“Oltre il 46% degli appalti pubblici di gestione rifiuti urbani è sottratto al mercato e alla libera concorrenza, di particolare interesse degli utenti, e viene gestito attraverso affidamenti in house pur in assenza di requisiti. Il recepimento delle Direttive europee su Appalti e Concessioni costituisce un’occasione preziosa e non rinviabile per superare una volta per tutte questa situazione di monopolio de facto, favorendo l’efficienza dei servizi ed il contenimento dei costi per il cittadino e, non ultimo, avvicinando il nostro mercato ai modelli adottati negli altri Paesi comunitari”.
E’ questa l’appello lanciato il 4 marzo scorso dal Presidente FISE Assoambiente (Associazione dei servizi ambientali di Confindustria) – Monica Cerroni nel corso del Convegno promosso dall’Associazione dal titolo “Contratti pubblici, concorrenza e partecipazione alle gare: prospettive e casi di applicazione ai servizi di igiene urbana”. L’evento ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Giovanni Pitruzzella – Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Altero Matteoli – Presidente della 8a Commissione del Senato e Simona Vicari – Sottosegretario Ministero per lo Sviluppo Economico, oltre che di giuristi, rappresentanti del Ministero dell’Ambiente e della Corte dei Conti.
Il settore dei servizi e della gestione dei rifiuti urbani – che esprime un fatturato complessivo di circa 10 miliardi di euro – risulta oggi per non lungimiranti e penalizzanti politiche degli Enti locali, strutturalmente poco permeabile ai principi della concorrenza, con conseguente frequente elusione o non applicazione delle norme in materia di appalti pubblici che condizionano negativamente l’onere per l’utenza e il funzionamento del comparto e le sue possibilità di sviluppo.
Secondo i dati più recenti forniti dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nel settore dell’igiene urbana resta fuori controllo l’incidenza nazionale degli affidamenti in house in assenza di requisiti (46,8%), contro il 22,8% dei servizi affidato per via diretta in presenza delle condizioni richieste, mentre solo il 30,4% degli affidamenti avviene tramite procedure ad evidenza pubblica; tale situazione di effettiva chiusura del mercato determina, secondo la stessa Autorità, “la necessità di intervenire nei servizi pubblici locali e nelle società pubbliche al fine di superare quel ‘capitalismo pubblico’ che non consente di raggiungere adeguati livelli di efficienza e di qualità dei servizi”. Senza contare che il nostro Paese figura, più in generale, agli ultimi posti in Europa per indice di apertura alla concorrenza: 66% contro il 94% del Regno Unito (stima Istituto Bruno Leoni). Solo Grecia e Lussemburgo fanno peggio.
Il recepimento delle Direttive in materia di appalti e concessioni, oggi all’esame della 8a Commissione del Senato e che dovrebbe chiudere il suo complesso iter entro l’inizio del prossimo anno, costituisce l’occasione per definire un quadro normativo in materia coerente che superi quanto ad oggi normato dal legislatore con continue e alternanti regolamentazioni spesso contraddittorie e certamente penalizzanti per un reale mercato competitivo; tali norme peraltro rappresentano uno dei principali motivi dell’elevato tasso di contenzioso che caratterizza l’affidamento dei servizi di igiene urbana.
Nell’ambito degli appalti pubblici il livello di contenzioso nel nostro Paese ha registrato negli ultimi anni una brusca impennata: se tra il 2009 e il 2013 la media annua è stata di 55.000 ricorsi, nel 2014 si è toccato la quota monstre di 63.723 ricorsi proposti. Il contenzioso relativo agli appalti pubblici pesa per il circa il 9% del totale dei ricorsi al TAR e per il circa il 17% dei ricorsi in appello. Il tempo medio di attesa per la definizione del ricorso con sentenza in primo grado (dove si ferma quasi l’85% dei ricorsi) può raggiungere fino a 250 giorni.