(Tratto da “GSA Igiene Urbana” n.1, Gennaio-Marzo 2009)
Alla ricerca di tecnologie innovative per lo smaltimento corretto dei rifiuti, la nostra autrice si imbatte in qualcosa che certamente nuovissimo non è, ma che forse soltanto ora comincia ad acquisire una sua credibilità e a conquistarsi un posto di rilievo nel comparto industriale che è chiamato a governare la filiera dei trattamenti e degli smaltimenti attraverso l’adozione delle “best available technologies”
Fino a non molto tempo fa, nel mio immaginario, il GoreTex era esclusivamente un tessuto “tecnologico” usato per lo più per realizzare giacche a vento, scarponcini da trekking, attrezzature per la montagna essenzialmente. Il sito dell’azienda, peraltro, non propone molto di più o di diverso, confermando una “vocazione” del prodotto essenzialmente rivolta a capi d’abbigliamento o simili:
“…I tessuti GORE-TEX® vengono creati laminando la nostra speciale membrana GORE-TEX® e dando vita a tessuti ad alte prestazioni, termosaldati con una soluzione innovativa che garantisce una protezione impermeabile al 100%.
Le proprietà della membrana GORE-TEX®:
- Impermeabilità prolungata all’acqua
- Altamente traspirante
- Estremamente resistente al freddo
- Incredibilmente resistente all’usura
- Di lunghissima durata
Il segreto di un tessuto GORE-TEX® sta nella sua rivoluzionaria membrana a doppio componente…
…Abbiamo creato un tessuto GORE-TEX® totalmente antivento proprio per mantenerti caldo mentre ti diverti andando a caccia, sciando o praticando lo snowboard, nelle condizioni di freddo e vento più rigide. Così, mentre i tuoi amici ti pregheranno di rientrare, tu li pregherai per restare fuori ancora un poco…”
Da appassionata della montagna, sia invernale che estiva, ho adottato da parecchi anni capi d’abbigliamento tecnici e calzature realizzati con questo eccellente materiale, che effettivamente mantiene le promesse, assicurando a chi li indossa le caratteristiche di impermeabilità, traspirazione e resistenza sottolineate nelle campagne pubblicitarie a supporto dei prodotti in questione.
Onde evitare che mi si possa tacciare di produrre uno spot a favore dell’azienda Gore-Tex, voglio subito chiarire il perché di questa premessa.
Se è vero che sono una appassionata della montagna, è anche vero che da lungo tempo mi occupo professionalmente di ambiente e di tecnologie di trattamento dei rifiuti, e dunque è in questa veste che mi sono imbattuta in un utilizzo del tessuto Gore-Tex assai diverso da quelli a me ben noti e dei quali ho parlato più sopra. Si tratta, in sintesi, dell’impiego della membrana per la ricopertura dei cumuli in impianti di biostabilizzazione. Vediamo un po’ meglio di cosa stiamo parlando.
Cos’è questo materiale?
Il Gore-Tex è in realtà politetrafluoroetilene (PTFE) espanso termomeccanicamente. Il tessuto vero e proprio è costituito da dieci membrane di Gore-Tex , ciascuna delle quali presenta circa 1,4 miliardi di microscopici fori per centimetro quadrato. Ciascun foro è 20.000 volte più piccolo di una goccia d’acqua, e quindi l’umidità non può passare, mentre è 700 volte più grande di una molecola di vapore acqueo e perciò ne consente il passaggio: di conseguenza, il tessuto risulterà da un lato impermeabile, e dall’altro traspirante.
A cosa serve, nel caso del trattamento dei rifiuti, la membrana di Gore-Tex?
Come ho anticipato, viene utilizzata per la copertura dei cumuli negli impianti di biostabilizzazione: questi impianti hanno in passato trovato il loro impiego essenzialmente a valle di operazioni volte a bonificare discariche dismesse e quindi al recupero e messa in sicurezza di terreni fortemente degradati. In particolare, laddove siano state realizzate operazioni di “landfill mining”, ossia attività volte a trattare le discariche mediante asportazione per escavazione di quanto ivi depositato. L’abbinamento del “landfill mining” con il trattamento di biostabilizzazione ha consentito, infatti, non solo di recuperare volumi di discarica (l’estensione della capacità delle vecchie discariche evita di puntare a nuove aperture, cosa oggi assai complessa, stante l’oramai diffusissima sindrome Nimby) e di bonificare l’area sulla quale insiste la discarica stessa (è del tutto evidente come ciò sia di assoluto rilievo a fronte di vecchie discariche realizzate e gestite senza mettere in atto tutte le tecnologie atte a garantirne la sicurezza), ma in più ha consentito di valorizzare i materiali riciclabili, di recuperare una frazione secca ad alto potere calorifico utilizzabile in impianti di incenerimento con recupero di energia, di realizzare risparmi impiegando i materiali trattati per la ricopertura delle discariche stesse, di rimuovere eventuali rifiuti pericolosi, di ridurre i costi dei ripristini post-mortem.
