L’assenteismo, lo sappiamo bene, è una delle “piaghe” che maggiormente affliggono le imprese di pulizia/ servizi integrati/ multiservizi, un settore altamente labour intensive. Per questo vanno seguiti con attenzione tutti gli interventi e i pronunciamenti che, a vari livelli, intervengono su questo tema: è il caso della sentenza n. 20 del 27 maggio 2022, con la quale il Tribunale di Udine si pronuncia sulle assenze dal lavoro prive di regolare motivazione.
Il principio è molto lineare, e si può così sintetizzare: qualora nel comportamento delle parti si possa ravvisare la reciproca volontà di non dare più seguito al rapporto di lavoro (cd. “fatti concludenti”), tale assenza ingiustificata è equiparata alle dimissioni e/o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e il lavoratore non può dunque fruire della Naspi. Un giro di vite, insomma, sui “furbetti delle assenze”. Vediamo perché.
Nel caso affrontato il datore di lavoro, a seguito della prolungata assenza ingiustificata dal posto di lavoro di una dipendente, le intimava il recesso per giusta causa. Ora, a prescindere dal rispetto della procedura obbligatoria per legge delle dimissioni online, secondo il giudice del lavoro friulano le assenze reiterate e immotivate costituiscono di per sé indice di volontà di non proseguire il rapporto.
L’aspetto interessante che ne deriva è quello legato al “ticket” Naspi, che in questo caso non è dovuto: infatti, al fine di ottenere il riconoscimento della Naspi, introdotta come è noto nell’ambito della riforma del lavoro del 2015 (dlgs 22/15) al fine di scoraggiare il fenomeno diffuso delle “dimissioni in bianco”, è indispensabile che la cessazione del rapporto di lavoro sia avvenuta per eventi indipendenti dalla volontà del lavoratore (e il licenziamento per giusta causa è di norma tra questi). Tuttavia, ed è questo il caso preso in considerazione dalla sentenza di Udine, accade spesso che il dipendente si assenti volontariamente proprio per incorrere nel recesso per giusta causa e assicurarsi la Naspi.
Questa la linea tenuta dal Giudice del lavoro udinese: “Pur in difetto di una corretta formalizzazione delle dimissioni –si legge nella sentenza- è agevole ravvisare nel comportamento concretamente tenuto dalle parti, l’una nei confronti dell’altra, la sintomatica manifestazione di una reciproca e convergente volontà di non dare più seguito al contratto di lavoro determinandone così la risoluzione per fatti concludenti. Nel caso de quo vi sono diversi elementi fattuali che dimostrano l’univoca sussistenza della volontà dimissiva in capo alla lavoratrice. ” Niente Naspi, dunque, in quanto il comportamento sarebbe stato artatamente messo in atto proprio per ottenere il provvedimento di recesso e i benefici ad esso correlati.