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Napule è…

Ma non è finita.

Un’altra delle emergenze reali, strutturali vorrei dire, è rappresentata dall’enorme ritardo della Campania per quanto riguarda lo sviluppo della raccolta differenziata: ho ricordato più sopra come l’ordinanza 2774 del marzo 1998 imponesse la sua attivazione, in perfetta sintonia con il dettato del Decreto Ronchi emanato solo un anno prima.Ma bisognerebbe ricordare come ripetutamente, quasi ossessivamente, ogni anno, in occasione della presentazione del Rapporto Rifiuti redatto da APAT (il braccio operativo, se così si può dire, del Ministero dell’Ambiente) e l’ONR (Osservatorio Nazionale Rifiuti), venisse sottolineato il grave ritardo di tutto il Sud Italia e in particolare della Campania nell’attivazione dei piani per la raccolta differenziata, sempre sottolineando il contrasto tra l’attivismo di Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e dall’altra parte il “sonno” del meridione. Tra le cause di questo gravissimo, colpevole ritardo ci sono anche, a detta di Rabitti, le “prescrizioni” dell’ABI, che di fatto ponevano una sorta di veto a qualsivoglia iniziativa in quella direzione. Ma non si può negare che vi siano anche state gravi omissioni dovute a mancanza di sensibilità, a superficialità, a disinteresse (o peggio a interessi…), da parte di tanti amministratori della cosa pubblica: e a dimostrazione di ciò, vi sono i brillanti risultati ottenuti in quelle realtà che si sono sottratte a questa morsa ed hanno avviato programmi di raccolta differenziata che hanno prodotto, anche in Campania, risultati “nordici”. Basti pensare a ciò che accade nella provincia di Salerno, o in alcuni comuni particolarmente virtuosi, come ad esempio Mercato San Severino, Bellizzi e parecchi altri. A dispetto di chi con superficialità, faciloneria e un pizzico di razzismo attribuisce i ritardi allo scarso senso civico dei “terroni”. In altre realtà, valga per tutte l’esempio clamoroso del capoluogo, si sono spesi non pochi quattrini per avviare, o per fingere di avviare, programmi di raccolta differenziata miseramente franati o fatti franare per l’improntitudine (o peggio) di chi avrebbe dovuto gestire con competenza, mezzi, potere decisionale questa inderogabile partita. Ora a Napoli è in corso l’ennesima sperimentazione, su zone campione, dell’ennesimo progetto basato sulla raccolta porta a porta: speriamo in bene!

Ma non è finita.

art1_clip_image007Un coraggioso giornalista, Paolo Chiariello, ha pubblicato all’inizio di quest’anno, un libro-indagine dal titolo anch’esso molto eloquente, “Monnezzopoli”, sottotitolo “La grande truffa” (Tullio Pironti Editore).

Naturalmente anche lui non può fare a meno di occuparsi di “ecoballe”, che a suo dire rappresentano l’emergenza nell’emergenza rifiuti della Campania, anche perché “…messe una sopra l’altra tutte queste balle di rifiuti prodotte finora formerebbero una base grande almeno quanto l’intera area di Ground Zero e in altezza supererebbero i 4000 metri del monte Rosa…”.
Ma analizzando il come si è giunti a questo punto, Chiariello pone l’accento sul ruolo svolto dal Commissariato straordinario per l’emergenza rifiuti, una struttura extra ordinem costituita oltre 14 anni fa, che egli assimila alle famigerate Partecipazioni Statali, per la incredibile capacità di sperperare migliaia di miliardi di vecchie lire, con il risultato che oggi in Campania, il territorio più sporco d’Italia e d’Europa, vi è un addetto ai rifiuti ogni 400 abitanti, ovvero suppergiù il triplo della media nazionale.Ma come ho già detto più sopra, questa massa di addetti produce un risultato assolutamente risibile, che pone la Campania agli ultimissimi posti della graduatoria, assai lontana dal 45% circa di raccolta differenziata prodotto ad oggi nelle regioni del nord Italia. Chiariello si rifà a cifre ufficiali, desunte dalle dichiarazioni dei ben 18 consorzi istituiti proprio per fare la raccolta differenziata, ma cifre non ufficiali ricavate da altre fonti confermerebbero che gli addetti ai rifiuti e alla raccolta differenziata in Campania sarebbero in realtà molti di più, qualcosa che assomiglia a più o meno 25/30.000 persone a libro paga! E questa è certamente un’altra colossale emergenza, non vi è alcun dubbio: Chiariello infatti accompagna la sua indagine con la citazione di una inchiesta svolta dal giornalista RAI Bernardo Iovene, per la trasmissione Report, inchiesta nel corso della quale Iovene pone alcune domande a un gruppo di dipendenti di un consorzio:

Che cosa fate nel corso della vostra giornata di lavoro? Niente!
E perché non fate qualcosa, perché non lavorate? Siamo senza mezzi. E poi nessuno ci dice quello che dobbiamo fare!
Quanto guadagnate per non fare niente? Dipende: dai 1.200 ai 1.400 euro!