Quando interviene la biostabilizzazione?
In pratica, a valle della esumazione dei rifiuti, si attua una vagliatura meccanica che consente di separare i materiali che non devono essere trattati al fine della loro mineralizzazione (metalli, materiali lapidei…); a seguire, si sottopone a biostabilizzazione il residuo, che è caratterizzato da prevalente componente organica, e che viene mineralizzato abbattendone il potenziale inquinante (il materiale sottoposto a biostabilizzazione è quello che, in discarica, subisce un processo anaerobico di decomposizione che produce biogas e percolato, ovvero pericolosi inquinanti dell’atmosfera e della falda: l’azione combinata della insufflazione d’aria e delle reazioni esotermiche dei batteri, così come si realizza nell’impianto di cui si parla, produce stabilizzazione, essiccazione e riduzione della pericolosità).
(inserire qui fig. 2, schema di flusso landfill mining ecc.))
Come funziona la biostabilizzazione?
La degradazione avviene in virtù di un processo aerobico basato su bio-pile statiche al di sotto delle quali viene insufflata aria; in altre parole, i rifiuti da trattare vengono accumulati su platee pavimentate o trincee, i cumuli vengono ricoperti con i teli in Gore-Tex mentre al di sotto dei cumuli è realizzata una canalizzazione alimentata da un ventilatore dotato di inverter, che provvede alla insufflazione; il controllo dei livelli di saturazione di ossigeno e della temperatura di processo consentono di ottimizzare il processo stesso e di ottenere infine un materiale mineralizzato e stabile dal punto di vista chimico-fisico. È importante sottolineare che questo processo di biostabilizzazione è caratterizzato dai tempi brevi di lavorazione, che ne fanno una vera e propria fase accelerata.
Qual è il ruolo della membrana di Gore-Tex in questo processo?
Essa viene impiegata come mezzo di confinamento dei rifiuti sottoposti a trattamento, e ciò al fine di poter lavorare all’aperto, senza quindi la necessità di biofiltri e assicurando il rispetto ambientale. Il Gore-Tex, come ho detto più sopra, è impermeabile agli agenti atmosferici e inoltre risulta impermeabile anche alle molecole odorigene; per contro, è permeabile al vapore acqueo e all’anidride carbonica, che sono inodori; ancora, questa membrana è in grado di trattenere germi e batteri presenti in grande quantità nei rifiuti organici sottoposti a trattamento, assicurando così condizioni di lavoro migliori al personale impiegato.
E dopo cosa succede?
A valle della biostabilizzazione, poi, il materiale trattato viene sottoposto a trattamento meccanico in vaglio rotante, così da ottenere due flussi di materiali, ovvero un sottovaglio (stabilizzato, ovviamente) utilizzabile per ricopertura di discariche o come terriccio idoneo a recuperi ambientali, ed un sovvallo composto da materiale secco ad elevato potere calorifico (CDR) utilizzabile in impianti di incenerimento con recupero di energia. È anche possibile introdurre nel ciclo una fase di selezione manuale dei rifiuti biostabilizzati, così da poter recuperare materiali riciclabili.
Questo, in estrema sintesi, il processo di lavorazione dei rifiuti che vede l’impiego della membrana di Gore-Tex. Di tale processo si ha notizia grazie ad un esauriente articolo risalente al giugno del 2003, i cui autori, Giorgio Ghiringhelli, Michele Giavini e Sergio Cenedese, hanno fornito ricca documentazione. L’abstract di tale articolo riporta che
“…In Italia il primo progetto di landfill mining con trattamento biologico in cumuli statici coperti con membrana Gore-Tex è stato attuato con successo presso la discarica ASVO di Portogruaro (VE). L’impianto in questione, situato in località Centa Taglio, presentava rilevanti problemi di inquinamento dell’acqua di falda, in quanto la parte inferiore dei rifiuti, depositati circa 20 anni prima nel lotto1 della discarica, erano venuti in contatto con l’acqua di falda. Per evitare ulteriori problemi di inquinamento alle locali reti di acquedotto si trattava quindi di intervenire con la massima urgenza e rimuovere una massa di circa 250.000 m3 di materiale di rifiuto interrato.
