Il risultato netto, ad oggi, è dunque che le Strategie e le politiche di settore, adottate dai diversi Paesi Membri e dalle Istituzioni Locali, devono conformarsi alla necessità di dare priorità a riduzione, riuso e riciclaggio rispetto a recupero energetico e smaltimento.
Complementariamente, la nuova Direttiva interviene positivamente, e per la prima volta, sulle strategie intese alla riduzione, perché la stessa non rimanga una enunciazione di solo principio, pur essendo in cima alla Gerarchia. L’obiettivo è quello di arrivare al “disaccoppiamento” tra crescita economica e rifiuti prodotti, che sinora hanno invece mostrato andamenti paralleli, sino ad essere considerati indicatori gli uni dell’altra (fig. 2).
In effetti, viene stabilito l’obbligo (art. 29), per i Paesi membri, di definire dei “Piani di Prevenzione del Rifiuto”. Anche se tali Piani non sono sostanziati a tutt’oggi da obiettivi quantitativi comuni di riduzione in grado di “guidare” lo sviluppo delle strategie di prevenzione, viene comunque richiamata per la prima volta l’attenzione dei Paesi Membri, e la produzione da parte loro di politiche di settore, sulla necessità di dare attuazione effettiva al principio secondo il quale “il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto”. Su questo versante, sinora negletto nelle politiche di settore (mentre è stato perseguito con successo in diversi casi a livello di pratiche locali), ci si può dunque attendere una delle novità più interessanti per quanto riguarda le strategie negli anni a venire.
Figura 2: le produzioni specifiche (in kg/ab.anno) di RU in Italia ed altri Paesi EU, a confronto con altre aree del mondo.
(fonte: OECD Factbook 2008 (http://titania.sourceoecd.org/vl=3961547/cl=26/nw=1/rpsv/factbook2009/index.htm)
La nuova Direttiva Quadro intende dare corpo al principio del “disaccoppiamento”
tra crescita economica, da un lato, prelievo di risorse e produzione di rifiuti, dall’altro
Un altro punto dirimente della Revisione della Direttiva Quadro è la riclassificazione delle attività di incenerimento (che erano state assegnate dalle Sentenze della Corte Europea di Giustizia alla categoria “smaltimento”, a differenza dell’uso del CDR in sostituzione di altri combustibili) come “recupero energetico” o “smaltimento” in base a criteri tecnici oggettivi. Il dibattito si era soffermato sulla possibilità di definire un criterio di efficienza energetica minima (ossia quanta energia è effettivamente recuperata rispetto a quella contenuta nel rifiuto incenerito) oppure di applicare standard di qualità del materiale da incenerire (con particolare riferimento al potere calorifico minimo, un approccio già presente nello scenario tedesco). La scelta finale è caduta sul criterio della efficienza energetica, il cui livello minimo, per potere definire l’incenerimento come “attività di recupero energetico” è stato stabilito a livelli che richiedono, oltre alla eventuale produzione di energia elettrica, anche l’utilizzo di quella termica ad es. in sistemi di teleriscaldamento. Condizione, rileviamo di passaggio, che in molti degli impianti italiani non è rispettata.
Da più parti – e in particolar modo dall’Europarlamento – è stata poi richiesta la definizione di “obiettivi di riciclaggio” (in grado di guidare – a mimesi di quanto accaduto in passato con la Direttiva Imballaggi – i piani locali, le attività e gli investimenti connessi). Il principio si è concretizzato nell’Articolo 11, comma 2, che recita, in forma che dobbiamo giocoforza definire equivoca:
Al fine di rispettare gli obiettivi della presente direttiva e tendere verso una società europea del riciclaggio con un alto livello di efficienza delle risorse, gli Stati Membri adottano le misure necessarie per conseguire i seguenti obiettivi:
a) entro il 2020, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti quali, come minimo, carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei domestici, e possibilmente di altra origine, nella misura in cui tali flussi di rifiuti sono simili a quelli domestici, sarà aumentata complessivamente almeno al 50 % in termini di peso;
b) entro il 2020 la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale, incluse operazioni di colmatazione che utilizzano i rifiuti in sostituzione di altri materiali, di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi, (…) sarà aumentata almeno al 70 % in termini di peso.
Ora, se è chiaro l’obiettivo per i rifiuti da costruzione e demolizione, diverse sono le interpretazioni possibili per il punto a), che è l’esito finale della discussione relativa ad obiettivi di riciclaggio per i rifiuti urbani (“rifiuti dei nuclei domestici ed altri simili”) nel loro complesso. In particolare, la formulazione equivoca genera una discussione se l’obiettivo del 50% sia applicabile alle sole 4 frazioni (carta, metalli, plastica e vetro) citate esplicitamente, oppure, in ragione dell”almeno”, vada inteso come obiettivo più generale per tutti i RU, come pure dicevano, in forma più esplicita ed inequivocabile, formulazioni precedentemente adottate nelle bozze della Direttiva.
