GSA Igiene Urbana, nel suo piccolo, può e deve dare il proprio contributo, quanto meno per sensibilizzare, attraverso una informazione corretta, ancorché limitata, i propri lettori, e per cercare di stimolarli ad attuare sia pure soltanto una politica dei piccoli passi, circoscritta in ogni caso al contesto urbano che da sempre rappresenta l’ambito di attenzione del periodico. Le nostre città maggiori sono da un lato insiemi grandemente energivori, e come ben sappiamo la produzione di energia è una delle principali cause delle emissioni in atmosfera di anidride carbonica, ma da un altro sono forti produttrici esse stesse di gas serra, dovuti agli impianti di riscaldamento e al traffico automobilistico. Dunque è possibile anche agendo in ambiti limitati, e su problematiche evidentemente specifiche, dare supporto concreto alle grandi strategie che riguardano il governo della nazione, o ancor più la dimensione europea e planetaria. Il filosofo e sociologo francese Edgar Morin ha scritto che siamo in uno stato di caos, uno stato agonico, ma che “…paradossalmente, ciò che può apportare la morte può apportare la nuova vita…” in virtù di “una metamorfosi delle nostre attuali società in una società mondo di tipo nuovo…”, e dunque su tale ipotesi di metamorfosi dovremmo concentrare le nostre speranze: ma nessuno è in grado di definire i contorni di questa metamorfosi, per cui forse è meglio che ciascuno di noi cominci, nei limiti delle proprie possibilità, a fare qualcosa per evitare la catastrofe.
È certamente molto suggestiva l’ipotesi elaborata da Jeremy Rifkin, definita come la Terza Rivoluzione Industriale, che si basa su tre pilastri: le energie rinnovabili (eolica, solare, geotermica, idrica, biomasse eccetera), il loro “immagazzinamento” attraverso le celle a idrogeno (per definizione, le fonti rinnovabili sono discontinue) e l’interconnessione delle reti elettriche: “…la Terza Rivoluzione Industriale richiederà una riconfigurazione completa dei settori dei trasporti, delle costruzioni e dell’elettricità, creerà nuovi prodotti e servizi, favorirà lo sviluppo di nuove aziende e darà vita a milioni di nuovi posti di lavoro…”, afferma Rifkin, che continua sottolineando come “…nella nuova era le aziende, i comuni, i proprietari di casa potranno diventare produttori tanto quanto consumatori della loro stessa energia, la cosiddetta ‘generazione distribuita’…”; ecco che si configura un nuovo modello, certamente più democratico, di gestione delle risorse, non più dall’alto verso il basso, come per i combustibili fossili, ma dal basso verso l’alto: “…in futuro, le società elettriche e le aziende di servizio pubblico sempre più diverranno bundler di energia distribuita, aggregando e raccogliendo l’energia rinnovabile generata localmente e regionalmente dalle aziende e dai proprietari di casa, immagazzinando quell’energia sotto forma di idrogeno e altri supporti di immagazzinamento energetico e distribuendo l’energia per mezzo di reti elettriche intelligenti…” (J. Rifkin, La mia rivoluzione, la Repubblica, 1 dicembre 2007).
È dunque nella città, nella conurbazione sentina di tutti gli inquinamenti del mondo, che si nasconde la risposta ai problemi ambientali ed energetici che minacciano il nostro pianeta? Forse non sarà proprio così, o sarà così solo in parte, ma è fuori di dubbio che è dalle città, o almeno dalle più grandi, che dovranno partire i segnali più forti. Le grandi città sono grandissime consumatrici di energia, l’energia è oggi per lo più derivata dalla combustione degli idrocarburi, tale combustione è la principale responsabile dell’inquinamento atmosferico, del global warming, dell’incremento delle malattie dell’apparato respiratorio e dei tumori; le grandi città sono chiamate a rispondere di questa drammatica situazione, e le risposte stanno da un lato nella riduzione dei consumi tradizionali e nella crescita dei consumi “intelligenti” ed efficienti (riscaldamento, traffico, nuovi materiali per l’edilizia etc) attraverso strategie innovative e coraggiose, da un altro forse nella strada suggerita da Rifkin, ossia nel sempre maggiore ricorso alle energie da fonti rinnovabili che, sia detto per inciso, si stanno progressivamente rivelando anche una importante fonte di business e di incremento occupazionale.
