“Colpo di scena”, ma nemmeno troppo, nell’ormai annosa querelle sul Ccnl da applicare nel caso di appalti di servizi, che si sta combattendo senza esclusione di colpi nelle Procure, negli Ispettorati, nelle aule dei tribunali del lavoro e amministrativi.
L’ultima parola (per ora) è quella del Tribunale Amministrativo per la Lombardia, che in una sentenza datata 28 giugno 2023, ma pubblicata soltanto il 4 settembre scorso, ha rigettato ogni contestazione in merito all’adeguatezza del contratto collettivo nazionale Vigilanza privata – servizi fiduciari, annullando il verbale con cui un Ispettorato Territoriale del Lavoro aveva ordinato a un’azienda impegnata nei servizi di portierato, custodia, reception e guardiania non armata di applicare un diverso, e più oneroso, accordo collettivo, che è poi quello del settore Multiservizi. Peraltro, va osservato, si tratta di servizi perfettamente coerenti con il perimetro contrattuale del Multiservizi, che negli anni, lo sappiamo, si è esteso a coprire un ventaglio sempre più ampio (non a caso è stato coniato il termine “Multiservizi”, che si è affiancato a quello di pulizia e servizi integrati).
Alcuni lo chiamavano “dumping contrattuale”, oggi il termine non va più di moda ma il concetto resta il medesimo: la tendenza a “scivolare” verso contratti meno impegnativi, peraltro siglati dalle Organizzazioni sindacali comparativamente maggiormente rappresentative (quindi perfettamente legittimi e non “pirateschi”, per usare il gergo). E’ proprio il caso di specie, che ruota intorno a un verbale di contestazione di illecito amministrativo emesso nei confronti di un’impresa cooperativa che applicava per il proprio personale il Ccnl Servizi fiduciari; un accordo con livelli retributivi molto contenuti, ma con una forte rappresentatività. Ora, per l’Inl l’applicazione di tale Ccnl determinasse il pagamento delle retribuzioni del personale dipendente in misura inferiore ai livelli minimi previsti dalla contrattazione collettiva applicata in violazione dell’articolo 3 della legge 3 aprile 2001 n. 142 (sulla revisione della legislazione in materia cooperativistica) nonché dell’articolo 36 della Costituzione.
Proprio sulla base della legge 142, tuttavia, il Tar ha ribaltato l’impostazione degli ispettori: la norma impone alle imprese cooperative di riconoscere al socio lavoratore un trattamento complessivo minimo non inferiore a quello previsto dal Ccnl comparativamente più rappresentativo del settore, che funge da parametro esterno di commisurazione della proporzionalità e della sufficienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell’art. 36 Cost. In tal modo si impedisce l’applicazione al socio-lavoratore di una Cooperativa di un Contratto collettivo c.d. “pirata” (ovvero sottoscritto da organizzazioni sindacali minoritarie e quindi poco rappresentative) o l’applicazione di un Contratto collettivo non pertinente rispetto al settore di attività. Cosa che non è avvenuta, anche perché la Coop ricorrente svolge attività relative a servizi di “guardia non armata, portierato, custodia, reception, revisione e manutenzione delle relative attrezzature”.
Certamente il predetto Contratto collettivo appare appropriato rispetto all’attività svolta dalla Cooperativa ricorrente, secondo i giudici ancor più rispetto al Multiservizi. Il Tar ricorda poi, ed è forse questo uno dei punti più interessanti, che nell’applicazione del Ccnl il datore gode di ampio margine di discrezionalità, salvo il caso di accordi collettivi con previsioni contrarie alla legge o riferibili a categorie del tutto disomogenee. La sindacabilità giurisdizionale è limitata a tali ultimi aspetti.