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Le conseguenze della configurazione della TIA come tributo

(tratto da: “GSA Igiene Urbana” n.4, Ottobre-Dicembre 2009)


Che cosa comporta la decisione della Corte Costituzionale di equiparare la TIA alla TARSU dal punto di vista fiscale? Oltre all’attribuzione dei contenziosi alle Commissioni tributarie, la conseguenza principale è l’esclusione dell’applicazione dell’IVA alla tariffa, che invece è stata applicata da tutte le aziende che hanno adottato il nuovo regime e che l’Agenzia delle Entrate considerava dovuta. Ma la sentenza ha valore retroattivo e istituisce il diritto al rimborso di quanti sono stati finora sottoposti al regime basato sulla TIA. Questo complica le cose: aziende e Comuni che hanno versato l’IVA all’erario possono chiederne il rimborso. Gli utenti, per esercitare la relativa rivalsa, dovrebbero aprire una causa civile nei confronti dell’azienda che ha effettuato il servizio. Ma la cosa più probabile, visto il garbuglio della materia, è che sul pregresso si lascino le cose come stanno.


L’ultimo articolo sull’argomento si concludeva con il commento del dictum della Corte Costituzionale circa la natura tributaria della Tariffa di Igiene Ambientale, c.d. TIA, introdotta dal c.d. Decreto Ronchi (d.lgs. 05 febbraio 1997, n. 22) in sostituzione – ahimé non definitiva e non completa – della Tassa per lo smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani (TARSU), disciplinata dal d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507.

In breve la sentenza n. 238 del 24 luglio 2009 (udienza del 16 luglio 2009) della Corte Costituzionale ha statuito che la TIA è similare alla TARSU per quanto attiene a:

  • fatto generatore dell’imposta (punto 7.2.3. dell’ordinanza);
  • soggetti obbligati (punto 7.2.3.1 dell’ordinanza);
  • sostanziale struttura autoritativa e non sinallagmatica (punto 7.2.3.2 dell’ordinanza);
  • criteri di commisurazione (punto 7.2.3.3 dell’ordinanza);
  • l’indivisibilità del servizio (punto 7.2.3.4 dell’ordinanza);
  • l’addizionabilità del tributo provinciale (punto 7.2.3.5 dell’ordinanza);
  • l’estraneità all’ambito di applicazione dell’Iva (punto 7.2.3.6 dell’ordinanza).

Da ciò la Corte ha fatto derivare che “le caratteristiche strutturali e funzionali della TIA rendono evidente che tale prelievo costituisce una mera variante della TARSU, conservando la qualifica di tributo propria di quest’ultima; le controversie aventi ad oggetto la debenza della TIA, dunque, hanno natura tributaria e la loro attribuzione alla cognizione delle commissioni tributarie, ad opera della disposizione denunciata, rispetta l’evocato parametro costituzionale”.
Ma il riconoscimento – definitivo – della natura tributaria della TIA non esplica la propria efficacia esclusivamente con riguardo all’attribuzione del contenzioso tributario relativo alla TIA alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie – oggetto del giudizio davanti al Giudice delle Leggi – ma interessa da vicino altri aspetti operativi della TIA e, in particolare, i rapporti con le altre imposte .

L’aspetto di cui ci occuperemo in questa sede sarà, in particolare, delineare la conseguenza della nuova qualificazione della TIA con riferimento al sistema dell’Imposta sul Valore Aggiunto, di seguito IVA, contenuto nel d.p.r. 633 del 1972, c.d. decreto IVA.

La problematica della correlazione tra IVA e TIA, infatti, è emersa immediatamente dopo l’introduzione della Tariffa da parte del decreto Ronchi.

In breve, si sono scontrate due posizioni:

  • chi ha privilegiato – principalmente il Ministero delle finanze – la qualificazione della TIA come corrispettivo della prestazione di servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, infatti, ha conseguentemente finito con l’attribuire a tale prestazione rilevanza ai fini IVA, concludendo per l’imponibilità dell’importo della TIA con applicazione dell’aliquota del 10%;
  • chi ha privilegiato – la quasi unanime dottrina – la natura tributaria della TIA – ossia la configurazione della stessa come vero e proprio tributo ancorché parametrato ad indici di efficienza ed economicità – ha conseguentemente escluso tale tributo dall’ambito applicativo dell’IVA per mancanza del requisito oggettivo di tale imposta.

Ai fini IVA, infatti, l’adempimento di una obbligazione – di natura privatistica o pubblicistica che sia – è oggettivamente rilevante solo allorché ricada nella definizione di cessione di bene (ex art. 2, decreto IVA) o prestazione di servizio (ex art. 3, decreto IVA) quali delineate dalla normativa di tale imposta.

Caratteristica comune è la sinallagmaticità (nesso di reciprocità n.d.r.) tra la prestazione effettuata e la corresponsione del corrispettivo, sinallagmaticità che deve necessariamente escludersi laddove si riconosca la caratteristica generalità tipica del tributo.

