(Tratto da “GSA” n.5,maggio 2011)
La ricerca condotta dall’ONBSI, l’Organismo Nazionale Bilaterale per i Servizi Integrati, già pubblicata in anteprima e in forma ridotta su GSA di agosto scorso,fornisce ora ulteriori dati e utili spunti di analisi sullo stato delle imprese operanti nel comparto dei servizi di pulizia. Il quadro delineato esprime eterogeneità e dinamicità di situazioni, ma anche estrema frammentazione del mercato e ascesa delle imprese cooperative.
Lo stato dell’arte
Che consistenza e quali caratteristiche hanno le imprese di pulizia italiane? Quali sono le ragioni sociali più rappresentate a seconda delle aree geografiche nazionali? E – aspetto più importante – qual è il loro stato di salute?
Queste sono soltanto alcune delle domande a cui una ricerca curata dall’ONBSI1 – l’Organismo Nazionale Bilaterale per i Servizi Integrati – prova a rispondere, facendo emergere una situazione fortemente dinamica di un settore storicamente formato da piccole e medie realtà in continuo movimento in quanto a dimensione, numero di addetti e volume di affari.
Lo studio condotto dall’ONBSI si basa sui dati più aggiornati prodotti da UnionCamere e sui dati INPS relativi alle imprese con addetti alle attività di pulizia che versano contributi previdenziali (anni 1996, 2004, 2008). I dati delle due fonti – sia pur non omogenei – sono stati opportunamente interfacciati ed interpretati al fine di delineare un quadro il più possibile completo e aggiornato dello status del settore delle imprese del cleaning professionale in Italia.
Il campione geografico scelto per la ricerca è limitato a due regioni (Lombardia ed Emilia-Romagna) e a tre grandi province (Roma, Napoli, Palermo), ma può essere considerato significativo e rappresentativo dei trend del settore in aree differenti della penisola.
Un mosaico di finalità e assetti societari
Il settore dei servizi di pulizia risulta composto da un variegato mosaico di imprese con diverse finalità. Sono numerosi i codici “Ateco” che affiancano quelli ufficiali del settore: l’eterogeneità delle oltre 2.600 imprese analizzate ha una diretta ricaduta sui profili organizzativi, a partire dalle forme giuridiche e dagli assetti societari. Ben undici sono le nature giuridiche segnalate, a testimonianza di una notevole varietà di scenari:
- società per azioni a socio unico;
- società cooperative a responsabilità limitata;
- società cooperative sociali;
- società consortili a responsabilità limitata;
- piccole società cooperative;
- piccole società cooperative a responsabilità limitata;
- società cooperative
- società consortili a responsabilità limitata;
- società per azioni;
- società a responsabilità limitata;
- società a responsabilità limitata a socio unico.
Dai dati emerge che le forme più diffuse sono le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le cooperative a responsabilità limitata. Semplificando ancor di più il dato, si può dire che rispetto alle forme cooperative (39,5%), la distribuzione è sbilanciata a favore delle imprese di altra natura, rappresentanti il 60,5% del totale.
Le ragioni sociali
Nel dettaglio delle diverse aree geografiche prese in esame, si osserva come a prevalere siano le società a responsabilità limitata.
In Lombardia rappresentano il 52,5% del totale, mentre le cooperative si fermano al 18,1 e le cooperative a responsabilità limitata al 15,1. Seguono a distanza le società a responsabilità limitata a socio unico (9%), le cooperative sociali (1,9%) e le piccole cooperative a responsabilità limitata (1,1%). Più ridotte ancora le società per azioni (0,9%), le società per azioni a socio unico (0,4%) e le società consortili (0,3% a responsabilità limitata e 0,1 società consortili cooperative a responsabilità limitata).
In Emilia-Romagna, ferma restando la prevalenza di società a responsabilità limitata (48%), si registra una maggior percentuale di imprese cooperative (28,6%), mentre le società a responsabilità limitata a socio unico sono l’8,7%, le imprese cooperative a responsabilità limitata il 6,4% e le imprese cooperative sociali il 4,3% (assai più che in Lombardia). Le società per azioni si attestano all’1%.
Se si considerano le tre singole province prese in esame, si notano alcune interessanti variazioni: a Roma le società a responsabilità limitata salgono al 68% (dato massimo emerso dall’indagine) e le imprese cooperative scendono all’11,6 % (dato minimo). Forte incremento anche per le società per azioni a socio unico, che si attestano addirittura al 13,6% (contro l’1% di Napoli e lo 0,7% di Palermo). A Napoli e Palermo si assiste invece ad un’anomala percentuale di cooperative a responsabilità limitata (rispettivamente il 32 e il 23,5%), mentre le società a responsabilità limitata – pur rappresentando la maggioranza delle imprese – si attestano al 43,2% per Napoli e al 34% per Palermo (dato più basso riscontrato). A Palermo, inoltre, spicca l’alta percentuale di cooperative sociali (17%), quasi pari alle cooperative non sociali (17,6%).
