(Tratto da “GSA Igiene Urbana”n.4,Ottobre-Dicembre 2010)
Prenderà il via in tre fasi, a partire dal 31 dicembre di quest’anno, la riforma dei servizi pubblici locali. La direzione è quella della liberalizzazione, con alcuni, necessari correttivi. Una necessaria apertura al mercato, una svolta nelle modalità di affidamento dei servizi pubblici in Italia. E un’ottima opportunità per le imprese e per il sistema-Paese.
È pronta a partire, con tempi e modalità differenti, la riforma dei servizi pubblici locali, dopo il disco verde che il Consiglio dei Ministri ha dato lo scorso 22 luglio al regolamento attuativo: si tratta di una svolta in direzione della liberalizzazione del mercato di rifiuti, trasporti pubblici e servizi idrici che verrà completata in almeno tre fasi, e che senza dubbio avrà importanti ripercussioni a livello locale in tutta la penisola.
I cambiamenti inizieranno col 2011
Con la fine dell’anno in corso arriveranno i primi cambiamenti: dovranno infatti uscire di scena le gestioni affidate con metodo diretto senza gara, con la contestuale apertura di appositi bandi. Entro il 2011 invece decadranno le amministrazioni in house (ossia le commesse affidate a soggetti che siano parte dell’amministrazione stessa) e quelle delle spa miste, se all’interno del capitale sociale non entrerà almeno un soggetto privato con una quota minima del 40%. Ma tutto questo lo vedremo nel dettaglio più avanti.
Liberalizzazione: una buona opportunità
Di un ideale “completamento del decreto Ronchi” ha parlato il ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto, riferendosi all’attuazione della liberalizzazione dei servizi pubblici locali come l’acqua (con tanti correttivi, che vedremo), i rifiuti, il trasporto pubblico locale. Senza dubbio si tratta di una svolta molto importante nell’organizzazione e soprattutto nelle modalità di affidamento dei servizi pubblici nel nostro Paese, anche perché si va a toccare uno dei temi più “caldi” del (costruttivo) dibattito politico degli ultimi anni. Dal punto di vista delle imprese, tali servizi rappresentano un prezioso input produttivo: entrano direttamente nel ciclo produttivo e incidono sulla competitività dell’azienda. Tanto che Giuseppe Mele, direttore area Impresa e Territorio di Confindustria, ha recentemente sottolineato, a Forum PA, come “un processo di liberalizzazione dei servizi pubblici, regolato non più sullo scontro pubblico-privato ma rivolto all’ottenimento di un’erogazione di servizi efficace ed efficiente, rappresenti una opportunità straordinaria per le imprese di aumentare la loro competitività nel mercato, impattando positivamente sull’intero sistema Paese”.
Con un po’ di ritardo, ma ci siamo
E così ci siamo, anche se con alcuni mesi di ritardo (sette, per l’esattezza) sul tabellino di marcia previsto. La liberalizzazione dei servizi pubblici locali verrà attuata in tre fasi, stando al regolamento uscito in luglio. Gli affidamenti in house delle utility (e quindi anche della raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, dello spazzamento stradale, ecc.), dovranno lasciare il campo a un mercato più libero, a decorrere dal 31 dicembre di quest’anno (e con varie scadenze). Si allarga, fra l’altro, la platea degli affidamenti non soggetti all’Antitrust (si parla di lavori con valore fino a 200.000 euro/anno) e si ammorbidisce l’obbligo di assunzione del personale tramite concorso. Mentre l’assoggettamento al patto di stabilità delle società affidatarie in house è rimandato all’attuazione del federalismo fiscale. La decisione di evitare la concorrenza – si legge nel testo definitivo – va formalizzata in una delibera in cui l’ente locale deve mettere in evidenza, dimostrandoli, i fallimenti del sistema concorrenziale per quanto concerne il servizio di cui si chiede la deroga e i benefici che derivano dal mantenimento dell’esclusiva.
