Torniamo sul cambio d’appalto, un argomento che non sarà mai sviscerato a sufficienza tante sono le casistiche possibili e la frequenza con cui si verificano nell’attività delle imprese di pulizia/ multiservizi /servizi integrati.
Il caso
Ebbene, questa volta ci concentriamo sul rapporto con l’istituto del “trasferimento d’azienda” disciplinato dall’art. 2112 del Codice civile. Nel caso preso in esame dalla Corte di Cassazione con Ordinanza 27704 del 25 ottobre scorso, un’impresa di servizi di vigilanza (ma il caso è facilmente applicabile anche al nostro specifico settore) era subentrata ad altra società nell’ambito di una procedura di cambio appalto, assorbendo tutto il personale (oltre ad avvalersi di propri dipendenti in affiancamento) e continuando ad applicare la contrattazione collettiva nazionale di lavoro applicata dal precedente datore di lavoro.
E’ trasferimento o no?
L’operazione non veniva ricondotta alla fattispecie di “trasferimento d’azienda” nonostante la diversa organizzazione del lavoro (diverse divise, cartellini e mezzi), con applicazione degli artt. 2112 c.c. e 29, comma terzo, del dlgs. 276/2003. In questo contesto un dipendente trasferito all’impresa subentrata agiva in giudizio dinnanzi il Tribunale per far accertare che tale operazione integrava invece un trasferimento d’azienda (causa petendi), e chiedendo dunque come petitum una somma di denaro ad integrazione del proprio trattamento economico.
La querelle giurisprudenziale, dal primo grado alla Cassazione
Ne discendeva una lunga querelle giurisprudenziale, risoltasi soltanto davanti al giudice nomofilattico. In prime cure, infatti, il Tribunale respingeva le domande del ricorrente, il quale impugnava la sentenza dinnanzi alla Corte d’Appello la quale, in riforma della decisione, accertava che tra le due società si era configurato un trasferimento d’azienda, condannandole al pagamento delle somme richieste dal lavoratore. Interessante l’assunto della Corte: la norma novellata di cui all’art. 29, comma terzo, del dlgs 276/2003 -cd. legge Biagi- richiede, ai fini dell’esclusione delle garanzie dettate dall’art. 2112 cod. civ., che l’impresa subentrante nell’appalto presenti elementi di discontinuità, che, tuttavia, nel caso in esame non erano emersi: ciò in quanto, nonostante la reciproca autonomia e l’assenza di collegamenti fra i soggetti, una parte della strumentazione tecnica impiegata, oltre ai locali, erano stati forniti dalla stazione appaltante, mentre gli unici elementi di novità organizzativa introdotti dalla società subentrante erano consistiti nell’adozione delle nuove divise e dei cartellini.
Necessario dimostrare autonomia e discontinuità
Il giudizio approdava così in Cassazione, dove, all’esito di una approfondita ricognizione della giurisprudenza in materia, gli Ermellini ribadivano una sorta di “presunzione” di operatività dell’art. 2112 cc in caso di cambio d’appalto, a meno che la società subentrante sia caratterizzata da “elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa”. Dunque per escludere l’applicazione del 2112 ell’ambito di un cambio appalto, l’imprenditore subentrante deve possedere un’autonoma “struttura organizzativa e produttiva”, con assunzione del conseguente rischio di impresa e con significativi elementi di discontinuità rispetto all’organizzazione della società uscente.
Un altro pronunciamento in linea
Dello stesso tenore il ravvicinato pronunciamento di Cassazione (sez. lav. 27607/2024 del 24 ottobre scorso), secondo cui il cambio d’appalto non costituisce trasferimento d’azienda a condizione che “siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa”. In caso contrario, stante la nuova formulazione del succitato art. 29, opera una sorta di presunzione di operatività del trasferimento d’azienda, con inversione dell’onere della prova della presenza degli elementi di discontinuità nei confronti dell’appaltatore subentrante.