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Grave infortunio: che succede?

Una scena che, purtroppo, si incontra in non pochi cantieri di pulizia/multiservizi/servizi integrati: un gruppo di addetti sta lavorando, uno di questi, per superficialità, non indossa i DPI e si procura un grave infortunio.

Sul posto, in quel momento, non è presente colui che, formalmente (e del tutto correttamente) era stato nominato preposto dal datore di lavoro (spesso, si sa, le imprese con commesse in più cantieri nominano un unico preposto di zona o d’area, che non può essere onnipresente e ubiquo).

Ebbene, che succede? Chi risponde penalmente dell’accaduto? Eventualmente il datore, per la sua parte. Ma non basta, perché il giudice non si ferma al livello apicale. A farne le spese è anche il cosiddetto “preposto di fatto”, ossia colui che, pur in mancanza di un’ investitura formale, si trova in quel momento a rivestire un ruolo di coordinamento o sovrintendenza effettiva sugli altri dipendenti (spesso il lavoratore più esperto o con maggiore anzianità, con mansioni di “caposquadra”).

Ormai sono parecchi i pronunciamenti dei tribunali, delle corti d’appello e della Cassazione in questo senso: tra le più recenti e significative c’è la sentenza della Suprema Corte sez. penale n. 51459 del 28 dicembre 2023, che ha visto soccombere un “preposto di fatto” ritenuto penalmente responsabile. E’ la stessa sentenza a ricostruire con chiarezza i fatti, un gravissimo  infortunio occorso a un dipendente mentre era intento a compiere un lavoro nel cantiere. In particolare allo stesso “era stato richiesto dal capo squadra di tagliare una fila di chiodi in acciaio infissi in una parete di calcestruzzo, lavorazione compiuta dapprima mediante una macchina smerigliatrice detta flex grande, quindi, non riuscendo a togliere l’ultimo chiodo, ed in mancanza dell’attrezzo idoneo ovvero una flex piccola, utilizzando un martello con cui dava un colpo al chiodo che spezzatosi rimbalzava contro il muro trasversale attingendolo all’occhio. In quel momento il lavoratore era privo di occhiali protettivi sicché l’impatto provocava una lesione personale consistita in “trauma bulbare perforante”, che rendeva necessario un intervento chirurgico con prognosi di 283 giorni”.

Questa la vicenda. Sennonché il caposquadra, senza nomina di preposto da parte del datore, veniva condannato ex 590 cp (lesioni personali colpose) già nei primi due gradi di giudizio per aver omesso di verificare il corretto impiego dei dpi da parte del collega infortunatosi (gli occhiali protettivi, pur regolarmente in dotazione). Un orientamento confermato dalla Cassazione, controbattendo alla tesi difensiva che contestava, in buona sostanza, la qualifica di “preposto di fatto” riconosciuta dai giudici del merito in capo al ricorrente.

Scrivono gli Ermellini: “Pur in mancanza di un’investitura formale, il preposto di fatto è colui che esercita in concreto gli stessi poteri di un preposto assumendo di conseguenza la relativa posizione di garanzia dovendo assicurare la sicurezza del lavoro e sovraintendere alle attività, impartendo istruzioni, dirigendo gli operai, attuando quindi le direttive ricevute dal datore di lavoro. Dalle prove testimoniali assunte risulta che il caposquadra era il soggetto che sovraintendeva all’attività lavorativa e garantiva l’attuazione delle direttive ricevute controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori.

E c’è di più: pur essendovi in quel caso un “capocantiere”, con un ruolo senza dubbio gerarchicamente superiore anche allo stesso caposquadra, la Cassazione si concentra, ribadendole, sulle responsabilità di quest’ultimo, in ossequio al principio “di effettività”.

Leggiamo ancora: “Quanto alla responsabilità in relazione al ruolo dal medesimo ricoperto, va rilevato che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, indipendentemente dalla sua funzione nell’organigramma dell’azienda”.

Un orientamento che desta non poche preoccupazioni nelle imprese e, soprattutto, nei lavoratori. In altre parole, nessuno può più dormire sonni tranquilli quando assume una posizione di garanzia di fatto. E qui si aprono scenari che potrebbero far discutere a lungo: quando, in effetti, si assume questo ruolo? Anche in caso di investitura regolare da parte del datore, cosa accade quando il capo cantiere designato non è presente sul posto o semplicemente si trova lontano dalla scena? Basta un semplice comando o suggerimento dato a un collega a configurare una “supervisione di fatto”? Vale l’esperienza o l’anzianità di servizio? In base a quali accertamenti istruttori la giurisprudenza di merito procederà nell’individuazione dei concreti responsabili? E come agiranno i giudici di legittimità? Tutti dubbi legittimi, con un’unica certezza: sembra quasi che il responsabile debba comunque essere trovato.

Qualora ciò non bastasse, giova ricordare che nel dicembre del 2021, con la legge 215 di conversione del Dl 146/21, sono state apportate significative modificazioni al TU sicurezza, con un ulteriore “giro di vite” proprio sulla figura del preposto. Aggravato, in particolare, l’art. 19 sugli “Obblighi del preposto”, tra cui ora rientrano: interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti, in caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza della inosservanza; interrompere temporaneamente l’attività e segnalare al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate, in caso di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata.

Tutti gravami che, in virtù di un’immediata analogia iuris, sorgono anche in capo ai “preposti di fatto”. Massima attenzione, dunque, a tutelare l’impresa e i dipendenti.

Leggi Cassazione Penale, 28 dicembre 2023, n. 51459

Legge 215/21

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