Stiamo parlando di una cifra mostruosa, 35/40 milioni di euro al mese, suppergiù mezzo miliardo di euro all’anno, cui aggiungere contributi previdenziali, TFR eccetera. “…l’impressione – scrive Chiariello – è che in tanti in questi anni, dal più umile dei lavoratori socialmente utili al professionista che si è arricchito con consulenze ben remunerate prestate al Commissariato di governo, abbiano lavorato per l’emergenza, non per estirparne le radici. I motivi? Il loro portafoglio, il loro lavoro, è legato a filo doppio ai soldi stanziati per l’emergenza rifiuti…”. E tutto ciò per avere il territorio più sporco d’Italia e d’Europa!
La pletora di addetti inutili, nullafacenti, che gravano sulle spalle dei contribuenti senza dare alcunché in cambio (non necessariamente per loro esplicita volontà, sia chiaro), è di certo un’altra forma di emergenza.

Ma non è finita.

Fino ad ora non si è parlato di camorra, del ruolo che la camorra ha avuto ed ha in tutta la vicenda dei rifiuti in Campania. La camorra ha avuto ed ha un ruolo assai rilevante nella gestione dei rifiuti nella regione. Sempre il coraggioso Chiariello fa risalire l’inizio di questo pesante coinvolgimento addirittura al terremoto del novembre 1980. Perché? È semplice: la ricostruzione ha consentito che alla camorra o a suoi prestanome venissero appaltate molte opere pubbliche, per la cui realizzazione occorreva realizzare cave dalle quali attingere i materiali necessari: ma queste cave dovevano poi essere riempite, e come si poteva vantaggiosamente riempirle se non scaricandovi monnezza? Facile, no? E, soprattutto, perché limitarsi a smaltire i rifiuti urbani, quando si potevano moltiplicare all’infinito i proventi dell’attività versando nelle cave i rifiuti industriali, tossici, nocivi, pericolosi, che soprattutto le aziende del Nord producevano e che dovevano essere smaltiti dalle aziende stesse, nel rispetto delle leggi esistenti, a costi ovviamente molto elevati? “…dottò, non faccio più droga – dichiara un pentito al magistrato che lo interroga – no, adesso ho un altro affare. Rende di più e soprattutto si rischia molto meno. Si chiama monnezza, dottò. Perché per noi la monnezza è oro…”.

art1_clip_image009Nel clan dei Casalesi militano probabilmente personaggi che hanno una visione molto lucida del business: così si inventa un fantastico moltiplicatore del già ricchissimo affare dei rifiuti industriali, basta fare in modo che i nuovi assi viari da realizzare coi soldi della ricostruzione post-terremoto vengano realizzati a quote diverse dal piano campagna, ovvero su viadotti! In questo modo, si ricavano più quattrini dalla ricostruzione, perché della camorra sono i mezzi di trasporto, gli escavatori eccetera, ma oltre a ciò occorre più materiale, occorrono più buche e dunque aumenta lo spazio disponibile per depositarvi i rifiuti pericolosi delle industrie del Nord, rifiuti che con perizia cartacea vengono “ripuliti”, affinché queste ultime possano dimostrare di averli smaltiti correttamente.
Facile, no? L’inquinamento che ne deriva? E chissenefrega!
Oggi la Regione Campania, ed in particolare il litorale Domiziano e l’agro Aversano, è infestata da centinaia e centinaia di queste cave illegali, nelle quali è seppellito di tutto: la falda è inquinata, i terreni sono inquinati, la frutta è avvelenata: ricordate il film Gomorra, tratto dall’omonimo libro di Saviano? Ricordate la scena della vecchia contadina che regala al boss una cassetta di pesche, cassetta che il boss si affretta a gettare, ben sapendo di quale concime si sia arricchito il terreno sul quale le pesche stesse erano state coltivate?

È proprio Roberto Saviano, nelle pagine del suo oramai famosissimo libro, a ricordarci che “…la zona più colpita dal cancro del traffico di veleni si trova tra i comuni di Grazzanise, Cancello Arnone, Santa Maria la Fossa, Castelvolturno, Casal di Principe…e nel perimetro napoletano di Giugliano, Qualiano, Villaricca, Nola, Acerra e Marigliano. Nessun’altra terra nel mondo occidentale ha avuto un carico maggiore di rifiuti, tossici e non tossici, sversati illegalmente. Grazie a questo business, il fatturato piovuto nelle tasche dei clan e dei loro mediatori ha raggiunto in quattro anni quarantaquattro miliardi di euro…le campagne del napoletano e del casertano sono mappamondi della mondezza, cartine al tornasole della produzione industriale italiana…ogni scarto di produzione e d’attività ha la sua cittadinanza in queste terre…”. Soltanto nel sito in località Schiavi, si stima siano stati smaltiti rifiuti per oltre un milione di tonnellate, e di questi almeno un quarto sarebbe costituito da rifiuti tossico-nocivi.
Questa è una vera, grande emergenza: migliaia di discariche illegali da bonificare, se vogliamo ridare alla Campania un ambiente più sano.

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