E’ molto interessante, per il settore delle imprese di pulizie/multiservizi/servizi integrati, caratterizzata come è noto da un’altissima incidenza della manodopera, la sentenza della Corte di Cassazione n. 27446 del 23 ottobre scorso, in cui i giudici di legittimità hanno chiarito alcuni importanti “nodi” relativi all’istituto dell’aspettativa per malattia.
L’accaduto analizzato dai giudici
Il fatto riguarda un’operatrice sanitaria (infermiera), ma è facilmente applicabile anche al nostro settore: quest’ultima, in regime di aspettativa causa malattia, si vedeva intimare dal datore un licenziamento con preavviso -nel corso dei 18 mesi di aspettativa- per non aver prodotto giustificazioni delle assenze: in sostanza il licenziamento aveva carattere disciplinare, in ragione del fatto che la lavoratrice non avrebbe presentato, dopo i primi con cui aveva ottenuto l’aspettativa, ulteriori certificati medici che giustificassero il prolungarsi dell’assenza. La dipendente dunque impugnava il provvedimento, dando luogo a un lungo iter giudiziario.
La parola alla Cassazione
Il recesso, convalidato in primo grado di giudizio, è stato dichiarato illegittimo in Appello, trovando le resistenze della società datrice. In sede di legittimità, dunque al terzo grado, la Cassazione sez. Lavoro ha sostanzialmente accolto la tesi della lavoratrice: in sostanza ha chiarito che durante il periodo di aspettativa per malattia non retribuita -concesso dal datore in casi particolarmente gravi- non matura l’anzianità di servizio, ma resta in capo al lavoratore il diritto alla conservazione del posto di lavoro per il periodo massimo di 18 mesi. A tale proposito, visto che i giudici fanno riferimento in sentenza anche alla contrattazione collettiva di comparto, segnaliamo per le nostre imprese che il trattamento di malattia è disciplinato nel Ccnl multiservizi vigente (in scadenza il 31 dicembre di quest’anno) all’art. 51, che per le aspettative richiama le leggi vigenti.
Non è necessario continuare a presentare i certificati
Arriviamo però al punto centrale, quello cioè relativo alla necessità di presentare i certificati medici successivamente alla concessione dell’aspettativa: la Cassazione ha affermato che durante il periodo di aspettativa per malattia non retribuita non sussiste alcun obbligo per il lavoratore che ne usufruisce di trasmettere all’ente concedente ulteriori certificati medici per giustificare la propria assenza.
L’argomentazione della Corte
Secondo gli Ermellini infatti “occorre considerare che durante il periodo di aspettativa per malattia non retribuita è indubbio che il rapporto di lavoro entra in una fase di quiescenza (non matura l’anzianità di servizio), durante la quale l’unico diritto che residua in capo al lavoratore è quello alla conservazione del posto di lavoro per il periodo massimo di 18 mesi, e il periodo di aspettativa è concesso dal datore di lavoro solo dopo aver vagliato preventivamente la sussistenza di condizioni di salute “particolarmente gravi” e per un periodo predeterminato. I certificati medici giustificativi, pertanto, sono prodotti, come nella specie, dal lavoratore e vagliati dal datore di lavoro prima di concedere il diritto ad assentarsi dal lavoro con conservazione del posto”. Si ribadisce dunque che i certificati sono presentati prima, e appunto allo scopo del vaglio datoriale, e non è dunque necessario continuare a ripresentarli.
Le differenze con il comporto
I giudici si sono poi concentrati sulle differenze che intercorrono fra le assenze regolate dal comporto e quelle relative all’aspettativa per gravi motivi di salute: se nel primo caso continua a maturare l’anzianità di servizio e il lavoratore mantiene il diritto al pagamento della retribuzione, per quanto in misura ridotta, il periodo di aspettativa interrompe la maturazione dell’anzianità e non è retribuito. Si legge in sentenza: “I certificati medici giustificativi sono prodotti, come nella specie, dal lavoratore e vagliati dal datore di lavoro prima di concedere il diritto ad assentarsi dal lavoro con conservazione del posto”. Per tali ragioni la dipendente si è vista dunque reintegrare sul luogo di lavoro, con condanna dell’azienda alle spese di lite. Attenzione dunque alla corretta applicazione delle norme e dei contratti.