Oggi ci soffermiamo su un argomento di cui a dire il vero non abbiamo parlato di frequente, ma che è molto presente nella routine delle imprese di pulizia/ multiservizi/ servizi integrati, che spesso costituiscono una prima porta d’accesso al mondo del lavoro non solo per gli operatori, ma anche per il personale amministrativo con inquadramento impiegatizio o direttivo.
Ci riferiamo in particolare al complesso tema del “periodo di prova”, alla luce di due recenti sentenze di tribunali del lavoro appartenenti a due diversi gradi della giustizia ordinaria: il Tribunale di Treviso (sent. 16/2/2023) e la Corte d’Appello di Milano, sent. 258 del 6 marzo scorso. Denominatore comune è la controversa questione dell’obbligo di specificazione delle mansioni nel contratto di lavoro ai fini della validità del patto di prova, sulla quale gli ultimi orientamenti giurisprudenziali si sono rivelati tutt’altro che univoci.
Posto che è necessaria la forma scritta (art. 2096 cc), e che alcune peculiarità variano da Contratto a contratto (il Ccnl Multiservizi 2011 se ne occupa all’art. 8, con durate che vanno da 26 giorni per i livelli più bassi a 6 mesi per i quadri), si va infatti da chi propende per un’interpretazione rigorosa del dettame normativo pena la nullità della clausola e l’automatica conversione del rapporto a tempo indeterminato (risalenti Cass. 5811/95, 200/86), a chi valorizza il rimando alla contrattazione collettiva, ritenendo sufficiente richiamarsi ad essa per relationem, a chi infine -ma limitatamente alle mansioni di natura “intellettuale”-, prevede che nell’autonomia organizzativa di tali funzioni non sia necessario un livello di dettaglio superiore al mero inquadramento professionale.
Si tratta, in quest’ultimo caso, della via scelta dal giudice trevigiano, che ha rigettato il ricorso di una dipendente che aveva impugnato il recesso per mancato superamento del periodo di prova sulla base dell’eccezione secondo cui la semplice indicazione di “responsabile amministrazione del personale”, non accompagnata da una più dettagliata specificazione delle effettive mansioni da svolgere nel concreto, sarebbe risultata troppo generica, fino ad invalidare “in radice” il periodo di prova. Nello specifico, si legge in sentenza che lo stesso ruolo di natura direttiva e organizzativa -ben noto alla ricorrente- era ipso facto “ostativo alla possibilità di una aprioristica tassativa elencazione di ogni compito”. Se ciò non bastasse, l’annuncio dell’agenzia di ricerca e selezione del personale conteneva una chiara e precisa specificazione delle attività.
Di tutt’altro avviso la Corte d’Appello di Milano (sentenza n. 258 del 6 marzo 2023), sul caso riguardante un impiegato “capoarea” , quindi equiparabile come profilo al caso precedente e inoltre ben applicabile anche ad analoghe mansioni nel settore delle pulizie/ multiservizi/ servizi integrati. Anche in questo caso le motivazioni del ricorrente si potevano riassumere nella mancata specifica delle mansioni da svolgere. Il caso è molto interessante perché riassume gli altri due orientamenti qui analizzati: infatti in prima istanza il Tribunale di Milano rigettava il ricorso, ritenendo che l’indicazione delle mansioni potesse essere ricavata dalle declaratorie del contratto collettivo (cosa che accade anche nel Multiservizi, con definizioni dei livelli, elenco delle mansioni e relativi esempi). Senonché l’Appello ribaltava la sentenza di I grado, dando ragione al lavoratore:
stando ai giudici milanesi, infatti, il patto di prova deve comunque contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, non essendo qui sufficiente il rimando al Ccnl. Invalido dunque il patto di prova e nullo anche il recesso, con tutela reintegratoria piena ex dlgs 23/2015 (cd. “tutele crescenti”).
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