normalmente vengono impiegate nella quasi totalità delle trappole utilizzate per il monitoraggio, hanno una vita media che non supera i 15-20 giorni che scendono a pochi giorni in ambienti estremamente polverosi come i molini, i depositi alimentari etc..
Nei casi, sebbene limitati, in cui sia possibile ipotizzare un controllo attraverso il trappolaggio, oltre che una verifica sulla presenza della specie stessa, il numero delle trappole può risultare più alto, stando attenti a non sovrapporre più trappole nello stesso raggio di azione poiché questo avrebbe come effetto di metterle in competizione ottenendo dati falsati. La tipologia di trappola (intesa anche come modello e marca) così come il sito di posizionamento e il numero non dovrebbe essere fatta variare nel corso della stagione; nel caso della tipologia, se ciò dovesse essere necessario, andrebbero fatte delle verifiche di rispondenza tra i diversi tipi di trappola affinché eventuali differenze in efficienza possano essere prese nella giusta considerazione. Deve sempre essere tenuto conto che l’andamento delle dinamiche di popolazione dei parassiti variano di anno in anno e risentono di fattori estrinseci e intrinseci alla struttura dei quali si deve cercare di avere la più ampia contezza. Tutto ciò concorre alla messa a punto delle strategie di prevenzione e controllo dei parassiti in una qualsiasi struttura alimentare.
L’esperienza e le esperienze quotidiane mettono, purtroppo, in luce come questi aspetti siano sempre trascurati a scapito della tanto decantata qualità e sicurezza alimentare.
Del tutto simili sono i problemi relativi alla gestione del problema roditori ove nella stragrande maggioranza dei casi sovente si confonde un monitoraggio con una comune derattizzazione. L’errore parte da una non chiara conoscenza della differenza tra esche virtuali (assenza di principio attivo – p.a.) ed esche avvelenate (con presenza di p.a. ad azione anticoaugulante). L’esca virtuale dovrebbe essere sempre posizionata e utilizzata sia all’interno che all’esterno delle aziende e sostituita con esca avvelenata solo dopo che sia stato accertato il consumo della stessa da parte degli animali target. Anche in tal senso, spesso, l’identificazione del target avviene spesso grossolanamente e si limita a una distinzione tra piccole e grandi dimensioni; mentre dovrebbe essere molto precisa per quel che concerne l’identificazione della specie. Finanche questo passa attraverso le catture di monitoraggio che nulla hanno a che vedere con l’intervento di derattizzazione.
Quando si opera un monitoraggio di roditori, il numero di interventi annui deve essere proporzionato, per numero di esche e visite di controllo, all’entità della struttura, ciclo produttivo (l’industria molitoria presenta problemi profondamente differenti da un’industria ittica).
Certamente i costi di gestione di problematiche così complesse incidono parecchio sulle aziende che, se da una parte si prefiggono qualità e sicurezza elevate per i loro prodotti finali, dall’altra tendono a minimizzare al massimo la spesa accettando contratti di gestione dei parassiti economicamente convenienti ma di dubbia efficacia nella risoluzione del problema. Non esiste qualità senza un piano di intervento che passa attraverso il monitoraggio precipuo per la singola azienda e il singolo aspetto. Nessuna Ditta di disinfestazione dovrebbe accettare di intervenire su chiamata e ancor meno a calendario senza un preliminare e complesso recupero delle informazioni provenienti dai differenti tipi di monitoraggio. Ovviamente questo comporta un rapporto stabile e continuativo con la Ditta che solo attraverso un’approfondita conoscenza dell’impianto potrà definire e programmare la gestione annuale dei parassiti animali a tutto tondo.
Ancor più complesso sarebbe entrare nel discorso della Certificazione di qualità che riguarda sia l’Azienda agroalimentare sia la Ditta di disinfestazione; si tratta di scelte che non possono esimere da adempimenti per certi versi onerosi ma che comportano assunzioni procedurali dalle quali nel breve tempo non si potrà più prescindere.
Un richiamo, in ultimo, si ritiene debba essere fatto a tutte quelle Ditte che operano prevalentemente nel settore delle pulizie alle quali la vigente normativa consente di operare indiscriminatamente anche nel settore della disinfestazione urbana (e sin qui poco male) ma anche nel comparto agroalimentare; è fuori discussione che per operare in quest’ultimo comparto le competenze necessarie risultano sicuramente più complesse. In tal senso non resta che auspicare in un’adeguata riqualificazione che presumibilmente passi attraverso l’affiancamento a figure professionali specializzate come il Tecnologo alimentare.
Molto è stato fatto e si sta facendo per qualificare e sostenere la qualità e la sicurezza alimentare nel settore della disinfestazione; è nella natura del “sistema monitoraggio” che questo attraverso un approccio standard possa essere adottato sia dalle aziende del comparto alimentare sia della grande distribuzione nonché dagli operatori del settore della disinfestazione che con il loro impegno concorrono alla risoluzione di problemi di carattere igienico-sanitario da sempre sottovalutati a favore di altri aspetti non sempre superiori per rischio e gravità.
Vincenzo Palmeri*, Orlando Campolo*, Agatino Maurizio Verdone*
*Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari e Forestali – Università Mediterranea di Reggio Calabria.
Autore referente: vpalmeri@unirc.it
Didascalie foto
Fig. 1 – Tracce di roditori in un’industria molitoria
Fig. 2 – Trappola ad attrattivo alimentare
Fig. 3 – Interno di un quadro elettrico in un locale di ristorazione pubblica