Giro di vite dell’esecutivo sulle violazioni in materia di igiene, salute e sicurezza in ambito lavorativo. Con il decreto direttoriale 111/2023, a firma Gennaro Gaddi, il Ministero del Lavoro ha reso noti gli incrementi delle sanzioni decorrenti dal luglio scorso.
Il testo del decreto
Il testo, lapidario, può essere riportato integralmente: “Le ammende riferite alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro e le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nonché da atti aventi forza di legge, sono rivalutate, a decorrere dal 1° luglio 2023, nella misura del 15,9%”.
Valori con cui non si scherza
Lo diciamo da sempre: con la salute e la sicurezza sul lavoro non si scherza. Appare quindi meritoria l’iniziativa del Governo, anche alla luce della circostanza che viene fatta esplicita menzione dell’igiene, prima ancora di salute e sicurezza (ma ci torneremo).
La sanzione non basta
Ben vengano dunque questi incrementi, ma ci sia permesso di dire che non sono sufficienti: gli istituti sanzionatori da soli non bastano, e il perché è semplice da comprendere. Iniziamo con il dire che quando scatta la sanzione, che pure ha un indiscutibile effetto deterrente e -c’è da sperarlo- responsabilizzante, forse è già troppo tardi. A ben guardare, la sanzione non è altro che la messa nero su bianco -a verbale, appunto- di una situazione di rischio o pericolo conclamato. Ma chissà quante altre, nel frattempo, sfuggono ai radar. Controllare tutti e sempre è impossibile, e sappiamo, fra l’altro, quanto quello del controllo sia un tema critico.
Le strade sono altre, e più complesse
Diciamo anche che, purtroppo, non manca chi fa i suoi calcoli di convenienza, a spese -ahinoi- dell’altrui sicurezza: a fronte di una sanzione ricevuta, quante altre infrazioni non sono state scoperte? In termini ancora più brutali, non è che il gioco della “superficialità calcolata” valga la candela? Ciò è tanto più vero quanto più importante è l’incidenza dei costi del personale, che è il destinatario ultimo dei doveri di garanzia e di tutela posti dalla legge in capo al datore. Il fatto, in sostanza, è che aggravare le sanzioni sembra non rappresentare la vera soluzione, che dovrebbe invece passare per ben altre strade: la cultura della prevenzione, la formazione continua, la professionalizzazione, l’emersione, per ricordarne alcune fra le più significative.
Emersione innanzitutto
Concentriamoci sul nostro settore, e partiamo proprio dall’emersione. Diciamolo ad alta voce: nel comparto pulizie/multiservizi/servizi integrati c’è ancora troppo lavoro sommerso. Il che, si sa, aumenta esponenzialmente le situazioni a rischio. Oltre ad avere l’effetto, deleterio, di abbassare il livello di attenzione di addetti ai lavori e opinione pubblica sul settore (dove sono finiti gli “eroi della sanificazione” tanto celebrati in tempo di pandemia?).
La centralità dell’igiene
A proposito di pulizia e igiene, cosa abbiamo imparato dalla drammatica stagione del Covid? È servita davvero la lezione, o crediamo di potercela cavare con pochi e ormai esauriti dispenser di gel per le mani stancamente dislocati qua e là nei luoghi di lavoro? Abbiamo notato che il termine igiene, nel decreto, appare per primo? E che troppo spesso, invece, nella concreta realtà di tutti i giorni il tema viene relegato agli ultimi posti nei contesti lavorativi?
Un circolo virtuoso
Proprio da queste considerazioni deve prendere avvio un circolo virtuoso, in cui un’altra parola-chiave è “professionalizzazione”. Professionalità non significa solo know-how tecnico e perizia sul lavoro, ma anche tutela delle condizioni di sicurezza. Lavorare bene e farlo nel modo più corretto, insomma. Il che significa operare con gli strumenti, i prodotti, le macchine, le attrezzature e i sistemi e giusti (professionali, appunto). E, per le committenze, pretendere un servizio all’altezza e sicuro, innescando anche in questo senso un volano positivo.
Formazione
Ma si fa sicurezza anche con la formazione idonea (e non soltanto quella specifica), tappa fondamentale nel processo di emersione e professionalizzazione. Qui sappiamo di toccare un altro punto spesso dolente, nonostante negli ultimi anni, ad opera di produttori, associazioni di imprese, organizzazioni sindacali e soggetti privati siano stati fatti importanti passi in avanti in questo senso.
Vera prevenzione
È poi impossibile non ricordare, seppure tangenzialmente, il controverso tema dei contratti di categoria. Come si può fare tutto questo quando a volte sono gli stessi Ccnl, peraltro sottoscritti dalle sigle comparativamente più rappresentative, a prevedere retribuzioni sotto la soglia della dignità (le parole non sono nostre, ma dei giudici di Cassazione)? L’igiene ha un costo, la sicurezza ha un costo, la formazione ha un costo, il fare cultura ha un costo: se il gioco, neppure troppo mascherato, è quello a un massimo ribasso “di fatto”, peraltro tacitamente accettato dalle parti, come si può mettere in atto una vera prevenzione?
Valori assoluti
Arriviamo infine alla vetta, che chiamiamo “cultura”, lato sensu. Un termine omnicomprensivo che delimita il perimetro valoriale entro cui occorre muoversi al fine di creare un terreno fertile, e solido, per fare autentica sicurezza. E che per noi significa prima di tutto valore assoluto dell’igiene, termine che non viene ricordato abbastanza, ma che compare per primo nel decreto e nelle norme richiamate. Prima ancora della salute e della sicurezza, di cui appare dunque come presupposto essenziale. Torniamo dunque da dove siamo partiti: siamo sicuri di attribuire all’igiene, alla cultura, alla formazione e alla professionalità il loro vero valore? Se sì, forse di sanzioni non sentiremmo nemmeno più parlare.