Ma non è finita.
In Campania, o almeno in quelle aree della Campania più direttamente interessate dalla presenza di discariche abusive, l’indice di mortalità per tumori (al fegato, alla vescica, alla prostata, allo stomaco e così via) è molto più alto rispetto agli indici nazionali: sostanze cancerogene, diossina, sostanze radioattive sono state seppellite senza alcun ritegno dai Casalesi e associati, la leucemia è assai diffusa. Le greggi sono state sterminate. Le malformazioni fetali, nell’uomo e negli animali, sono frequenti. La diossina si concentra nel latte….Gli effetti della gestione dei rifiuti in Campania sulla salute della popolazione sono terrificanti. Uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, insieme con l’Istituto Superiore di Sanità, il CNR e la Regione Campania, afferma tra l’altro che “…le analisi hanno consentito l’identificazione di un’area nella quale la mortalità generale e i tassi specifici per diverse patologie tumorali sono particolarmente elevati rispetto ai valori regionali. Questa zona comprende alcuni comuni della parte sud-orientale della provincia di Caserta…e alcuni ad essi limitrofi della parte settentrionale della provincia di Napoli…”.Per quanto riguarda invece le malformazioni congenite, le aree evidenziate sono parte dell’Agro Aversano e del litorale Domitio Flegreo, l’area di Napoli e del suo Nord-Est: guarda caso, sono proprio le aree più sopra descritte come quelle in cui più forte che altrove si è concentrato il business delle discariche abusive! È pur vero che lo stesso studio, con estrema prudenza, ritiene difficile stabilire la corrispondenza tra gli eccessi evidenziati e l’esposizione alle situazioni di degrado denunciate; è pur vero che le conclusioni del documento “Salute e rifiuti in Campania”, del Commissariato di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania, sono che “…la cosiddetta ‘epidemia di malasalute da rifiuti’…non trova sostegno in questi dati…questo non può però escludere l’esistenza di particolari situazioni di esposizioni a sostanze chimiche provenienti da rifiuti tossici non correttamente e legalmente smaltiti, che hanno potuto colpire limitati gruppi di persone in situazioni particolari…”; e tutto ciò indubbiamente è utile a non diffondere eccessivi allarmismi nella popolazione; ma insomma un nesso di causalità deve pur esistere, se “…nell’area dove sono stati sversati i rifiuti industriali – afferma il collaboratore di giustizia Gaetano Vassallo – persino i topi che si avvicinavano alle discariche morivano in poco tempo…”. E se non è emergenza questa…
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Torniamo ora ai rifiuti napoletani: già in passato avevamo assistito all’accumularsi dei rifiuti per le strade di Napoli e non solo, già in passato emergenze di quel tipo erano state risolte in tempi relativamente brevi; bastava che si chiudesse, per qualunque motivo, uno degli impianti di cosiddetto CDR, perché i rifiuti napoletani rimanessero per strada, non sapendo dove altro portarli; ma bastava che l’impianto stesso venisse riaperto, o che si trovasse una nuova discarica, perché i rifiuti come per incanto sparissero.
