In fatto di sicurezza sul lavoro ciascuno, dal datore al singolo dipendente, ha i propri doveri e responsabilità. In questo senso suona importante la pronuncia della Cassazione Penale, Sez. 4, che con la recente sentenza n. 11958 del 10 aprile scorso ha ribadito che in materia di prevenzione antinfortunistica “si è passati da un modello iperprotettivo, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), ad un modello collaborativo in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento, il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (cfr. art. 20 d.lgs. 81/2008)”.
Nella sostanza è stato condannato un capocantiere per avere cagionato la morte del lavoratore dipendente della ditta appaltatrice, per colpa generica e specifica, consistita nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, avendo consentito alla vittima di utilizzare un locale mansarda sul cui piano di calpestio si trovava un’apertura priva di qualsivoglia protezione. Da essa l’infortunato precipitava, riportando lesioni che ne cagionavano la morte. Un caso occorso nel settore edile, ma che potrebbe benissimo capitare (ed è già successo) anche al personale di imprese di pulizia/ multiservizi/ servizi integrati.
Gli Ermellini hanno posto l’accento sul fatto che “individuato principio di autoresponsabilità del lavoratore, la giurisprudenza di legittimità ha progressivamente abbandonato il criterio esterno delle mansioni, sostituendolo con il parametro della prevedibilità, intesa come dominabilità umana del fattore causale e si è passati, a seguito dell’introduzione del d.lgs n. 626/94 e, poi, del d.lgs. n. 81/2008, dal principio dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore al concetto di “area di rischio” che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, fermo restando il principio che non può esservi alcun esonero di responsabilità all’interno dell’area di rischio, nella quale si colloca l’obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore”.
Prosegue il pronunciamento: “All’interno dell’area di rischio considerata deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia; oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.”