Sempre che, naturalmente, le potentissime lobbies dei petrolieri non mettano troppi bastoni tra le ruote allo sviluppo delle fonti rinnovabili, e sempre che si sciolgano i pesanti dubbi che ancora circondano l’opzione-nucleare: il nostro Paese, una ventina d’anni fa, ha scelto attraverso lo strumento del referendum, ossia lo strumento più democratico di cui disponiamo, di abbandonare la strada del nucleare, sull’onda emotiva di Chernobyl certamente, ma anche in base a valutazioni niente affatto peregrine, specie per ciò che riguarda lo smaltimento delle scorie. Ma per tutti questi vent’anni abbiamo continuato ad importare energia dalla Francia, energia prodotta appena al di là delle Alpi dai reattori nucleari dei nostri cugini; non solo, ma anche in tempi recentissimi il nostro principale produttore di energia ha siglato un accordo con EdF che prevede la partecipazione diretta dell’Italia alla strategia nucleare francese! Ma se è vero, come è vero, che il dramma di Chernobyl si è fatto sentire concretamente anche nel nostro Paese, nonostante le centinaia e centinaia di chilometri di distanza, non è più rischiosa una centrale che si trovi appena al di là del Monte Bianco, a poche decine di chilometri da Torino in linea d’aria?
È comunque un fatto che, come conseguenza della scelta referendaria del 1987, l’Italia ha abbandonato la ricerca nel settore del nucleare, accumulando dunque un grandissimo ritardo rispetto ad altri paesi che, più pragmaticamente, hanno optato per questo modello, considerato oggi dalla comunità scientifica come una affidabile sorgente di energia, naturalmente alla condizione di applicare i criteri di sicurezza più avanzati; ed è altresì evidente che, avendo rinunciato all’opzione nucleare, l’Italia ha dovuto affidarsi prevalentemente ai combustibili fossili, con ciò contribuendo grandemente alla produzione delle polveri sottili e della CO2, e dunque aumentando le probabilità di tumori delle vie respiratorie. “…Nel nostro paese – ha scritto Umberto Veronesi – mi sembra prevalga un’etica della proibizione, e non un’etica della responsabilità. Da noi si crede di più agli oroscopi e alla New Age e meno a coloro che studiano e si impegnano per migliorare la vita umana…”.
È evidente che il problema del nucleare non possa essere risolto a livello locale: il vento non tiene in alcun conto risultati referendari, e soltanto un accordo su basi territoriali molto vaste e “protette” potrebbe forse avere una valenza effettiva; i tecnici ed i sostenitori del nucleare, dal canto loro, affermano che oggi la tecnologia consente di progettare centrali con elevatissimi standard di sicurezza; si stanno studiando sempre più avveniristiche ipotesi per quanto concerne lo smaltimento delle scorie; intanto, proprio nei giorni scorsi, sono partite da Caorso notevoli quantità di materiali radioattivi, destinazione Francia, per essere trattate al fine di ridurne la pericolosità, e torneranno da noi quando la loro radioattività sarà stata in buona parte abbattuta! Insomma, almeno ai miei occhi l’opzione nucleare appare ancora come qualcosa che possa essere presa in considerazione, sia pure tenendo ben presente il principio di precauzione e tenendo ben conto del ritardo accumulato dal nostro paese nella ricerca; di converso, non riesco a vedere limiti o controindicazioni significative allo sviluppo delle rinnovabili. Nel frattempo, poiché i tempi per lo sviluppo sia del nucleare che delle rinnovabili appaiono abbastanza lunghi, sarebbe forse opportuno che qualche nostrano “Signor No” la smettesse di bloccare aprioristicamente scelte che appaiono vitali, nel breve, per il nostro paese, in primis gli impianti di rigassificazione che potrebbero certamente darci, per il momento, un poco di flessibilità in più: o no?
Rosie O’Grady