(Tratto da “GSA igiene urbana” n 2,aprile-giugno 2011)
Nel 2050 la popolazione mondiale raggiungerà i nove miliardi di abitanti. Il 70 per cento di loro abiterà in città. Al centro dello sviluppo futuro vi è dunque la città. Al centro dell’attenzione dei cittadini, ma anche dei potenziali investitori e degli amministratori vi dovrà essere la qualità della vita.
La popolazione mondiale, che nel 2009 era pari a 6.830.000 individui, è in continua crescita e si stima che nel 2050 supererà abbondantemente quota 9 miliardi. Il nostro Paese è previsto in controtendenza, con una diminuzione della popolazione dell’ordine del 4.5-5%, in altre parole passeremo dagli attuali 60 milioni a circa 57. In entrambi gli scenari, quello della crescita che riguarda soprattutto i paesi in via di sviluppo e quello del decremento che riguarda esclusivamente il Vecchio Continente, è però costante la tendenza all’urbanizzazione che, dopo avere recentemente scavalcato la soglia del 50%, arriverà, sempre nel 2050, al livello record del 70%.
I problemi che deriveranno dalla crescita demografica sono sostanzialmente riconducibili a quello della alimentazione e a quello della disponibilità di energia, essenziale per lo sviluppo: due problemi che vanno poi a incidere profondamente sull’ancor più generale tema della salvaguardia dell’ambiente. Come verranno risolti? A sfamare il mondo provvederà la scienza, l’industrializzazione, l’agribusiness oppure prevarrà la ricerca della sostenibilità? A dargli l’energia necessaria e sufficiente provvederanno ancora in larghissima misura carbone, gas, petrolio e nucleare, o al contrario faremo nostra la lezione di Jeremy Rifkin, che propone il decentramento energetico, trasformando ogni abitazione in una fonte di energia, in un network di democrazia energetica? Io penso che i poco meno di quarant’anni che ci separano dalla metà del secolo non siano sufficienti a cancellare una opzione a favore dell’altra, e probabilmente nel 2050 saremo ancora a metà del guado, in un contesto ancora caratterizzato da aspre battaglie ideologiche.
Ma quello che qui mi preme sottolineare è un terzo problema, che emerge dai dati sopra riportati, ossia quello della progressiva, inarrestabile urbanizzazione. Se a livello mondiale assisteremo al crescente sviluppo di megalopoli da 20, 30, 40 milioni di abitanti (si stima che quelle con oltre 10 milioni saranno ben 27, con Tokyo in testa alla graduatoria, a quota 36 milioni o giù di lì), è del tutto palese che occorrerà pensare a innovativi modelli di crescita delle città, in grado di sopportare questo enorme impatto; ma occorrerà altresì pensare a come progettare lo sviluppo delle piccole e medie città europee, che non dovranno fare fronte a masse di popolazione crescenti a tassi eccezionali, ma dovranno fornire risposte a cittadini che richiederanno sempre migliore “qualità”. I due temi, quello della crescita demografica e quello della crescita delle aspettative, dovranno evolvere secondo percorsi che molto spesso e inevitabilmente si incroceranno, interferiranno l’uno con l’altro reciprocamente influenzandosi, anche se le priorità, gli obiettivi strategici, le azioni da intraprendere saranno inevitabilmente diversi tra loro.
Nel dicembre scorso, sono stati pubblicati i risultati della ricerca annuale del Sole 24 Ore sulla qualità della vita nelle nostre città.
