Con il disco verde del Governo al regolamento attuativo decolla la riforma dei servizi pubblici locali: una liberalizzazione del mercato di rifiuti, trasporti pubblici e servizi idrici in due fasi, che avrà importanti ripercussioni per tutta la penisola.
Il 31 dicembre 2010 infatti sarà dato lo stop alle gestioni affidate senza gara con metodo diretto, per cui si apriranno appositi bandi. Entro il 2011 invece decadranno le amministrazioni in house e quelle delle spa miste, se all’interno del capitale sociale non entrerà almeno un soggetto privato con una quota minima del 40%.
Di un ideale “completamento del decreto Ronchi“ ha parlato il ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto, con “l’attuazione della liberalizzazione dei servizi pubblici locali come l’acqua, i rifiuti, il trasporto pubblico locale». Ultima questione da dirimere rimane solo quella della scelta dl regolatore dei servizi idrici. Nella bozza del disegno di legge annuale sulla concorrenza, in stand by al ministero dello Sviluppo economico, si affida infatti il settore dell’acqua all’Authority per l’energia, ma non sono escluse modifiche entro la fine dell’anno. Unica certezza è l’intoccabilità dell’articolo 1, nel quale è garantita «la piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche», con la gestione che passerebbe però anche ai privati. Decisione che ha scatenato un mare di polemiche, culminate nel milione e mezzo di firme raccolte nei banchetti sparsi in tutta Italia in cui si chiede la garanzia del mantenimento totale in mani pubbliche di tutto il circolo idrico.
In House? Per qualcuno ancora si può
Doveva essere la fine dell’housing, ma rispetto alla prima versione esaminata alla fine del 2009 è stato reso possibile mantenere in alcune condizioni l’affidamento a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipate dall’ente locale. L’ente affidante dovrà però motivare la scelta con un’analisi del mercato, da sottoporre all’Antitrust per un parere preventivo, in assenza del quale vale la regola del silenzio assenso, tranne in caso di valore dei servizi affidati inferiore a 200mila euro (senza alcun limite di popolazione, contrariamente al primo testo dove era previsto un limite di 50mila abitanti).
Nei casi invece in cui è d’obbligo il via libera dell’Antitrust, ed esclusivamente per l’acqua, l’ente può rappresentare specifiche condizioni che rendano la gestione in house non distorsiva della concorrenza: chiusura dei bilanci in utile, reinvestimento nel servizio almeno dell’80% degli utili, applicazione di una tariffa media inferiore alla media del settore, performance virtuose sui costi operativi. I servizi potranno essere concessi in esclusiva solo se l’ente adotta una delibera quadro dalla quale emerga lo svantaggio derivante da un sistema concorrenziale ed il beneficio invece di un regime esclusivo.
I confini tra regolazione e gestione del servizio sono regolati dall’articolo 8, con i criteri di incompatibilità per chi ha ricoperto funzioni di amministratore nell’ente affidante. Ma, recependo una richiesta giunta dalla Conferenza unificata, nel testo definitivo è stato però specificato che i divieti si applicheranno solo alle nomine e agli incarichi da conferire successivamente all’entrata in vigore del regolamento, e quindi non alle situazioni pregresse. Le società che diventeranno affidatarie “in house” di servizi pubblici locali saranno infine assoggettate al patto di stabilità interno, mentre assieme a quelle a partecipazione mista pubblico-privato applicheranno, per l’acquisto di beni e servizi, le disposizioni del codice dei contratti pubblici.