Diverse considerazioni ci portano a propendere per questa seconda valutazione, dal momento che:
- le sole 4 frazioni citate esplicitamente sono già coperte dagli obiettivi di cui alla Direttiva Imballaggi (che tra l’altro, sono superiori nel caso di carta, vetro, metalli)
- vi è almeno una risposta ufficiale della Commissione al DEFRA (Ministero dell’Ambiente ed Agricoltura del Regno Unito) in base alla quale si legittima l’interpretazione “estensiva” dell’obiettivo (che il Governo del Regno Unito giudicava in linea con quanto già previsto nella loro Strategia Nazionale sui Rifiuti)
Se così fosse, è evidente l’implicazione immediatamente conseguente: ossia che i sistemi di raccolta differenziata dovranno per forza prevedere la centralità della raccolta dell’organico, l’unica in grado di portare a risultati consolidati e su area vasta di oltre il 50% di recupero di materia (“riutilizzo e riciclaggio”, il che comporta un calcolo al netto degli scarti di lavorazione nei processi di recupero di materia).
Ad oggi, è appena il caso di ricordarlo, su tutto questo fa comunque premio la previsione del nostro Testo Unico Ambientale (D.lgs. 152/06, come modificato dal D.lgs. 4/08) che prevede comunque un obiettivo del 65% di RD. La valutazione delle previsioni della Direttiva EU ci serve dunque solo per valutare se ci potrebbero essere spazi, e di che segno e valore, nella revisione degli obiettivi nazionali, che in base a quanto sopra sembrerebbero invece sostanzialmente confermati (al netto, come già rilevato, degli scarti dei processi di riciclaggio che vanno a fare la differenza tra obiettivi di RD e obiettivi di recupero di materia).
Tale visione sulla necessità di adottare sistemi di RD intensiva e sulla centralità del ruolo dell’organico viene rafforzata dall’Articolo 22, che prevede l’obbligo, per i Paesi Membri, di “adottare misure volte ad incoraggiare la raccolta separata dell’organico”. Anche qui, la formulazione viene inficiata da un “se del caso” (“if appropriate” nella formulazione in inglese) che obiettivamente non è un contributo alla chiarezza, e dal fatto che non sono previsti obiettivi numerici specifici. Tuttavia, la previsione “si tiene” con le valutazioni già espresse in precedenza, dando consistenza ad una lettura complessiva della Direttiva a supporto della primazia della raccolta differenziata, e in specifico a quella degli scarti organici, sinora non supportata da alcuna Direttiva specifica .
Come si intuisce, si tratta – nel loro complesso – di previsioni, relative valutazioni e conseguenti discussioni dal cui esito dipende il futuro delle strategie europee sui rifiuti, e delle attività che, a livello locale, devono tradurle in pratiche operative.
L’auspicio è che l’Europa – la cui competitività è sconfitta in partenza, nel confronto con altre Aree del mondo, in termini di puro costo delle risorse e della forza lavoro – riesca invece a confermare la “leadership” mondiale sulle politiche e strategie di gestione sostenibile dei rifiuti, consolidando progressivamente la sua immagine di “material recycling society” ed imponendo con questo una agenda intesa alla competitività sui temi ambientali, ad oggi l’asse tematico su cui possiamo meglio giocare le nostre carte.
L’Articolo 3, comma 1 della vecchia Direttiva imponeva agli Stati Membri di promuovere “prevenzione, riciclaggio, e trattamento del rifiuto al fine di ottenere materia ed energia”; tale formulazione sembrava non dare alcuna preferenza al riciclaggio sul recupero energetico. Va per la verità segnalato che successive formulazioni delle Istituzioni EU avevano fornito elementi dirimenti, anche se ad un livello di importanza normativa inferiore rispetto ad una Direttiva: si consideri ad es. la “Risoluzione sulla comunicazione da parte della Commissione sulla revisione della strategia comunitaria per la gestione dei rifiuti e la bozza di Risoluzione del Consiglio sulla politica del rifiuto”, emessa dal Parlamento Europeo nel 1996 che recita: “(il Parlamento) chiede al Consiglio e alla Commissione (…) di definire un’adeguata strategia del rifiuto che sia conforme ai principi di sviluppo sostenibile (…) e che rispetti la gerarchia di prevenzione, ri-uso, riciclaggio, recupero di materia , recupero energetico e smaltimento finale”; quest’ultima formulazione delle diverse opzioni era dunque inequivoca sulla distinzione tra riciclaggio e recupero energetico, e sul senso gerarchico delle diverse opzioni.
Enzo Favoino