La classifica 2010 ha visto Bolzano e Trento guadagnare le prime due posizioni, e Napoli “conquistare” l’ultima, ovvero la posizione numero 107. All’interno di questa clamorosa dicotomia tra Nord e Sud del Paese, molti altri “movimenti” meritano di essere citati: tra le grandi città, Milano perde due posizioni, scendendo dal 19° al 21° posto; Roma ne perde ben undici, scendendo dal 24° al 35°; Torino al contrario compie un significativo balzo in avanti, passando dal 68° al 54° posto. Tra le città medio-grandi, brilla Bologna che sale dal 13° all’8° posto, mentre Firenze scende sia pur di poco, dal 14° al 16°, Genova a sua volta scende di cinque posizioni, dal 19° posto al 24°, Bari passa dal 92° al 93° e Palermo recupera una posizione, dalla 102 alla 101. vi sono poi da segnalare alcune performance di rilievo, quali Oristano che balza dal 27° posto al 9°, Cuneo dal 22° all’11°, Ferrara dal 41° al 27°, Modena dal 47° al 32°, Bergamo che recupera ventitré posizioni insediandosi al 36° posto, e addirittura Sassari che guadagna qualcosa come trentotto posizioni, passando così dal 79° al 41° posto. Naturalmente, vi sono anche prestazioni di segno contrario, quali ad esempio Grosseto, che scende dal 7° al 22° posto, Treviso che perde 12 posizioni, Vercelli 19, Savona 23, La Spezia 16, Lucca 23, Rieti 20, Imperia 32, Ascoli Piceno 28, Chieti 21, Campobasso addirittura 47, crollando dal 33° all’80° posto della pagella finale.
Questa fredda elencazione richiederebbe, com’è ovvio, una approfondita analisi, volta a comprendere come i 107 capoluoghi di provincia si siano mossi all’interno delle differenti “classifiche”, che insieme determinano le graduatorie di sintesi sopra esposte: come è noto, la ricerca del Sole 24 Ore prende in considerazione diverse componenti, a loro volta raggruppate in sei differenti “tappe”: il tenore di vita, affari e lavoro, servizi ambiente salute, popolazione, ordine pubblico e, per finire, tempo libero. Le molteplici componenti esaminate dalla ricerca forniscono dunque uno spaccato dei capoluoghi di provincia italiani, spaccato che in ultima analisi ci consente di valutare in maniera sufficientemente esaustiva quella che è la qualità della vita in queste città, vista nel suo insieme, ma ci consente altresì di valutare quali sono i punti di forza e quelli di debolezza d’ogni realtà presa in esame. Così, ad esempio, la città di Bolzano, prima assoluta nella pagella riassuntiva, è solo al 57° posto in quanto a tenore di vita, mentre al primo posto troviamo Milano, che si aggiudica questa tappa in virtù di indicatori molto alti relativamente ai depositi bancari per abitante, ai consumi delle famiglie, all’importo medio delle pensioni e via discorrendo; Bolzano recupera la prima posizione nella graduatoria relativa ad affari e lavoro, grazie all’elevato indice di occupazione femminile ed ai bassissimi livelli di fallimenti e protesti; forse contrariamente alle aspettative, Milano è qui soltanto al 54° posto, specie come conseguenza dell’elevato numero di fallimenti e protesti; infrastrutture e sanità consentono a Milano un buon 15° posto nella tappa di servizi ambiente salute, laddove Bolzano si colloca al 7° posto grazie particolarmente a pagella ecologica, disponibilità di asili comunali e velocità della giustizia; Bolzano poi si aggiudica un ottimo 3° posto nella tappa dedicata all’ordine pubblico grazie soprattutto alla bassa incidenza dei furti d’auto e nelle abitazioni nonché delle estorsioni, laddove Milano “conquista” un drammatico ultimo posto, a causa della diffusa microcriminalità, dei furti e delle truffe!
Mi sono limitata a pochissimi casi, solo al fine di fare ben comprendere al lettore come la pura e semplice visione della “pagella finale” dia luogo ad interpretazioni che risultano necessariamente incomplete, e dunque di scarsa utilità. Una lettura più attenta e approfondita potrebbe viceversa rivelarsi estremamente utile, all’interno di un processo volto a individuare le linee di tendenza, le aspettative dei cittadini, le scelte che competono agli amministratori locali eccetera, in termini di qualità della vita nelle città.
