Un tempo si chiamava “eterogenesi dei fini”, ovvero quando un atto, perseguendo apertamente una finalità, rischia di fatto di ottenerne un’altra, a volte in netto contrasto con la prima, se non diametralmente opposta.
Ci riferiamo al “giro di vite” sugli appalti illeciti introdotto dal recente decreto legge 19 del 2 marzo 2024 (il cosiddetto “decreto Pnrr”), di cui abbiamo già parlato ampiamente anche in questa newsletter. Il rischio concreto è che, con l’intenzione di introdurre misure più pesanti, il legislatore abbia finito per alleggerire -almeno sotto il profilo puramente economico- l’apparato sanzionatorio rispetto al regime di sanzioni amministrative precedentemente in vigore.
Com’era – Come è possibile? Andiamo con ordine: come abbiamo ripetuto varie volte, il DL 19/24 ha ri-penalizzato il regime sanzionatorio in caso di appalto (e di distacco) illecito, intervenendo sull’articolo 18 del Dlgs 276/2003 (cd. “legge Biagi”). Nel regime previgente, dopo la depenalizzazione dell’illecito introdotta dal dlgs 8/2016, per l’appalto non genuino si prevedeva una sanzione amministrativa (già ammenda, sul piano penale) di 50 euro, divenuti 60 con l’incremento del 20% fissato dalla lEgge di Bilancio 2019 per ogni lavoratore coinvolto e per ogni giornata di occupazione.
In caso di regolarizzazione della posizione era possibile accedere al pagamento in misura ridotta ex l. 689/1981, con sanzione amministrativa rideterminata in misura pari a un terzo dell’importo massimo: nello specifico 20 euro al giorno per ciascun lavoratore illecitamente impiegato. L’art. 16 primo comma della predetta legge recita infatti: “E’ ammesso il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa”.
Com’è oggi (DL 19/24)– Ora però il quadro è cambiato, nel senso che l’illecito è ritornato penale quale contravvenzione con pena alternativa: arresto fino a un mese o l’ammenda di 60 euro. Il punto è però che lo strumento deflattivo appare maggiormente conveniente rispetto al precedente. Trattandosi di materia penale, infatti, a valere non è più la legge del 1981 che prevedeva un terzo dell’ammenda, ma il dlgs 758/94, che prevede la possibilità di estinguere l’illecito pagando una somma di denaro, in sede amministrativa, pari a 1/4 dell’ammenda: è la cosiddetta “prescrizione obbligatoria.
Il conto è semplice– A questo punto il conto è semplice: in luogo di 20 euro se ne pagherebbero 15, con un “risparmio” che, moltiplicato per ogni giorno e per ogni lavoratore, può risultare anche notevole. Un vantaggio che resterebbe anche nel caso di aumento del 30%, sempre ex legge di Bilancio 2019, per alcune sanzioni tra cui quelle previste dalla legge Biagi art. 18. Confermato che l’importo della sanzione non può comunque essere inferiore a 5mila euro e superiore a 50mila: anche in questo caso oggi si potrà dividere l’importo minimo e massimo per 4 anziché per 3.
Corruptissima re publica, plurimae leges, scriveva lo storico Publio Cornelio Tacito quasi due millenni or sono. Insomma, le leggi proliferano quando lo stato è in crisi, o giù di lì. Ora, senza farci prendere troppo dal pessimismo tacitiano, ci pare di poter applicare anche ai nostri tempi (e al nostro settore) il succo di questa celebre locuzione: e, si sa, nel proliferare delle leggi qualcosa rischia sempre di sfuggire. Come in questo caso, in cui la ri-penalizzazione dell’illecito in materia di appalto privo dei requisiti di cui all’articolo 29, comma 1, del Dlgs 276/03 finisce per produrre -alla luce dei due diversi regimi deflattivi applicabili- effetti sostanzialmente più convenienti, in caso di regolarizzazione con rinuncia al contenzioso, rispetto al precedente quadro di sanzioni amministrative. Con l’evidente rischio di aumentare l’appetibilità dell’illecito…