Gli addetti
Altrettanto interessanti sono i dati relativi agli addetti: nelle imprese sotto esame sono coinvolti circa 319.000 addetti, di cui quasi 1.500 non dipendenti, con una media di 48 addetti per azienda. Ciò rappresenta una larga percentuale degli addetti registrati dall’INPS nel 2008 per l’intero settore (quasi 432.000 distribuiti in circa 23.000 imprese). Il campione territoriale preso in esame dalla ricerca ONBSI comprende infatti numerose tra le imprese settoriali di più grande dimensione.
Su scala nazionale, a partire dal 1996, la crescita delle imprese in termini numerici è stata notevole: dalle oltre 15.000 del 1996 si è passati alle quasi 20.000 del 2004 e alle 23.000 del 2008. Gli addetti complessivamente sono quasi raddoppiati: dai circa 223.000 del 1996, agli attuali 432.000.
Da considerare con attenzione la suddivisione statistica fra imprese cooperative e non cooperative.
Le cooperative nel 2008 si attestano a 4.337 (il 18,9% del totale), impiegando quasi 158.000 addetti (il 36,5%). Impiegano, in proporzione, il doppio di addetti rispetto alla loro incidenza in percentuale sul numero totale delle imprese di pulizia: si tratta dunque di imprese mediamente più grandi, ma questo dato di certo nel panorama italiano non costituisce una novità. Nel 1996 le aziende erano 1.857 (il 12,2% del totale di allora) e davano lavoro a quasi 54.500 addetti (il 24,3%); nel 2004 le imprese erano 4.050 e gli addetti oltre 143.500 (il 38,7% del totale).
Gli incrementi percentuali dal 2004 al 2008, per il mondo delle cooperative, sono stati negativi: -1,5 sulla percentuale delle aziende e – 2,2 su quella degli addetti, a fronte di incrementi assoluti che hanno visto aumentare il numero di cooperative di 287 unità e gli addetti di quasi 14.000. La crescita sul 2004, calcolata sulla base degli incrementi assoluti, è stata dunque di circa il 7,1% (imprese) e del 9,7% (addetti).
Se si considera il trend 1996-2004, i dati sono diversi: in termini assoluti, le imprese cooperative erano cresciute di ben 2.193 unità, con una percentuale dell’8,2% e una crescita sul 1996 attestata al 118,1%. Ancora più rilevanti i dati sul personale, con una crescita di 89.256 addetti (14,4% sul totale, con una crescita del 164,1%).
Le dimensioni
Operando un ragionamento analogo sulle imprese in forma non cooperativa, i dati degli incrementi sono altrettanto significativi (specie se confrontati con i dati delle cooperative): nel periodo 2004-2008, tali imprese sono aumentate di 2.804 unità (1,5%), con una crescita del 17,7%, mentre nel periodo precedente, tra il 1996 e il 2004, la crescita percentuale era stata circa il 18,3%.
In termini di addetti: tra il 1996 e il 2004, le imprese non cooperative hanno perso il 14,4%, mentre nel periodo successivo (2004-2008) hanno avuto un aumento del 2,2% rispetto alle imprese cooperative, per attestarsi a quasi 274.000 unità (+ 47.000 unità rispetto al 2004).
Uno sguardo alle dimensioni permette di mettere in rilievo un dato significativo: le imprese del settore sono tuttora, per la grande maggioranza, realtà di ridotte dimensioni: ordinando infatti la distribuzione in senso non decrescente per il numero di addetti e sezionandola in gruppi omogenei, si osserva che: il primo 25% delle imprese non supera i 3 dipendenti; in corrispondenza della linea mediana (50%) si situano le imprese con 9 addetti; fino al 60% non superano i 14 dipendenti. Le dimensioni, poi, crescono sensibilmente negli ultimi tre gruppi (70, 80 e 90%), in corrispondenza dei quali le imprese in esame hanno dichiarato, rispettivamente, 22, 38 e 85 addetti.
Le dimensioni delle imprese in Emilia-Romagna raddoppiano, così come nelle province di Roma e Napoli, mentre in Lombardia e nella provincia di Palermo non si discostano sostanzialmente dal dato nazionale. Suddividendo in quattro gruppi omogenei la distribuzione delle imprese ordinate in senso crescente per numero di addetti, si possono osservare più chiaramente le variazioni indicate: in particolare si nota come, rispetto al territorio nazionale, nelle realtà esaminate sono registrate imprese sensibilmente più grandi. Infatti, tranne che in provincia di Palermo (in cui si segnala la forte presenza di imprese con un solo addetto), negli altri territori si notano differenze che aumentano di quarto in quarto, rispetto al territorio nazionale. Il picco si ha nella provincia di Roma, dove circa il 25% delle imprese ha oltre 67 addetti.