Le scadenze
Tre, come detto, le scadenze da rispettare per riorganizzare il mercato in direzione della liberalizzazione: si parte il prossimo 31 dicembre con gli affidamenti in house a società pubbliche senza rispettare dei principi comunitari; se si rispettano queste regole, si potrà aspettare il 31 dicembre 2011 oppure la scadenza del contratto se entro fine 2011 le amministrazioni cedono almeno il 40% del capitale o individuano mediante gara il socio operativo; per gli affidamenti a società miste resta il 31/12/10 o il 31/12/11 se il socio è stato individuato con gara. O ancora, la scadenza del contratto se la gara ha affidato anche compiti operativi. Per gli affidamenti diretti a società controllate quotate in borsa la situazione è più articolata: si può continuare fino alla scadenza del contratto, ma solo se se la partecipazione pubblica scende sotto il 40%, entro il 30 giugno 2013 e sotto il 30% entro il 31 dicembre 2015.
La questione dell’acqua: la proprietà resta pubblica, ai privati solo la gestione
La questione comprensibilmente meno semplice è quella relativa al regolatore dei servizi idrici. Nella bozza del disegno di legge annuale sulla concorrenza, tuttora in standby al ministero dello Sviluppo economico, si affida infatti il settore dell’acqua all’Authority per l’energia, ma non sono escluse modifiche entro la fine dell’anno. Unica certezza è l’intoccabilità dell’articolo 1, nel quale è garantita la piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, con la gestione (e solo la gestione) che passerebbe però, in via più “morbida”, anche ai privati. Nel regolamento approvato in luglio è contenuta una maxideroga appositamente pensata per il settore idrico, una maxi-deroga riservata al settore idrico, in cui le polemiche sulla «privatizzazione dell’acqua» si accompagnano a regole via via più morbide per l’ingresso ai privati, limitato peraltro alla sola gestione del servizio.
Decisione che ha scatenato un mare di polemiche, culminate nel milione e mezzo di firme raccolte nei banchetti sparsi in tutta Italia in cui si chiede la garanzia del mantenimento totale in mani pubbliche di tutto il circolo idrico.
L’housing è possibile, in alcuni casi
Doveva essere la fine dell’housing, ma rispetto alla prima versione esaminata alla fine del 2009 è stato reso possibile mantenere in alcune condizioni l’affidamento a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipate dall’ente locale. L’ente affidante dovrà però motivare la scelta con un’analisi del mercato, da sottoporre all’Antitrust per un parere preventivo, in assenza del quale vale la regola del silenzio assenso, tranne in caso di valore dei servizi affidati inferiore a 200mila euro (senza alcun limite di popolazione, contrariamente al primo testo dove era previsto un limite di 50mila abitanti). Nei casi invece in cui è d’obbligo il via libera dell’Antitrust, ed esclusivamente per l’acqua, l’ente può rappresentare specifiche condizioni che rendano la gestione in house non distorsiva della concorrenza: chiusura dei bilanci in utile, reinvestimento nel servizio almeno dell’80% degli utili, applicazione di una tariffa media inferiore alla media del settore, performance virtuose sui costi operativi. I servizi potranno essere concessi in esclusiva solo se l’ente adotta una delibera quadro dalla quale emerga lo svantaggio derivante da un sistema concorrenziale ed il beneficio invece di un regime esclusivo.
L’articolo 8
I confini tra regolazione e gestione del servizio sono normati dall’articolo 8, con i criteri di incompatibilità per chi ha ricoperto funzioni di amministratore nell’ente affidante. Ma, recependo una richiesta giunta dalla Conferenza unificata, nel testo definitivo è stato però specificato che i divieti si applicheranno solo alle nomine e agli incarichi da conferire successivamente all’entrata in vigore del regolamento, e quindi non alle situazioni pregresse. Le società che diventeranno affidatarie “in house” di servizi pubblici locali saranno infine assoggettate al patto di stabilità interno, mentre assieme a quelle a partecipazione mista pubblico-privato applicheranno, per l’acquisto di beni e servizi,le disposizioni del codice dei contratti pubblici.