(tratto da “GSA” n.8, Agosto 2010)
Durante l’Ecocleaning Day, Stephen Ashkin ha presentato i risultati di uno studio di settore che indaga le ragioni della scarsa penetrazione della produzione italiana nel mercato statunitense. Ne emerge che la battuta d’arresto affonda le proprie radici nella claudicante gestione del servizio clienti. Insomma: situazione grave ma non irreparabile (… con un buon supporto d’assistenza).
Il dato è impietoso: l’Italia ha perso il 75% delle proprie quote (scendendo al 5%) in termini di esportazione nel mercato americano in soli cinque anni. E nessuno in fondo ne conosce il vero motivo. Ed è proprio a fronte di questo sconcertante (e sconfortante) dato che trova ragione la scelta di Afidamp di inserire tra il dibattito (tavola rotonda) e la premiazione (Clean Grean Afidamp award) una riflessione su questo punto. «Se è vero che l’impegno di AfidampFab è quello di agevolare l’imprenditore a fare impresa, anche all’estero – spiega Toni D’Andrea, AD Afidamp Servizi – allora è bene anche fare scelte coraggiose, come quella che abbiamo fatto noi quest’anno come associazione sacrificando la nostra partecipazione alla fiera di Chicago per sovvenzionare una ricerca approfondita sulle ragioni di questo calo, in modo da poterne rendere conto ai nostri associati e dare loro un servizio utile per ripartire fiduciosi alla riconquista dell’America» Diagnosi e cura dunque, commissionate all’ICE di Chicago e realizzate dal guru del green cleaning: Stephen Ashkin dell’Ashkin Group.
Green Guru at work
Stephen Ashkin è una delle personalità più eminenti del comparto, con un’esperienza trentennale alle spalle: figlio di proprietari di un’azienda chimica è praticamente cresciuto a pane ( o panni?) e detergenza. Negli anni ’90 ha poi iniziato la sua avventura verde, abbracciando la filosofia green. «Nel nostro gruppo lavoriamo con persone di tutti i tipi – ci spiega – perché lo scopo della nostra azienda è quello di trasformare il mercato, orientandolo al valore degli acquisti verdi e guidando questo cambiamento. Per noi non si tratta solo di economia e di profitto: siamo realmente interessati a cosa accade nel ma soprattutto al nostro pianeta. Quando mi è stata commissionata questa ricerca sono stato ben contento si svolgerla per AfidampFab, perché è un segno di grande maturità e serietà approcciarsi in questo modo al mercato: fare un passo indietro, capire dove si è smarrita la retta via ed imboccare nuovamente la strada del successo: e l’Italia può farcela». Insomma, Yes we can: incoraggiante.
Per guarire da ogni male è comunque essenziale individuarne la causa. Ed è così che è stata strutturata la ricerca di Ashkin: il progetto parte infatti da una prima analisi del settore delle macchine per la pulizia professionale negli USA, per poi passare all’identificazione di opportunità commerciali e di crescita negli Stati Uniti per i produttori di macchinari italiani. La prima parte della ricerca, dunque, riguarda la diagnosi: indagare e delineare le condizioni generali del mercato statunitense, evidenziando in particolare la percezione che gli americani hanno della qualità costruttiva della filiera produttiva italiana. Riscontrati i sintomi, si passerà a prescrivere la cura.
Tendenze d’acquisto a stelle e strisce
Sulla base dunque di dati finanziari di mercato, reperiti da fonti istituzionali quali il Dipartimento Federale USA del Commercio ed il Freedonia Group, e sondaggi di mercato inviati a 4.500 aziende (di cui poi sono stati ottenuti 559 risconti) e 45 interviste telefoniche approfondite si è raggiunto un ampio margine di mercato che garantisce una solida base di riflessione. Per poter vendere i propri prodotti all’estero è necessario far collimare i fattori determinanti della domanda con quelli dell’offerta ed è opportuno dunque individuare quali siano gli elementi che al mercato americano paiono irrinunciabili per convincersi all’acquisto. In effetti il dato è sorprendente: gli USA considerano l’innovazione tanto importante quanto la performance del prodotto. Sono queste dunque le coordinate entro cui orientarsi per vendere bene nel mercato americano. «L’innovazione è fondamentale e viaggia parallelamente anche alle prestazioni ecosostenibili – spiega Ashkin. Qualunque acquirente americano si aspetta che la macchina garantisca un alto contenuto tecnologico ed un basso impatto ambientale: efficienza energetica ed ecologica debbono andare di pari passo per il mercato a stelle e strisce». Un dato eloquente che dimostra come gli americani, in fondo, considerino l’acquisto verde un investimento che garantirà effettivi risparmi sul medio e lungo periodo. «Onestamente – afferma lo stesso Ashkin – mi aspettavo che il fattore green sarebbe stato determinante nel 2015 mentre dai riscontri è emerso che è già determinante oggi nelle tendenze d’acquisto: l’aspetto ambientale negli USA viene considerato più della produttività.