Il progetto ha previsto quindi la realizzazione di una platea di cemento suddivisa in 12 “zone”, ovvero 12 cumuli di trattamento di ca. 40 x 8 m ed altezza media di 3 m, ciascuno dei quali dotato di relativo telo di copertura in Gore-Tex, canalizzazioni a raso, idonee a distribuire l’aria soffiata dai ventilatori e raccogliere anche eventuali rilasci di percolazioni liquide…”
Le operazioni di bonifica, nel caso illustrato dall’articolo, si sono concluse dopo circa 2 anni di lavoro, permettendo il recupero dei volumi esistenti della vecchia discarica, il loro adeguamento ai nuovi standard di legge per accogliere di nuovo rifiuti pretrattati, oltre, come detto in precedenza, al recupero di materiali riciclabili e/o utilizzabili per il loro uso nei termovalorizzatori.
In Italia, come è noto, vi è stato un notevole sviluppo degli impianti di trattamento meccanico e biologico, TMB: il driver principale di questo sviluppo è stato indubbiamente il Decreto Ronchi, del febbraio 1997, laddove prescriveva che le discariche non potessero più accogliere, nel futuro, rifiuti non precedentemente trattati, ma per la verità di impianti di selezione delle frazioni secca e umida si parlava già da alcuni anni prima, anche come trattamento a monte degli inceneritori. I TMB, secondo uno schema oramai classico, intervengono a valle della raccolta differenziata: quest’ultima, che rappresenta l’attività più rilevante in un moderno modello di gestione dei rifiuti, ha tra i suoi obiettivi il recupero e riciclaggio dei materiali, la riduzione della pericolosità e l’abbattimento del carico organico, intercettando la frazione fermentescibile da avviare a compostaggio. Il TMB, ripeto a valle della raccolta differenziata, ha tra i suoi principali obiettivi una ulteriore separazione dei materiali riciclabili, la stabilizzazione biologica della frazione organica sfuggita alla intercettazione a monte, l’aumento del potere calorifico del residuo da destinare ad incenerimento con recupero di energia.
Rispetto al TMB, il processo di cui sto parlando sembra proporsi in maniera sì alternativa, ma sostanzialmente diversa, evidenziando una propensione a intervenire laddove occorra una forte accelerazione dei tempi operativi, e quindi particolarmente efficace nelle situazioni emergenziali, peraltro assai frequenti nel nostro Paese. Infatti, potendo operare in spazi aperti, risulta molto meno impegnativo in termini di opere civili e di investimenti; gli obiettivi primari sono poi una rapida riduzione di pesi e volumi dei rifiuti trattati, obiettivi confermati da tutte le prove pratiche sin qui realizzate, ma anche una composizione degli output molto interessante: ad un calo in peso dell’ordine del 25-30% ottenibile in circa tre settimane di trattamento in cumulo statico insufflato confinato con Gore-Tex, corrisponde altresì una significativa quota di materiali recuperati per il riciclaggio (dal 20 al 30%, in funzione della tipologia di rifiuto in input), mentre il residuo 35-40% risulta equamente distribuito tra sovvallo da avviare a incenerimento e sottovaglio da utilizzare per ricopertura di discariche.
In sostanza, il processo in questione può rappresentare, come dicevo sopra, pur nella sua diversità una alternativa ai TMB, e ciò sembra confermato da recentissime sperimentazioni condotte sia su sottovaglio da trattamento meccanico dei rifiuti sia su rifiuto urbano tal quale raccolto a valle della raccolta differenziata. Nell’ambito di queste prove, sono stati monitorati differenti parametri:
- temperatura media
- concentrazione di ossigeno
- indice respirometrico statico (IPLA)
- variazione volumetrica (conferma di valori di riduzione tra il 30 e il 35%)
- variazione in peso (conferma di valori attorno al 40%)
- produzione di percolato (trascurabile)
- analisi di laboratorio
I risultati dei citati monitoraggi sembrano confermare le aspettative.
Mi sa che la prossima volta che andrò a sciare, o a fare una escursione estiva sulle nostre belle montagne, mi toccherà fatalmente di pensare anche al ciclo integrato della gestione dei rifiuti…
NdA: Le immagini contenute nel presente articolo sono tratte dal citato lavoro “Bonifica della discarica per rifiuti urbani di Portogruaro mediante landfill mining in abbinamento al trattamento biologico in biopile dei rifiuti scavati”, di G. Ghiringhelli, M. Giavini e S. Cenedese
Rosie O’Grady