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Licenziamenti per manifesta insussistenza

Torniamo a parlare della dibattutissima riforma dell’ “articolo 18”, che ormai si avvia a compiere il primo decennio di età (risale infatti al Governo Monti, 2011) senza aver mai smesso di suscitare polemiche, contenziosi e vertenze che arrivano fino ai più alti gradi di giudizio.

Proprio di recente la Corte costituzionale, riunita in Camera di Consiglio lo scorso 24 febbraio, ha esaminato la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Ravenna sull’articolo 18, settimo comma, dello Statuto dei lavoratori, come modificato dalla cosiddetta legge Fornero (n. 92 del 2012), là dove prevede la facoltà e non il dovere del giudice di reintegrare il lavoratore arbitrariamente licenziato in mancanza di giustificato motivo oggettivo.

In particolare si parlava di un licenziamento per ragioni economiche per cui si era dimostrata l’insussistenza del fatto: la questione di legittimità costituzionale è stata dichiarata fondata con riferimento all’articolo 3 della Costituzione. La Corte ha infatti ritenuto che sia irragionevole, in caso di insussistenza del fatto, la disparità di trattamento tra il licenziamento economico e quello per giusta causa: in quest’ultima ipotesi è previsto l’obbligo della reintegra mentre nell’altra è lasciata alla discrezionalità del giudice la scelta tra la stessa reintegra e la corresponsione di un’indennità.

Torniamo agli antefatti: va detto che, a fronte della “rigidità” prevista dalla legge 300 nella sua formulazione originaria del 1970), la riforma Fornero ha introdotto, come si ricorderà, un  complesso sistema di tutele graduate, con ben quattro regimi: da una tutela forte, in caso di licenziamento dichiarato “nullo”, a una forma di tutela attenuata per i casi di insussistenza del fatto contestato nei licenziamenti disciplinari, fino a una tutela indennitaria (con risarcimento tra le 12 e 24 mensilità) laddove non ricorrano gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, fino ad arrivare a una tutela a discrezione del giudice (reintegrazione o risarcimento) nei casi di insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Proprio su questo punto il Tribunale di Ravenna, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di un licenziamento economico ha posto una questione di costituzionalità all’Alta Corte: secondo il giudice ravennate, a parità di accertata illegittimità del licenziamento -per insussistenza del fatto-, vige un regime di tutela oggettivamente difforme in caso di licenziamento per giusta causa -cui si applica necessariamente la tutela reale attenuata- e di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il cui caso è rimesso alla discrezionalità del giudice. Tutto questo mentre l’art. 3 della Costituzione impone la parità di trattamento in situazioni uguali.

E’ a questo punto che è intervenuta la Consulta, che con un altro giro di cacciavite ha letteralmente “smontato” un altro pezzo della disciplina sui recessi introdotta nello scorso decennio, fra riforma del lavoro “Fornero” (2012) e Jobs Act renziano (2015), azzerando la discrezionalità del giudice e sancendo l’obbligatorietà della tutela reintegratoria in tutti i casi in cui venga accertata la manifesta insussistenza del fatto oggettivo.

 

Link Comunicato Corte Costituzionale

 

 

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