Come ho già ricordato più sopra, da un paio d’anni si è realizzato il grande sorpasso: più della metà della popolazione del nostro pianeta, infatti, vive ora nelle città. Stiamo parlando di qualche miliardo di persone che, a svariato titolo, hanno progressivamente abbandonato le campagne, per una scelta di vita che ha privilegiato, appunto, le grandi conurbazioni o anche città di dimensioni più contenute, ma sempre caratterizzate da un più accentuato vivere sociale.
Se questo è vero, come è vero, allora il tema della qualità della vita nelle città diventa una priorità assoluta, e assai complessa da sviluppare, posto che sotto questa generica definizione si possono collocare tutti gli indici presi in considerazione dalla ricerca sopra ricordata, e altri ancora che il sia pur eccellente lavoro svolto dal Sole 24 Ore non ha potuto o voluto considerare.
Vorrei richiamarmi a quelli che sono da tempo accettati come i tre principali indicatori, ai quali guardano gli investitori, grandi e piccoli, allo scopo di individuare le aree nelle quali indirizzare i propri sforzi, ovvero la qualità ambientale, la qualità sociale e la propensione all’innovazione. Cosa si deve intendere con questi indicatori? In buona sostanza, si deve intendere che se io penso di investire il mio denaro in una intrapresa, è perché voglio che essa abbia successo, che si traduca cioè in profitto, e questo è tanto più probabile quanto più le condizioni in cui dovrò operare sono favorevoli. Voglio quindi scegliere una “location” che mi consenta di sviluppare il mio business in un ambiente favorevole sotto molteplici aspetti, dove la criminalità sia contenuta, dove il contesto sociale sia scarsamente conflittuale, dove i servizi siano efficienti e la burocrazia snella, dove io possa reperire partner, collaboratori, dipendenti eccetera in grado di darmi un contributo fattivo, dove vi sia un elevato livello di scolarità e così via. E questo è il caso dei grandi investitori. Ma c’è poi una vasta popolazione di piccoli investitori, se così possiamo definire ad esempio i pensionati, che al termine di una vita di lavoro possono decidere di rimanere dove hanno sempre vissuto oppure di stabilirsi altrove, in un contesto a loro più favorevole: le “pantere grigie” portano con sé, frequentemente, una buona capacità di spesa, ma questa disponibilità li induce a cercare una città, una regione, un Paese che sia a loro misura: insomma, una città, una regione, un Paese dove si viva bene.
Richiamare investitori, è chiaro, significa moltiplicare occasioni di lavoro, accrescere il benessere, innescare un meccanismo evolutivo: la qualità richiama i capitali, che contribuiscono ad accrescere la qualità, che richiama altri capitali eccetera.
Pensiamo ad esempio ad una città come New York: non è la capitale degli Stati Uniti, né è la città più industrializzata, però è da sempre la città che viene in mente per prima se uno pensa all’America; perché? Perché è certamente la città più stimolante, quella dove si esalta in massima misura la creatività, la città dove avviene tutto, e prima che da ogni altra parte del mondo; è un gigantesco pentolone, un “melting pot” come dicono loro, dove convivono genti di tutte le provenienze, di tutte le razze, di tutti i colori, di tutte le religioni, un mix incredibile che sta alla base di una infinità di esperienze di avanguardia, che consente di considerare la Grande Mela come un luogo dove la propensione all’innovazione è ai massimi livelli! Però New York, come tutte le grandi conurbazioni, presentava e in parte presenta tuttora una quantità di problemi sociali: ebbene, un sindaco particolarmente impegnato a tentare di risolverli, Rudolph Giuliani, ha puntato nel recente passato molta della sua gestione a contrastare la micro-criminalità, ottenendo notevoli successi quanto a qualità sociale; e ora si punta con decisione a migliorare la qualità ambientale, investendo sul verde urbano, sulle piste ciclabili, sulla pedonalizzazione, su uno sforzo per “rallentare” la frenesia della città eccetera: in una intervista al New York Times, riportata da Repubblica del luglio 2010, la vice dell’attuale sindaco Bloomberg con delega alla salute e ai servizi sociali, Linda Gibbs, dice che “…New York è diventata una città più sicura: e qui abbiamo una tale ricchezza di parchi e di cultura che stiamo a poco a poco diventando una destinazione da accarezzare per chi va in pensione…e questa gente non viene qui soltanto corpo e anima: porta anche il portafoglio…”; magari la Gibbs esagera un poco, sappiamo bene che la meta più ambita da tutti o quasi i pensionati d’America è la Florida, però non esagera sottolineando il ruolo dei tre indicatori di cui sopra, qualità sociale, qualità ambientale e propensione all’innovazione. E ciò trova puntuale conferma in un dato assai significativo: l’efficienza dei trasporti pubblici e quella, energetica, dei grattacieli fanno sì che Manhattan risulti meno inquinata dallo smog, rispetto alla media della provincia!
