Maggiore sicurezza e stabilità per chi entra nel mondo del lavoro. Il decreto di recepimento della Direttiva UE 2019/1152 (cd. “decreto trasparenza”), giunto alla fase conclusiva del suo iter, prevede che il periodo di prova, ove previsto, non possa essere superiore a 6 mesi a meno che il Ccnl applicato non preveda un trattamento di miglior favore per il lavoratore. Ma ci sono altre interessanti novità che riguardano da vicino il nostro settore.
Prescrizioni minime– In particolare il Capo III del decreto di recepimento, rubricato “Prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro”, comprende gli articoli da 7 a 11 e riconosce una serie di nuovi diritti materiali per offrire una maggiore tutela alle condizioni di lavoro. Tali diritti si applicano a tutti i lavoratori, in particolare a quelli con posti di lavoro non standard.
Periodo di prova– Ancora più nel dettaglio, l’articolo 7, nel recepire l’articolo 8 della direttiva 1152/2019, detta alcuni principi in materia di periodo di prova. In primo luogo, la direttiva richiede che l’ingresso nel mercato del lavoro o il passaggio a nuova posizione lavorativa non esponga il lavoratore a una prolungata situazione di insicurezza e che i periodi di prova siano di durata ragionevole, come stabilito anche nel pilastro europeo dei diritti sociali. Pertanto, la direttiva prevede che gli Stati membri fissino una durata massima non superiore a 6 mesi (limite peraltro già stabilito dall’articolo 2096 del codice civile) e che lo stesso periodo di prova abbia una durata proporzionata in caso di rapporti di lavoro a tempo determinato. Infine, la direttiva consente l’estensione del periodo di prova nei casi in cui il lavoratore sia stato assente, per un periodo corrispondente alla durata dell’assenza.
Compatibilità di impieghi– L’articolo 8, nel recepire l’articolo 9 della direttiva, sancisce il principio secondo cui un datore di lavoro non possa vietare ad un lavoratore, anche autonomo, di svolgere un impiego parallelo al di fuori dell’orario di lavoro stabilito, né per tale motivo riservargli un trattamento meno favorevole, salvo che nel caso di pregiudizio per la salute e la sicurezza, mancato rispetto dei riposi, necessità di garantire l’integrità del servizio pubblico, conflitto d’interessi con la attività principale.
Prevedibilità minima– L’articolo 9 recepisce il corrispondente articolo 10 della direttiva e sancisce il principio della prevedibilità minima per i lavoratori il cui rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa si svolga secondo modalità organizzative in tutto o in gran parte imprevedibili: si tratta di rapporti di lavoro in cui non sia predeterminato l’orario di lavoro e la sua collocazione temporale e in cui il programma di lavoro è determinato principalmente dal datore di lavoro.
I “paletti”– L’articolo stabilisce che in tal caso non è possibile imporre al lavoratore lo svolgimento della prestazione lavorativa se non ricorrono entrambe le seguenti condizioni: la preventiva indicazione delle ore e giorni di riferimento durante i quali il lavoro può aver luogo; un ragionevole periodo di preavviso, entro il quale il lavoratore deve essere informato dal datore di lavoro in merito all’incarico. Qualora uno dei due requisiti non sia soddisfatto, il lavoratore ha il diritto di rifiutare di eseguire la prestazione senza subire conseguenze negative. Il quarto comma riconosce al dipendente il diritto di pianificare la propria attività prevedendo che lo stesso sia ristorato mediante un’adeguata compensazione del mancato guadagno derivante dalla tardiva revoca di un incarico di lavoro preventivamente concordato.
Lavoro “prevedibile”– L’articolo 10 riprende il corrispondente articolo 12 della direttiva, che persegue la finalità di promuovere la transizione a forme di lavoro più prevedibili e sicure qualora il datore di lavoro abbia la possibilità di offrirle. Tale articolo intende limitare la durata delle forme di lavoro meno sicure, riconoscendo al lavoratore il diritto di richiedere un impiego più stabile al proprio datore di lavoro dopo un periodo di 6 mesi di servizio, anche non continuativo.
Formazione gratuita e in orario di lavoro– L’articolo 11 prevede che, qualora i datori di lavoro siano tenuti a erogare ai lavoratori la formazione necessaria per lo svolgimento dei loro compiti, venga garantita gratuitamente, venga considerata come orario di lavoro e, ove possibile, venga svolta durante lo stesso.