Il caso affrontato dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza n. 26927 del 17 ottobre scorso appare di notevole interesse, in quanto unisce due temi “caldi”: l’ultrattività dei contratti nazionali e le fattispecie di “dumping” contrattuale, vale a dire la scelta datoriale di applicare un contratto affine ma più conveniente rispetto a quello di norma applicato.
I motivi della controversia
Cerchiamo di vederci più chiaro: il caso riguarda un gruppo di dipendenti (non sanitari) attivi nell’ambito dell’assistenza socio-sanitaria che contestavano l’annuncio del datore di lavoro di voler applicare il Ccnl Cdr delle rsa stante un duplice ordine di ragioni: da un lato le difficoltà economiche dell’ente, dall’altro il disconoscimento dell’ultrattività del -più oneroso- contratto di riferimento sanità privata, scaduto nel 2005 (poi rinnovato solo nel 2020). I lavoratori hanno ritenuto illegittima questa decisione e hanno agito legalmente per ottenere il riconoscimento del loro diritto a mantenere il precedente contratto, invocando in aggiunta le relative differenze retributive.
I primi due gradi di giudizio
Già in prime cure, il tribunale accoglieva la tesi dei dipendenti, ribadendo l’ultrattività del Ccnl sanità privata, pur essendo formalmente scaduto, continuava a essere valido grazie alla clausola di ultrattività, che ne prorogava l’efficacia fino al rinnovo successivo (una previsione peraltro presente anche nel Ccnl “Multiservizi”, la cui scadenza è prevista il prossimo 31 dicembre). Una prospettiva condivisa dall’appello, che ha affermato che il datore di lavoro non poteva recedere unilateralmente dal Ccnl della sanità privata, poiché la clausola di ultrattività vincolava le parti fino al rinnovo. In aggiunta la Corte ha respinto l’argomentazione secondo cui l’eccessiva onerosità del contratto avrebbe giustificato il recesso unilaterale, precisando che tale facoltà -su scala nazionale- è riservata solo alle parti stipulanti (organizzazioni sindacali e associazioni datoriali di categoria) e non può essere esercitata dal singolo datore di lavoro.
Un consolidato insegnamento degli Ermellini
Lo scorso ottobre, con la sentenza sopra ricordata, è arrivata la conferma della Cassazione, che ha sancito l’applicabilità della clausola di ultrattività ribadendo l’illegittimità di recesso unilaterale anche in caso di manifeste difficoltà economiche. Si legge infatti: “Secondo consolidato insegnamento di questa Corte, al quale si intende dare continuità, nel contratto collettivo di lavoro la possibilità di Corte di Cassazione – copia non ufficiale disdetta spetta unicamente alle parti stipulanti, ossia alle associazioni sindacali e datoriali che di norma provvedono anche a disciplinare le conseguenze della disdetta. Pertanto al singolo datore di lavoro non è consentito recedere unilateralmente dal contratto collettivo, neppure adducendo l’eccessiva onerosità dello stesso”.