Per rimanere ancora all’interno della capacità di attrarre investitori, grandi o piccoli che siano, vale forse la pena di ricordare anche alcune considerazioni, che scaturiscono da un recente studio del McKinsey Global Institute, dal titolo “Urban world: mapping the economic power city”. Questa ricerca, che naturalmente parte dalla osservazione della crescita costante della popolazione mondiale e della progressiva tendenza alla urbanizzazione, sottolinea il sensibile spostamento del peso economico delle città dall’Occidente verso il Sud e l’Est del mondo, ma sottolinea altresì che la crescita sembra privilegiare le medie città piuttosto che le megalopoli: se a prima vista questa considerazione sembrerebbe dare qualche vantaggio alle nostre principali città, Milano Roma Torino Napoli, ebbene la smentita arriva subito, con la nostra città più ricca, Milano, che esce dalle prime venti a livello mondiale nella proiezione al 2025, laddove nel 2007 figurava nelle parti alte della classifica, piazzata com’era all’undicesimo posto. Ciò parrebbe sottolineare la scarsa capacità del nostro Paese a mantenere i ruoli conquistati nel passato, se non ad aumentarli: da un lato, le nostre città non possono crescere “fisicamente”, anche per l’evidente carenza di spazio (e non è detto che questo sia un male…); dall’altro, le strategie sin qui messe in atto per sostenere la crescita economica non vengono ritenute sufficienti a competere con successo nel mercato mondiale, che non sarà più, osserva qualche studioso, un mercato di paesi, bensì un mercato di città.
Proviamo ora a chiederci per quale ragione si stia sviluppando in maniera abnorme l’urbanizzazione, ossia perché la tendenza a uscire dalle grandi città per andare a vivere nelle città satellite o comunque nelle estreme periferie stia cambiando direzione: certo vi è da mettere in conto la crescita demografica, ma altri sono gli elementi da considerare. Pensiamo ad esempio ai trasporti: chi nei decenni passati aveva scelto la strada del “commuting”, lavorando cioè in città ma fuggendo dalla stessa al termine della giornata lavorativa, si trova oggi a dover fare i conti con un traffico sempre più caotico e a costi crescenti del trasporto pubblico, e dunque è portato a riconsiderare l’ipotesi di stabilirsi in città. Pensiamo al fenomeno della immigrazione: è molto evidente che sia destinato a crescere in misura esponenziale, ma esso non punta ai sobborghi, bensì alla città, dove maggiori sono le probabilità di trovare lavoro. Pensiamo ai giovani, che sempre più sono attratti da ciò che le grandi città possono offrire per il tempo libero, per lo studio, per la cultura. Pensiamo ai consumi energetici: ho ricordato più sopra come sia meno energivoro un grattacielo, rispetto a una serie di villette a schiera di pari capacità abitativa. Insomma, sono molteplici i driver che nei prossimi decenni accelereranno i processi di urbanizzazione: è chiaro che diviene prioritario, per le amministrazioni, pianificare molto attentamente lo sviluppo, onde evitare che questa urbanizzazione produca mostri di invivibilità quali ad esempio Lagos. In altre parole, occorre pianificare in termini di sostenibilità ambientale, di qualità della vita.