Per lungo tempo, come si è accennata tale caratteristica di generalità – e quindi la natura del tributo – è stata negata dall’Amministrazione finanziaria con riferimento alla TIA (vedi, per esempio, la circolare n. 111/E del 21 maggio 1999 e la risoluzione n. 25/E del 5 febbraio 2003 dell’Agenzia delle entrate).

Più diffusamente la risoluzione n. 250/E del 17 giugno 2008 sempre dell’Agenzia delle entrate affermava – anche dopo l’attribuzione per via legislativa della TIA alla giurisprudenza tributaria per effetto dell’art. dall’art. 3-bis, d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248 – che “riguardo alla natura giuridica della TIA e al regime fiscale alla stessa applicabile agli effetti dell’IVA, la tariffa si configura alla stregua di un corrispettivo, nel presupposto che l’espletamento del servizio avvenga secondo le regole di diritto comune”, chiarendo che “la TIA deve essere assoggettata all’IVA con applicazione dell’aliquota agevolata del 10 per cento prevista dal n. 127-sexiesdecies) della Tabella A, Parte III, allegata al decreto IVA”.

Conseguenza di tali prese di posizione da parte dell’Amministrazione finanziaria è che la TIA è stata ordinariamente assoggettata ad IVA da parte dei soggetti esercenti l’attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani.

Ora si può comprendere pienamente l’effetto – si potrebbe definire deflagrante – della citata sentenza della Corte Costituzionale che, affermando la natura tributaria della TIA, ha implicitamente escluso l’applicabilità dell’IVA.

Sul punto, è bene citare le parole stesse della Corte, laddove – nel già citato paragrafo 7.2.3.6 della sentenza – precisa che sia la TIA è estranea all’ambito di applicazione  dell’IVA, posto che – secondo il Giudice delle Leggi – “l’inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l’entità del prelievo (quest’ultima commisurata, come si è visto, a mere presunzioni forfettarie di producibilità dei rifiuti interni e al costo complessivo dello smaltimento anche dei rifiuti esterni) porta ad escludere la sussistenza del rapporto sinallagmatico posto alla base dell’assoggettamento ad IVA ai  sensi degli artt. 3 e 4 del decreto IVA e caratterizzato dal pagamento di  un «corrispettivo» per la prestazione di servizi”.

Continua la Corte affermando che la TIA deve essere ricondotta nel novero di quei diritti,  canoni,  contributi che la normativa  comunitaria  (da  ultimo,  art.  13,  paragrafo  1,  primo periodo, della Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre  2006; come ribadito dalla sentenza della Corte di giustizia CE del 16 settembre 2008, in causa C-288/07) esclude in  via  generale  dall’assoggettamento  ad IVA , perché percepiti da enti pubblici «per le attività  od  operazioni  che esercitano in quanto pubbliche autorità» (come si desume a  contrario dalla sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008), sempre che il  mancato assoggettamento all’imposta non comporti una distorsione  della  concorrenza (distorsione, nella specie,  non  sussistente,  in  quanto  il  servizio  di smaltimento dei rifiuti è svolto dal Comune in  regime  di  privativa).

La conseguenza più immediata di tale sentenza è che la TIA – d’ora in avanti – sarà necessariamente considerata esclusa dall’ambito di applicazione dell’IVA e i soggetti che effettuano l’attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti non applicheranno più l’IVA sulla Tariffa.

La conseguenza meno immediata e di più complicata ricostruzione è – stante la natura retroattiva (per usare un termine a-tecnico) delle sentenze della Corte Costituzionale – la sostanziale declaratoria dell’illegittimità dell’IVA sin qui applicata sulla Tariffa dai medesimi soggetti.

La sentenza, in buona sostanza, ha fatto nascere il diritto al rimborso dell’IVA sin qui pagata a titolo di rivalsa dai soggetti incisi dalla TIA.

Per comprendere appieno il meccanismo di rimborso è però necessario una breve disamina dei meccanismi applicativi dell’IVA.

Nel sistema dell’Imposta sul Valore Aggiunto, infatti, il soggetto passivo dell’imposta è colui che fornisce la prestazione, applica l’IVA “a titolo di rivalsa” in fattura e la versa all’Erario.

Ciò nonostante il fatto che l’IVA applicata in fattura sia sostanzialmente dai soggetti che ricevono la prestazione (i c.d. committenti del servizio).

In altri termini, chi è inciso del tributo (definitivamente se privato cittadino, temporaneamente se a sua volta soggetto passivo) è il committente, ma chi versa l’imposta è il prestatore.

Tale meccanismo implica che solo il prestatore – in qualità di soggetto passivo – è legittimato a richiedere il rimborso dell’IVA illegittimamente applicata nei confronti del committente e versata all’Erario.

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