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Pubblici Esercizi: un occhio al passato, lo sguardo al futuro

di Lino Enrico Stoppani

Il mondo dell’Horeca è portatore di valori sociali, culturali e storici e di uno stile di vita che fanno apprezzare il nostro Paese in tutto il mondo. Il Presidente di FIPE fa la conta dei danni da Covid 19 ed evidenzia la consapevolezza che sarà necessario un forte ripensamento dei modelli di business del settore.

Annus horribilis
L’anno appena terminato è stato un anno difficilissimo per quasi tutti, terribile per il fuoricasa italiano: ristoranti, bar, pub, pizzerie, pasticcerie, gelaterie, locali serali e notturni, discoteche, catering e banqueting. La crisi economica generata dalla pandemia da Covid-19 ha infatti inflitto crolli di fatturato di più di un terzo sul totale – oltre 37,7 miliardi su 86-, con un conseguente ridimensionamento dei livelli occupazionali – circa 300mila posti di lavoro a rischio su complessivi 1,2milioni – e con i livelli record dei tassi di mortalità delle imprese, con più di 50mila imprese su 300mila del settore che sono a rischio chiusura.

La crisi del “fuoricasa”
Al danno diretto si aggiunga poi che “il fuoricasa” è settore all’incrocio tra due filiere strategiche per l’economia del Paese, agro-alimentare e turismo, di cui la ristorazione è componente di primaria importanza. Per l’agro-alimentare, infatti, la ristorazione è strumento di promozione e valorizzazione delle eccellenze, oltre che sbocco commerciale delle produzioni con circa 20miliardi di acquisti all’anno. Per il turismo, invece, è formidabile fattore di identità ed attrattività, essendo la cucina tra i principali motivi della scelta dell’Italia come meta turistica da parte degli stranieri. Nelle scelte – alla ricerca di un complesso equilibrio tra salute pubblica e salvaguardia dell’economia – che il Governo ha assunto quest’anno non si è tuttavia tenuto conto di questa centralità strategica del settore. Così i Pubblici Esercizi sono stati chiusi e aperti a singhiozzo, quasi fossero interruttori, per circa 160 giorni in un anno, senza trovare contestualmente le giuste soluzioni a tutela e compensazione della filiera Ho.Re.Ca.

Tra confusione  e incertezza normativa
C’è stata molta incertezza e tantissima confusione: 22 Dpcm, 36 Decreti Legge, un numero imprecisato di ordinanze regionali, con una differenza sostanziale tra quanto annunciato e quanto attivato, talvolta in un imbarazzante cortocircuito politico scaricato nel concreto sulla pelle delle imprese. Ma non solo. Abbiamo vissuto e subìto anche la distinzione tra attività economiche essenziali e non essenziali, senza considerare che in un Paese normale tutte le attività economiche sono essenziali se producono ricchezza, occupazione e servizi e sono altresì sicure se garantiscono il rispetto delle regole e attuano i rigorosi Protocolli Sanitari loro assegnati. Come d’altra parte, il settore dei PE ha fatto fin da subito, mettendosi ogni volta nelle condizioni di riprendere a lavorare il più presto possibile.

Il settore ha adottato tutte le prescrizioni
Già a maggio avevano adottato ed osservato adempimenti prescritti dai Protocolli Sanitari messi a punto dal CTS (Comitato Tecnico Scientifico) e dall’INAIL: distanziamento dei tavoli, con l’uso delle barriere in plexiglas dove ciò non era fattibile, registrazione delle prenotazioni, mascherine, gel igienizzanti, menu digitali, plastificati o monouso, cartelli informativi in ogni angolo dei locali, uso di prodotti monodose e tutto quello che veniva imposto o di volta in volta suggerito. Sempre alla ricerca di un’operatività decorosa, molto è stato investito anche nella predisposizione di dehors esterni, consapevoli del fatto che all’aria aperta i clienti si sentissero più sicuri e tranquilli e recuperando così nuovi spazi al servizio, ma spesso anche al decoro urbano. Nei pochi mesi del 2020 in cui si è potuto operare, su oltre 6,5milioni di controlli effettuati presso le attività commerciali, Pubblici Esercizi ovviamente compresi, solo lo 0,18% dei controllati, e cioè circa 12mila imprese, hanno subìto una sanzione per infrazione alle norme, come testimoniano i dati del Ministero degli Interni.