Molte sono le opzioni alle quali pensare in questo processo di sistematizzazione, di pianificazione, di organizzazione, e naturalmente sempre secondo una logica di customizzazione, ossia tenendo ben presenti le specifiche realtà, per costruire piani “su misura” che utilizzino tutto ciò che la tecnologia mette a disposizione, ma adattandoli caso per caso. Guardiamo, per esempio, a quanto si sta facendo a Stoccolma per ottimizzare traffico e trasporti, dove un sistema gps montato sui taxi fornisce ai cittadini, che inviano tramite sms la propria posizione, in tempo reale informazioni sui flussi, sui tempi di percorrenza eccetera. Guardiamo, per esempio, allo sviluppo delle aree pedonali, che in Italia stentano a trovare spazio, contrastate come sono dalle lobby dei commercianti, mentre in altre realtà si punta ad interi quartieri pedonalizzati: eppure sappiamo che l’eliminazione o la sensibile riduzione del traffico consente di ridurre sensibilmente l’inquinamento acustico e dell’aria che respiriamo, aumenta significativamente il ricorso al trasporto pubblico (evidenti le ricadute sui bilanci dei comuni…), riduce i livelli di pericolosità e via discorrendo; non è poco, specie in un Paese come l’Italia che ha nel turismo una delle voci più importanti del proprio bilancio! Guardiamo ancora, per esempio, a quanto si può fare e in molti casi si sta già facendo, dal punto di vista del risparmio energetico, riqualificando l’edilizia, sia privata che pubblica, montando pannelli solari, migliorando l’isolamento di soffitti e pareti, intervenendo sull’efficienza di caldaie e così via (tra l’altro con effetti benefici sui livelli occupazionali…). Guardiamo al verde…e si potrebbe continuare a guardare a un sacco di cose fattibili, sempre che si riuscisse davvero a fare propria quella cultura della pianificazione che sta alla base di tutti i processi di sviluppo.
Mi sia consentito di segnalare che il titolo di “Capitale verde europea 2012” è stato assegnato ad una città basca di non grandi dimensioni, Votoria-Gasteiz, che vanta 240.000 abitanti: a Votoria-Gasteiz, il 73% dell’edilizia monta pannelli solari, il verde è largamente diffuso (ogni cittadino dispone di un parco a meno di 300 metri da casa), molto sviluppate sono le piste ciclabili, tutta la città è circondata da un anello di verde che consente di contenere lo sviluppo urbanistico e di sostenere l’ecosistema, e la qualità dell’aria è sempre piuttosto elevata. Della serie, non bisogna inventarsi niente, basta guardare a chi fa meglio di noi e usare il buon senso e il cervello!
Certo è che nel nostro Paese sembra essersi del tutto perduta la capacità di pianificazione, che in un lontano passato aveva portato addirittura alla creazione di “città ideali”, quali Pienza o Palmanova. I centri storici sono state assorbiti, in molti casi se non sempre, all’interno di sistemi urbani privi di governo del territorio. Il malessere sembra essere in costante sviluppo. I piani regolatori sembrano essere diventati strumenti di potere e non di pianificazione, di progettazione della crescita. A progettare ci prova ogni tanto, qua e là, qualche archistar, ma non sempre in contesti alieni ai condizionamenti. Ma è del tutto evidente che se non sapremo riprendere in mano la capacità di planning, il governo del territorio, la capacità di attrarre investitori, le nostre città, e con loro l’intero Paese, sono destinate ad un progressivo inarrestabile declino. Quanto ho cercato di brevemente illustrare conferma che al centro dello sviluppo futuro, vi è la città, e che al centro dell’attenzione vi deve dunque essere la “qualità”: al centro dell’attenzione dei cittadini, ovviamente, ma anche dei potenziali investitori e, naturalmente, degli amministratori locali, cui corre l’obbligo di fare della qualità il proprio faro.
di Rosie O’Grady