Le differenze tra le medie si giustificano comunque nei livelli delle massime dimensioni aziendali per le province di Roma e Napoli, e soprattutto per l’Emilia-Romagna. Infatti si deve tenere conto che l’ultimo gruppo per dimensione delle imprese (il 10% delle imprese di Roma e Napoli) ha dichiarato rispettivamente oltre 430 e 290 addetti, valori questi assai distanti da Palermo (44), dall’Emilia-Romagna (138) e dalla Lombardia (112). In Emilia-Romagna, tuttavia, sono localizzate le imprese più grandi in assoluto (fino a 10.339 addetti), mentre altrove non si arriva a 3.000 unità.
I contributi INPS e i redditi
I dati INPS forniscono anche indicazioni circa i contributi versati dalle imprese: la variazione dei contributi nel periodo 1996-2008 è stata notevole: nel 2008 (ultimo dato disponibile) i contributi totali sono stati di circa 1.6 miliardi di euro, con una media per addetto di 3.790 euro e un reddito di 9.667 euro/anno. I dati del 2004 risultano inferiori, con contributi per addetto intorno ai 3.120 euro e un totale di circa 1.2 miliardi di euro. Nel 1996 i contributi totali sono stati più o meno la metà (600 milioni di euro) e la media dei contributi per addetto intorno ai 2.700 euro. Gli incrementi, in percentuale, sono stati del 93% tra il 1996 e il 2004 e di un ulteriore 41,4% circa tra il 2004 e il 2008.
Lo sviluppo delle imprese cooperative
Nelle imprese cooperative i contributi 2008 sono stati in totale quasi 625 milioni di euro, contro circa 1 miliardo delle imprese non cooperative. In percentuale: 38,2% per le imprese cooperative e 61,8 per le imprese non cooperative, cifre queste che rispecchiano quasi perfettamente la distribuzione di addetti tra le due macro-tipologie societarie. Spingendo l’analisi più nel dettaglio, si nota come i contributi medi per addetto siano sostanzialmente simili (poco sotto i 4.000 euro per le imprese cooperative e non cooperative, con un lieve vantaggio delle prime) e così anche il reddito medio per addetto (differenza dell’ordine di 500 euro: 10.121 per le imprese cooperative, 9.421 per le imprese non cooperative).
Le variazioni negli anni mostrano un cammino di crescita delle imprese cooperative mediamente più incisivo rispetto alle imprese non cooperative: spicca in particolare il “balzo” delle imprese cooperative tra il 1996 e il 2004, con contributi aumentati addirittura del 231,7% contro il 55% delle imprese non cooperative nello stesso periodo. Negli anni successivi, tra il 2004 e il 2008, l’incremento delle imprese cooperative è stato sempre più alto rispetto alle altre imprese, anche se più contenuto: 46,3% tra il 2004 e il 2008 per le imprese cooperative, contro il 38,4% delle imprese non cooperative.
Le dichiarazioni dei bilanci
Se si passa a considerare le dichiarazioni di utile/perdita, alcuni dati significativi emergono con chiarezza (anno 2008). Le 7 fasce individuate appaiono piuttosto omogenee, sebbene si rilevi la differenza tra territori provinciali e regionali. In particolare, per la Lombardia e l’Emilia-Romagna, la fascia relativamente più diffusa è quella di utile minimo (1.000-5.000 euro), mentre a Roma e Napoli è quella in cui l’utile è massimo (sopra i 20.000 euro). Diversa ancora è la situazione delle imprese di Palermo, in cui la dichiarazione più diffusa è quella di minima perdita (tra 4999 e 0 euro). I dati possono essere sintetizzati in due grandi fasce: di utile o di perdita, con la massima diffusione di perdite in Emilia-Romagna (33,3%); di minima in provincia di Roma (30,6%). Valori diversi sono stati rilevati nelle province di Napoli e Palermo: rispettivamente il 39 e il 46% di imprese con bilancio in perdita.
La mobilità economica
Incrociando i dati del triennio 2006-2008, si ha la possibilità di osservare i passaggi delle imprese da una fascia a un’altra, con un quadro della “mobilità” delle situazioni economiche nei diversi territori.
Lombardia
Attraverso l’esame dei dati UnionCamere emerge come in Lombardia tra le imprese in perdita nel 2008 il 64,1% di quelle che lo erano nel 2007 lo erano anche state nel 2006. All’opposto, l’80,3% delle imprese attive nel 2008 lo erano anche nel 2007 e nel 2006. Tra le imprese invece che erano attive nel 2008 ma passive nel 2007, il 50% era in passivo anche nel 2006. Solo il 19,6% delle imprese che hanno avuto utili sia nel 2008 che nel 2007, invece, hanno migliorato la loro condizione rispetto al 2006. Tra le imprese in perdita nel 2008 ma in attivo nel 2007, il 70% provenivano da una condizione positiva nel 2006.
