Una piccola grande rivoluzione interpretativa sul ruolo del Rspp è quella che emerge dalla sentenza della Cassazione, sez. IV Penale, depositata il 20 luglio scorso con il numero 34311/2o18. Il perché è presto detto: in questa pronuncia la Suprema Corte esaminava un infortunio mortale occorso a un lavoratore addetto a operazioni di pulizia manutenzione ordinaria, rimasto schiacciato fra gli alberi rotanti di un impianto di betonaggio mentre lavorava come faceva tutti i giorni all’interno della macchina. Un collega, non avvedendosi della presenza dell’operaio, metteva in modo l’ingranaggio con le drammatiche conseguenze che abbiamo detto. Ma la cosa grave è che la macchina, pur essendo aperta, ha comunque iniziato a funzionare.
Ora, i successivi controlli in loco hanno evidenziato una serie di circostanze che violavano l’art.71 e relativi allegati al D.Lgs.n.81/08, essendo possibile l’avvicinamento del corpo ad un organo in movimento, quando, invece, gli organi mobili devono essere protetti contro il contatto accidentale oppure in condizioni di sicurezza tali da garantire l’incolumità dell’operatore. Ma soprattutto si era appurato che responsabile del completo stand by di tutte le misure di sicurezza era la bobina di sgancio sita in un alloggiamento coperto, all’interno del quadro comandi, totalmente mancante, probabilmente da tempo. Ciò aveva comportato che, nonostante la vasca fosse presumibilmente aperta, le pale avevano iniziato a girare, in quanto nessun messaggio di circuito aperto, dovuto al coperchio alzato, poteva essere registrato da una bobina di sgancio mancante. Concludevano i giudici di merito che la non contestata assenza della bobina (e qui stava il compito del Rspp) aveva svolto un’efficienza causale nell’infortunio: se la bobina ci fosse stata ed avesse funzionato l’incidente non si sarebbe verificato, in quanto l’impianto non si sarebbe azionato a coperchio della vasca aperto. Sarebbe stata quindi sufficiente la previsione di un periodico controllo per verificare il sistema delle sicurezze, come pure vietare l’ingresso in vasca dell’addetto, almeno senza un previo disarmo dell’impianto, ma nulla di tutto ciò era stato previsto e prescritto.
A questo punto scatta l’elemento di novità della sentenza. Chi, infatti, avrebbe dovuto avvertire il datore non l’ha fatto. E in particolare ci si riferisce al Rspp, Responsabile Servizio di Protezione e Prevenzione, che stando agli Ermellini non ha dunque solo un ruolo di “garanzia”, ma anche attivo, con responsabilità concrete, e non da semplice “consulente” del datore di lavoro.
La Cassazione, dunque, ridefinendo i margini della sua responsabilità, ha concluso che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non operativo e gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente all’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione dei suoi doveri si è ancora precisato che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur in assenza di una previsione normativa di sanzioni penali a suo specifico carico, può essere ritenuto responsabile, in concorso con il datore di lavoro o anche a titolo esclusivo, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa, che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione.