La Cassazione ha deciso: la clausola elastica, se illegittima (cioè non rispondente a quanto previsto dal Dlgs 81/2015 e/o dalla contrattazione collettiva), comporta un risarcimento a favore del lavoratore part-time. La Suprema Corte, con l’ordinanza 6900 del 20 marzo 2018, ha stabilito che il contratto a tempo parziale deve sempre indicare la “distribuzione dell’orario” con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.
La questione interessa molto da vicino diverse imprese del settore pulizia/ multiservizi/ servizi integrati che fanno uso della “clausola elastica” come strumento di flessibilità. Tale tipo di clausola, ricordiamolo, consiste nella previsione di un orario ridotto, che tuttavia dev’essere a sua volta previsto e chiarito all’interno della clausola stessa, come prevedono la legge (Dlgs 81/15) e la contrattazione collettiva che ha recepito la norma. Il Ccnl “Multiservizi” applicato nel settore pulizia/ servizi integrati/ multiservizi, all’art. 33, prevede espressamente quanto segue: “Le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono concordare clausole flessibili relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione; nei rapporti a tempo parziale verticale o misto possono essere stabilite anche clausole elastiche relative alla variazione in aumento della durata della prestazione. Il consenso del lavoratore alle clausole flessibili o elastiche deve risultare da atto scritto anche successivo all’instaurazione del rapporto di lavoro. L’esercizio, da parte del datore di lavoro, del potere di variare la collocazione della prestazione lavorativa ovvero aumentarne la durata comporta un preavviso, a favore del lavoratore, non inferiore a 48 ore. Per le sole ore prestate al di fuori degli orari concordati nell’atto di instaurazione del rapporto a tempo parziale, in regime di clausola flessibile, compete al lavoratore la maggiorazione del 10% della retribuzione oraria globale di fatto. Per lo svolgimento delle ore lavorative aggiuntive richieste in regime di clausole elastiche, al di fuori degli orari concordati, compete al lavoratore quanto previsto al comma 14 del presente articolo incrementata di un ulteriore 1,5%. In caso di gravi motivi personali, ovvero comprovate ragioni tecnico, organizzative e produttive aziendali si potrà pervenire ad una sospensione temporanea della clausola flessibile o della clausola elastica”.
Orbene, se tutto ciò non accade siamo di fronte a clausole illegittime, con estremi che fanno pensare più a un lavoro “a chiamata” concordato di volta in volta che a una corretta flessibilità. Ora, secondo la Cassazione ciò finisce per ostacolare una serena conciliazione fra vita e lavoro e dà diritto a un risarcimento: infatti “la difficoltà di programmazione di altre attività, l’esistenza e la durata di un termine di preavviso, la percentuale delle prestazioni a comando rispetto all’intera prestazione, l’eventuale quantità di lavoro predeterminata in misura fissa, la convenienza dello stesso lavoratore a concordare di volta in volta le modalità della prestazione”, sono “tutti elementi che consentono la valutazione equitativa in quanto comprimono un discrimine, che non può che restare rigoroso, fra tempi di vita e tempi di lavoro, fra condizione di autonomia e situazione di soggezione ad un altrui potere di intervento e di organizzazione”.
D’altra parte, concludono i giudici, il danno di questo tipo di lavoro è da riconoscersi in re ipsa, senza che debba essere dimostrato con prove ad hoc: “il principio di diritto sopra richiamato prospetta, nell’ipotesi del part-time a comando o a chiamata, l’emergere, a prescindere da qualsiasi onere probatorio, di un danno in re ipsa, dato dalla maggiore penosità ed onerosità che di fatto viene ad assumere la prestazione lavorativa per la messa a disposizione delle energie lavorative per un tempo maggiore di quello effettivamente lavorato e in sé idoneo a legittimare il riconoscimento dell’integrazione economica che va solo quantificata sulla base di un giudizio equitativo”.
Due le ipotesi sondate dai giudici: “Qualora l’omissione riguardi la durata della prestazione lavorativa, può essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data del relativo accertamento giudiziale; qualora invece l’omissione riguardi la sola collocazione temporale dell’orario, il giudice provvede a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale con riferimento alle previsioni dei contratti collettivi, o, in mancanza, con valutazione equitativa, tenendo conto in particolare delle responsabilità familiari del lavoratore interessato, della sua necessità di integrazione del reddito derivante dal rapporto a tempo parziale mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro; in ogni caso, per il periodo anteriore alla data della pronuncia della sentenza, il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno, da liquidarsi con valutazione equitativa”.
Attenzione, dunque, a utilizzare un tipo di contratto part-time che non precisi con esattezza i tempi di lavoro: potrebbe costare caro.