Emilia-Romagna
La medesima disamina sulla mobilità economica delle imprese dell’Emilia-Romagna offre dati analoghi. Tra le differenze, si può notare come il 45,8% delle imprese attive nel 2008 e passive nel 2007 hanno avuto la stessa situazione nel 2006. La differenza con la Lombardia (quasi il 20% delle esperienze negative protratte nel tempo) può essere letta come maggiore dinamicità in negativo del settore in Emilia-Romagna. Simili invece, tra le due regioni, risultano i dati che fanno riferimento alle situazioni positive per l’intero triennio 2006-2008: il 77,8% in Emilia-Romagna, contro l’80,3% in Lombardia.
Roma, Napoli e Palermo
Nelle province di Roma, Napoli e Palermo la situazione esprime dinamiche diverse: a Roma è massima la capacità delle imprese di mantenere un trend positivo nel triennio (80%); tale capacità si abbassa a Napoli (73,6%) e decresce ancora a Palermo (64,7%). Più costanti le proporzioni fra le imprese che hanno rilevato una chiusura in perdita nell’intero triennio: solo il 33,3% e il 25% rispettivamente delle imprese napoletane e palermitane, che hanno sperimentato nel 2007 una situazione negativa, provenivano da una chiusura positiva ed hanno poi chiuso utilmente il 2008. Lo stesso valore, negli altri territori, non scende mai sotto il 50%. Tuttavia il 2006 e il 2007 hanno messo a dura prova il settore delle pulizie nel territorio palermitano, visto che più del 50% delle imprese registrate in quegli anni hanno chiuso in rosso. È il caso di notare come, pur nella sua negatività, il 2008 sia stato un anno nel complesso positivo.
Spunti di riflessione
Non risulta sempre agevole, in una tale eterogeneità di dati e trend, trarre conclusioni univoche: la ricerca, invece, offre diversi e significativi spunti di riflessione sul complesso panorama delle imprese italiane di servizi di pulizia.
Un primo aspetto da considerare è quello relativo al rapporto tra imprese cooperative e non cooperative, visto soprattutto nella sua evoluzione nel tempo. Se si esamina il rapporto tra i dati del 1996 e quelli del 2008, emerge un aspetto saliente: le imprese cooperative hanno acquisito terreno, portandosi da poco più del 12% a quasi il 19% sul totale delle imprese; quanto al numero degli addetti, per le stesse essi sono saliti dal 24 al 36%. Quanto ai contributi previdenziali, l’incremento è stato ancora maggiore: dal 21 al 38%. Significativo anche il fatto che le stesse imprese cooperative – pur rappresentando poco meno del 19% del totale delle imprese di servizi di pulizia – sviluppino una contribuzione percentualmente doppia.
Quanto alla distribuzione geografica, si conferma il fatto che le imprese cooperative sono concentrate in Emilia-Romagna, storicamente regione ad alta densità di società a statuto cooperativo. A Roma, invece, le imprese cooperative registrano la minore incidenza in termini percentuali, superate anche dalle società per azioni a socio unico (13,6 contro 11,6%).
Il modello della società a responsabilità limitata permane tuttavia quello preferito dagli operatori del settore.
Meritevoli di considerazione appaiono le dichiarazioni di utile e perdita relative al 2008: la maggior parte delle imprese si colloca in una fascia mediana, vale a dire con un utile fino a 5.000 euro, ma a Roma e Napoli prevalgono gli utili oltre i 20.000 euro. Particolarmente preoccupanti, tuttavia, risultano i dati riguardanti le perdite delle imprese: molte di esse, infatti, non hanno sviluppato marginalità nel corso del 2008, risultando addirittura in perdita di oltre 10.000 euro (in Lombardia nel 18,8% dei casi). Se si considerano i dati di Palermo, risulta come nel 27% dei casi le imprese lavorino al di sotto delle marginalità e siano addirittura più numerose le imprese che perdono oltre 10.000 euro rispetto a quelle che ne guadagnano più di 20.000 (circa il 12% contro il 10%).
In conclusione, la fotografia che emerge dalla ricerca ONBSI è quella di un mercato fortemente eterogeneo e per buona parte in sofferenza, in cui il ruolo delle imprese cooperative è decisamente in crescita. In questo contesto, appaiono evidenti le differenze territoriali, a dimostrazione del fatto che ogni area geografica ha le proprie peculiarità e offre alle imprese differenti prospettive.
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Note
1ONBSI I servizi di pulizia: le dimensioni del settore, Roma, ONBSI, 2011.