Il fatto è, che la Campania avrebbe bisogno di affrontare e risolvere la gestione dei rifiuti attraverso scelte strategiche chiare e precise, dandosi finalmente un piano industriale serio, rispettando le gerarchie d’intervento previste dall’UE e fatte proprie dalla normativa nazionale, gerarchie che prevedono prioritariamente la riduzione della produzione dei rifiuti e il recupero e riciclaggio di materia; soltanto dopo, si può pensare al recupero di energia, mentre la discarica dovrebbe assumere un ruolo assolutamente residuale, in altre parole in discarica dovrebbero andare soltanto i residui delle lavorazioni precedenti. Ciò vuol dire, a grandi linee:
- varare misure atte a ridurre la produzione di rifiuti (ad esempio reintroducendo i vuoti a rendere, o la vendita di prodotti alla spina e così via),
- avviare piani di raccolta differenziata molto ambiziosi (dell’ordine del 50-60% o giù di lì) agendo sulla rielaborazione delle linee guida, sui regolamenti comunali, su una applicazione finalizzata della TIA, imponendo una raccolta differenziata “spinta” negli uffici pubblici, stipulando accordi con la grande distribuzione, con gli operatori del turismo, con i commercianti, ancora stipulando accordi con il volontariato, con il non profit, introducendo meccanismi di premialità e sanzionatori e così via,
- supportare questi piani anche attraverso la realizzazione di piattaforme ecologiche (o riciclerie, o ecocentri o come li vogliamo chiamare),
- realizzare strutture per la lavorazione e la valorizzazione dei rifiuti raccolti separatamente (in primo luogo piattaforme di selezione e valorizzazione e impianti di compostaggio, ma non solo), anche coinvolgendo laddove possibile l’imprenditoria locale,
- pensare seriamente a impianti di TMB (trattamento meccanico e biologico) per il residuo, così da ottenere la migliore valorizzazione della frazione non riciclabile,
- pensare all’incenerimento non solo nei cosiddetti termovalorizzatori ma forse anche, limitatamente al CDR (di qualità, non quello degli impianti FIBE!), nei cementifici o nelle centrali elettriche,
- guardare senza preconcetti anche a tecnologie alternative (la gassificazione, per esempio) per individuare le cosiddette BAT, Best Available Technologies, ovvero quanto di meglio metta a disposizione la comunità scientifica, senza quindi puntare ad una ridondanza di impianti certamente inutili sul medio periodo,
- recuperare materia da restituire alle filiere industriali, ma anche in certa misura produrre materiale stabilizzato per contribuire al recupero delle aree in fase di più o meno avanzata desertificazione.
Tutto ciò significa non dover più ricorrere in maniera massiccia a discariche inquinanti, che la gente non vuole, che non si sa dove realizzare, che si prestano a comportamenti illeciti. Le discariche, se effettivamente residuali, dovrebbero accogliere al massimo un 20-25% in peso dei rifiuti prodotti, ma oltre a ciò si tratterebbe di rifiuti inertizzati, dunque privi di effetti nocivi quali la produzione di biogas e di percolato.
Ciò significa anche non puntare solo ed esclusivamente al potere salvifico degli inceneritori, che magari non debbono essere demonizzati al di là del ragionevole, ma neppure diventare l’arca di Noè di tutte le problematiche ambientali della regione.
In questo modo si può dare finalmente alla regione un modello efficace, efficiente, economicamente sostenibile con l’obiettivo della autosufficienza in materia di gestione dei rifiuti.
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Ma la Campania si trova purtroppo, ora, nella impellente necessità di affrontare e risolvere anche le altre emergenze che ho più sopra tentato di riassumere, ovvero i 7 milioni di tonnellate di “ecoballe”, le migliaia di lavoratori “socialmente inutili”, le migliaia di discariche illegali da bonificare e che rappresentano altrettante bombe ecologiche, l’emergenza sanitaria, le interconnessioni tra camorra e politica, la ricostruzione di un tessuto agro-pastorale largamente compromesso (non bastano gli spot televisivi a favore della mozzarella, se non si eliminano le cause dell’inquinamento da diossina!), l’immagine più in generale di una Campania ex-felix che meriterebbe maggiore rispetto, da parte di tutti.
Occorre ricostruire un rapporto di fiducia tra la gente e le istituzioni, e ciò si fa non soltanto con i proclami, ma soprattutto operando concretamente per il bene comune.
Bisogna sottrarre la gestione dell’ambiente a corrotti e corruttori, a lobby di qualsivoglia settore volte esclusivamente a massimizzare i profitti ricavabili dal business dei rifiuti, a “apprendisti stregoni” presunti portatori di soluzioni miracolistiche. Bisogna lavorare duramente, dandosi obiettivi molto ambiziosi, definendo strategie coraggiose e producendo azioni coerenti. Insomma, un lavoraccio, che richiede sì grande determinazione, potere decisionale, etica, capacità di mettere in campo il meglio della comunità tecnico-scientifica e così via.
A queste condizioni, forse in un arco di tempo dell’ordine di tre-quattro anni si potrà davvero restituire Napoli e la Campania al mondo occidentale e dichiarare sconfitta l’emergenza.
Rosie O’Grady