Uno dei temi più caldi degli ultimi mesi (e non solo) è, senza dubbio, quello della distinzione fra appalto genuino e appalto “spurio”, che si configura in ultima analisi come interposizione illecita di manodopera.
Non c’è appalto (genuino) senza autonomia organizzativa
Ci è tornato di recente il Tribunale di Catanzaro – Sezione I Civile con la sentenza n. 1028 del 10 dicembre 2024, che ha ribadito che non sussistono i requisiti tipici dell’appalto genuino se l’impresa appaltatrice è “priva di sostanziale autonomia organizzativa”, dal momento che il potere direttivo-organizzativo dei dipendenti e del lavoro è de facto esercitato dal committente. Ricordiamo a tal proposito che, per la cd. “legge Biagi” (dlgs 276/03), tre sono le figure sintomatiche di un appalto genuino: proprietà dei mezzi, rischio d’impresa e, appunto, autonomia gestionale e organizzativa.
Identikit di un’interposizione illecita
Il fatto coinvolge due addetti ai servizi di trasporto di prodotti postali, ma può essere ben applicato anche al settore delle pulizie/ multiservizi/ servizi integrati. Stringenti le deduzioni dei due ricorrenti. Tra queste: che nel corso dei diversi rapporti di lavoro, con i vari appaltatori del medesimo servizio e per il medesimo lotto, l’attività di entrambi era consistita nel trasporto dei prodotti postali da una filiale all’altra del medesimo lotto (mediante conduzione di un automezzo dell’appaltatore) nonché nella vuotatura delle cassette postali.
Tanti appaltatori, un solo modello organizzativo
In questo scenario, nonostante i formali datori di lavoro siano stati i diversi appaltatori, non era mai mutata né la modalità di lavoro, né il rapporto fra gli appaltatori e la committente; che tutti gli appaltatori avevano come unica committente “xxx” e addirittura, uno dei datori di lavoro era parte di un consorzio, creato appositamente per l’affidamento dell’appalto nel 2007 che aveva nell’oggetto sociale il compito di “svolgere incarichi di corriere espresso, servizi di recapito urbano plichi, pacchi; servizi attività di consegna, ritiro e trasporto di effetti postali e servizi accessori”.
Un controllo costante e dettagliato
Non basta: i ricorrenti hanno fatto notare che il servizio si era sempre svolto sulla base delle precise e puntuali indicazioni contenute nei modelli creati dalla committente e consegnati periodicamente all’appaltatore, menzionati sia nel capitolato di appalto che nel contratto fra committente e appaltatori; che in tali modelli erano indicati “i tempi di esecuzione del servizio, nonché orari e luogo di partenza e arrivo, punti intermedi del percorso e tipologia di veicolo, chilometraggio, ecc.; che il preciso e puntuale adempimento degli obblighi del contratto, ivi comprese le tempistiche, era sottoposto allo stringente controllo della committente anche al fine di “salvaguardare la propria immagine”.
Messo nero su bianco…
Ancora: l’appaltatore doveva indicare puntualmente (“con congruo anticipo”, si legge nell’accordo-quadro) l’elenco del personale che avrebbe avuto accesso agli uffici; che la committente manteneva, altresì, un controllo e un potere di veto sul personale utilizzato dall’appaltatore: “qualora rilevi che i dipendenti e/o figure assimilabili dell’impresa abbiano dato prova di scorrettezza, incapacità o comportamento fraudolento, o posto in essere azioni tali da creare turbamento al servizio o danni ne darà comunicazione all’impresa che sarà tenuta a procedere all’immediata sostituzione”.
Un caso “da manuale”
Si tratta in effetti di un caso “da manuale” di interposizione illecita di manodopera in cui è agevole ravvisare (non solo da dati di fatto, ma addirittura in documenti ufficiali come accordi-quadro e modelli organizzativi) il carattere non genuino dell’appalto dall’assoggettamento alle indicazioni in schemi predisposti dalla società committente e nella sottoposizione al gradimento di quest’ultima dei dipendenti dell’appaltatore. Oltretutto il lavoro era di fatto dettagliato e precisato, fin nelle minuzie organizzative, da parte della committente, senza che alcuno spazio di autonomia organizzativa fosse lasciato all’impresa appaltatrice. Stanti tali presupposti, il giudice del lavoro non ha potuto che accogliere il ricorso dei due lavoratori, accertando e dichiarando l’illegittimità dei contratti.