Il sacrificio dei pubblici esercizi
E’ quindi apparso sconfortante constatare che, all’arrivo della “seconda ondata”, si è stati disposti ad accettare i rischi sanitari connessi a milioni di persone che hanno continuato a muoversi sui mezzi pubblici, nelle fabbriche, nei cantieri e in tante altre situazioni critiche, mentre è stato ritenuto pericoloso e improponibile frequentare bar e ristoranti, anche se applicavano tutte le misure loro assegnate per il contenimento dei contagi.Rimane il dubbio che il settore sia stato spesso usato come cartina di tornasole del segnale che si voleva lanciare in quel momento agli italiani: “bisogna essere cauti, allora chiudiamo bar e ristoranti così non viene la tentazione di uscire”. Al danno economico inferto alle imprese, si aggiunge però in questo senso anche un pericoloso assunto sul ruolo dei Pubblici Esercizi nel nostro Paese: i PE nella loro funzione aggregante sono portatori fondamentali di valori sociali, culturali e storici e veicoli di un’immagine e di uno stile di vita, che fanno apprezzare il nostro Paese in tutto il mondo. L’impoverimento della diffusa rete dei Pubblici Esercizi, che favorisce ospitalità, aggregazione, convivialità, generando a sua volta socialità, sicurezza, rapporti relazionali, decoro e servizio, ha inoltre effetti sui temi della coesione sociale, che proprio in questo momento storico sta vivendo fortissime pressioni dovuti al combinato tra crisi economica e insicurezza individuale.

Contesto drammatico
Senza poi considerare il rischio di nuovi spazi alle infiltrazioni malavitose nel tessuto sano delle imprese, come più volte denunciato dal Procuratore nazionale antimafia Dott. Federico Cafiero de Raho, che alimentano il circuito della criminalità, di cui il riciclaggio di denaro è solo il più evidente dei reati facilitati. Indebolire la filiera dei Pubblici Esercizi in Italia, insomma, lascia nel breve periodo vuoti economici, sociali e morali che non si colmano con qualche misura compensativa, ma che rischiano di essere colonizzati sul lungo da fenomeni degradanti e difficili da invertire. Questo è il contesto drammatico con il quale il settore è obbligato oggi a confrontarsi, nel quale incombono nubi talmente nere, tra limitazioni di orario, nuovi obblighi, coprifuoco, incertezza e insufficienza degli aiuti, da mettere in discussione i grandi valori di cui il settore è portatore, con migliaia di imprese senza futuro.

Come guardare avanti
Ciononostante, bisogna avere la forza di guardare avanti con la consapevolezza che il futuro imporrà un forte ripensamento dei modelli di business del settore, che andranno adattati ai cambiamenti di regole, ai nuovi stili di vita, agli innovativi modelli organizzativi del lavoro, con l’uso crescente dello smart-working che modificherà l’interpretazione del fuoricasa lavorativo. Adattarsi comporterà inevitabilmente cambiamenti profondi, a cui dovremmo guardare un po’ come Paul Guillame – un famoso collezionista di arte francese – immortalato in un celebre ritratto di Modigliani conservato a Milano al Museo del Novecento. Guillame è raffigurato con un occhio diverso dall’altro e il motivo lo spiega lo stesso Modigliani con queste parole: “Perché con uno tu guardi il mondo, con l’altro guardi in te stesso”. Da una parte, quindi, di fronte all’anno che ha stravolto le nostre vite e le nostre imprese, si tratta di comprendere e intercettare il mondo fuori di noi: dalla rielaborazione del fast food in fast gourmet alla crescita del food-delivery o dell’asporto, dallo sviluppo del digitale per l’organizzazione del lavoro – prenotazioni on-line, pagamenti, marketing, controllo di gestione – all’importanza di sfruttare le pertinenze esterne ai locali, fino ai nuovi comportamenti dei consumatori. Dall’altra parte, nel tempo che verrà dovremmo guardarci dentro: questi inevitabili cambiamenti andranno, cioè, abbinati ad un grande sforzo di natura culturale, dalla rigorosa osservanza dei protocolli di sicurezza al rafforzamento della qualità dei prodotti e delle professionalità, fino alla costruttiva collaborazione con le Autorità preposte a presidiare l’evoluzione del contagio. Per vedere davvero bene, dentro e fuori, è tuttavia sempre importante accendere la luce: la luce delle idee, della fiducia, della voglia di fare, che insieme sostengono l’ottimismo della volontà, che si confronta oggi con il comprensibile pessimismo della ragione, ma che va in ogni modo messo in cammino, per provare a ridare speranza e benessere agli imprenditori e allo stesso nostro Paese.

 

Lino Enrico Stoppani è laureato in Economia e Commercio all’Università Cattolica di Milano, è Vice Presidente Vicario di Confcommercio dal 2018.Presidente della Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi (FIPE) dal 2006, guida dal 1996 l’omologa Associazione provinciale (EPAM) in Confcommercio Milano, di cui è attualmente Membro di Giunta.

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