La struttura del mercato
Ma gli Stati Uniti sono un mercato troppo vasto per ragionare in maniera approssimata: è fondamentale prenderne bene le misure per poter gestire con successo una filiale all’estero. Partendo da una semplice riflessione sulle quote di mercato si capisce subito come il comparto in Italia non possa che impallidire di fronte alle stime americane, dove il settore allargato fattura all’incirca 180 mld di dollari (120 mld di euro) annui, con i suoi 1000 produttori, 5000 dealer e 50.000 società di servizio. Un confronto impari, insomma, Davide contro Golia. Eppure c’è un margine di profittabilità immenso di cui l’Italia può e deve approfittare. Pur essendo vasto, il mercato americano è parzialmente stagnante e non mostra segni di crescita ma offre grandi opportunità di penetrazione. È qui che l’Italia deve inserirsi con una strategia precisa, calibrata e ponderata sulla base dell’utilizzatore finale a cui si rivolge. Ad esempio se ci si rivolge al mondo della distribuzione, bisogna sapere che ci sono tre grandi fasce: nella prima fascia ci sono i grandi gruppi nazionali e i grossi gruppi d’acquisto; alla seconda appartengono i dealer che operano a livello regionale e nella terza quelli che operano a livello locale. Ma cosa vogliono questi dealer americani? Tre parole: affidabilità, assistenza, innovazione. Poi, naturalmente, il prezzo. Scopriamo dunque che pur riconoscendo il valore della riconoscibilità del marchio, nessun dealer si aspetta di trattare lo stesso marchio per un’intera gamma di prodotti/macchine/ attrezzature perché nessun produttore sarà mai in grado di fornire il top su tutta la gamma. Questo garantisce implicitamente la possibilità anche al piccolo produttore italiano di proporre al dealer americano anche solo un prodotto, purché vincente. Il riconoscimento del marchio e’ importante, ma nessuno produttore e’ in grado di fornire le migliori soluzioni sulla gamma completa di prodotti.
Un’altra esigenza chiave è quella della pratica dimostrativa: la disponibilità all’acquisto sarà tanto più alta quanto più sarà convincente. E una dimostrazione in loco può essere, in questi casi, di grande aiuto. Soprattutto quando il prodotto proposto è green, bisogna dimostrare, con dati alla mano, la natura del risparmio a lungo termine ed il tornaconto produttivo : tanto più se il prodotto viene venduto direttamente all’utenza finale senza l’intermediazione del dealer.
Stereotipi da combattere
In generale gli americani non hanno una percezione molto nitida del proprio mercato di importazione. La maggior parte degli intervistati era infatti convinta che l’Europa fosse il più grande fornitore di macchine e attrezzi per la pulizia professionale negli USA. Ma le stime parlano chiaro: l’esportazione è per lo più targata made in China. Stingendo il campo, poi, l’analisi è passata sulla percezione che gli americani hanno della qualità costruttiva italiana e ne è emerso un quadro interessante, non scevro di stereotipi penalizzanti per i produttori del Belpaese. Premesso che gli americani hanno un’opinione abbastanza neutrale rispetto ai paesi da cui importano macchine, prodotti ed attrezzature (eccezion fatta per la qualità costruttiva tedesca che gode di ottima stima presso gli acquirenti americani), è da rilevare che, presso i gruppi d’acquisto, è largamente diffuso il luogo comune secondo cui, anche a fronte di ottime performance, le macchine italiane sarebbero affette da problematiche di fragilità.
Resistenza titanica
Una percezione erronea e non supportata da alcun dato specifico, ma che comunque gioca un ruolo determinante nelle tendenze d’acquisto. In pratica gli americani sono convinti che Il personale addetto alle pulizie negli USA usi meno cautela con le attrezzature rispetto al personale europeo e che quindi il fascinoso (ma delicato) design italiano possa inficiare sulla resistenza e la durabilità delle macchine. Sembra assurdo ma gli americani vogliono essere sicuri di comprare macchine che possono resistere negli anni a qualunque tipo di maltrattamento. Ed è questo quello che si aspettano di sentire dalla bocca dei commerciali che propongono l’acquisto.
Assistenza: bocciata con disonore!
Un altro problema riguarda il servizio di assistenza. In passato l’Italia ha infatti venduto prodotti in America senza pensare poi a fornire un adeguato servizio di assistenza. Una gestione maldestra e grossolana che ha portato gli Usa a diffidare non tanto della qualità costruttiva ma del sistema di gestione dell’assistenza: e come in quel detto popolare che suggerisce di preferire sempre l’inferno italiano a quello tedesco perché almeno si è sicuri che un giorno sì (e l’altro pure) manchi almeno parte dell’attrezzatura punitiva, così anche gli americani hanno “preferito” i tedeschi a fronte di quella scarsa organizzazione che ci rende protagonisti delle barzellette e che, nella fattispecie, si traduceva in mancanza di parti di ricambio in scorta, ritardo nelle consegne ed i tempi biblici d’attesa per gli interventi di manutenzione. Inoltre, il customer service si è spesso rivelato inadeguato, anche a fronte di scarsa competenza linguistica che creava ostacoli nelle comunicazioni italo-americane.
La cura in quattro mosse
Cosa fare dunque?Le parole d’ordine sono quattro: presenza, competenza, focus ed assistenza. Innanzitutto bisogna combattere la percezione del mancato impegno e sostegno alle imprese americane, creando un punto visibile di presenza. Per i grandi produttori non sarà difficile inserirsi con una rete di uffici capillarmente ramificata nel territorio, ma nel caso dei piccoli imprenditori una presenza congiunta può rappresentare un buon compromesso per offrire un buon servizio di assistenza, promuovendo al contempo l’Italia. La presenza fisica vera e propria è la base per ripartire alla riconquista del mercato. La competenza comunicativa è il secondo ingrediente vincente: bisogna raccontare agli americani quello che vogliono sentirsi dire, sviluppando una strategia voltata a sostenerli e promuovere la crescita della loro impresa. Un’altra grande risorsa può essere la formazione: venire in loco per formare il personale americano che spesso è impreparato rappresenterebbe quel plusvalore che il mercato americano cerca e nessuno è in grado di offrire. Ed infine: assistenza. Impegnarsi a fornire negli USA un servizio eccellente di assistenza in termini di pezzi di ricambio, sostegno e consulenza tecnica.