E’ uno dei temi caldi del momento, e non sorprende che incomincino ad arrivare i primi significativi pronunciamenti giurisprudenziali. Un caso-pilota è la sentenza del Tribunale amministrativo per il Lazio n. 6575 del 17 aprile scorso, pronunciata su ric. n. 5769/22. Il caso riguarda una coop sociale (ma potrebbe facilmente riferirsi a un’impresa di pulizie/ multiservizi/ servizi integrati) impegnata in una serie di servizi labour intensive per un’azienda sanitaria locale.
E’ importante premettere che i fatti si riferiscono a una proroga contrattuale, avvenuta oltre i termini di scadenza degli atti originari. Ora, l’accettazione degli incarichi in proroga era avvenuta “a condizione che i prezzi dei servizi tenessero conto dell’adeguamento dei costi rispetto agli originari contratti derivanti dall’ISTAT e dall’aumento del costo del personale per rinnovo del CCNL di settore”. L’impresa aveva dunque chiesto alla stazione appaltante adeguata revisione, anche alla luce di fatture impagate, basando la richiesta sull’aumento dei costi desunti da Istat e del costo del lavoro a seguito del rinnovo contrattuale.
Sennonché, a conclusione del relativo procedimento, il dirigente preposto rigettava le istanze di revisione del prezzo, dando avvio ad un’interessante controversia di natura amministrativa. L’amministrazione infatti giustificava il diniego sostenendo che la revisione non sarebbe dovuta in quanto gli atti con cui è stata disposta la prosecuzione del servizio sarebbero veri e propri rinnovi dei precedenti contratti ai quali, come noto, non si applica la revisione dei prezzi, e non mere proroghe degli stessi. Asserzione smentita da successiva sentenza del Consiglio di Stato (3317/22), che sul punto ha definitivamente accertato che i provvedimenti con cui veniva posticipato il termine di conclusione dell’appalto sono da intendersi come proroghe e non come rinnovi contrattuali.
Al di là del dettaglio definitorio, tuttavia, il principio-chiave è quello del diritto alla revisione, sancito dal giudice laziale. Nella sentenza si legge fra l’altro: “I contratti de quibus sarebbero da ritenersi ad alta intensità di manodopera, trattandosi di servizi in cui il costo del lavoro inciderebbe per circa il 90% sul prezzo complessivo dell’appalto”. E ancora: “le richieste avanzate sarebbero state formulate al fine di mantenere inalterato il sinallagma contrattuale al fine di garantire un servizio puntuale”.
In termini più semplici, il giudice riconosce che le richieste di revisione trovano fondamento nella necessità di mantenere inalterato il livello qualitativo del servizio. Infatti, come da giurisprudenza consolidata, “l’istituto della revisione dei prezzi ha la finalità di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte”.
Sulla base di tali premesse risulta immotivata, oltreché non sostenuta da adeguata istruttoria, la decisione dirigenziale di rigettare l’istanza avanzata dall’impresa. Il Tar ha dunque annullato il diniego condannando la stazione appaltante a corrispondere all’appaltatore le somme rivalutate “a seguito di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione dei beni e servizi sulla base dei dati rilevati e pubblicati semestralmente dall’ISTAT sull’andamento dei prezzi dei principali beni e servizi acquisiti dalle amministrazioni appaltanti”, oltre naturalmente alle spese processuali dovute da parte soccombente.
D’altra parte nel nuovo Codice degli appalti, all’art. 60 rubricato proprio “Revisione prezzi” è esplicitamente previsto che “nei documenti di gara iniziali delle procedure di affidamento e’ obbligatorio l’inserimento delle clausole di revisione prezzi. Queste clausole non apportano modifiche che alterino la natura generale del contratto o dell’accordo quadro; si attivano al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva che determinano una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio”.
Si tratterebbe dunque di un meccanismo automatico, che esula dalla discrezionalità della stazione appaltante, e che scatta in particolari condizioni sulla base dei dati Istat. Una previsione che, almeno in potenza, potrebbe disinnescare questo tipo di contenziosi e che supera quanto previsto dal vecchio codice 163 del 2006, laddove all’art. 115 si prevedeva che: “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi”, lasciando un maggior margine di discrezionalità all’appaltante.
Sentenza del 17 aprile 2023, n. 6576_ Studio Brugnoletti & Associati