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Abuso di strumenti di comunicazione del committente

Quante volte capita che alcuni dipendenti denuncino al datore o a un superiore il comportamento scorretto di un collega? Un esempio, frequentissimo nel caso di imprese di pulizia/ servizi integrati/ multiservizi, potrebbe essere quello di un operatore che utilizza un pc o altri strumenti di proprietà del committente, e che invece di lavorare si dilunga in telefonate, ricerche su internet, messaggi o chat sui social network per fini estranei al lavoro, sotto lo sguardo irritato dei compagni di lavoro che, quando la cosa si fa troppo evidente, possono anche decidere di riferirlo “ai piani alti”.

Ebbene la delazione da parte dei colleghi può essere utilizzata dal datore per irrogare sanzioni disciplinari al lavoratore scorretto. Lo ha stabilito recentemente il Tribunale di Firenze, in particolare il giudice Davia, che ha firmato la sentenza n. 111 del 9 febbraio 2017. Nel fatto in oggetto una dipendente era stata vista ripetutamente, attraverso pareti di vetro, mentre accedeva ripetutamente con il pc aziendale a un proprio blog: davanti al datore, che informato dai colleghi le aveva intimato il licenziamento per giusta causa (poi considerato illegittimo, ma solo in forza del Ccnl della categoria), si era giustificata prima negando il fatto, poi richiamando, davanti al giudice, il divieto di controlli a distanza se non nei casi previsti dalla legge 300/70. Ma ciò non è bastato, perché per il Tribunale non si può parlare di controllo a distanza in caso di delazione da parte di colleghi.

Il caso infatti rientra nella più ampia tematica del “controllo a distanza”, il cui uso, come abbiamo più volte notato, dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (l. 300/1970). Il quale, recentemente modificato dal Jobs act (151/15 all’art. 23), parla al comma 1 di “ impianti audiovisivi e gli altri strumenti  dai  quali  derivi anche la possibilità di  controllo  a  distanza  dell’attività  dei lavoratori “, ma non fa riferimento alla testimonianza di colleghi, né tantomeno alla presenza di pareti trasparenti tali da rendere possibile una sorta di “controllo”.

Secondo il giudice fiorentino, fra l’altro, i colleghi non erano espressamente preposti a controllo per conto del datore, ma semplicemente “notavano” la condotta della dipendente e, sua sponte, ne facevano segnale al datore stesso. Un comportamento che non configura in alcun modo la fattispecie del “controllo a distanza”, e quindi non può considerarsi illegittimo.

A proposito di “controlli a distanza”, va segnalato il recente intervento dell’Inl.  L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con lettera prot. n. 4619 del 24 maggio c.a., ribadisce che per l’installazione di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo l’accordo con le rappresentanze sindacali rappresenta il percorso preferenziale mentre l’autorizzazione dell’Ispettorato è solo eventuale e successiva al mancato accordo con i sindacati. Pertanto, anche laddove sia stato rilasciato il provvedimento autorizzatorio per i sistemi di controllo a distanza da parte dell’Ispettorato competente, in seguito a mancato accordo sindacale, l’autorizzazione in parola possa comunque essere sempre sostituita da un successivo accordo.

Link Jobs Act 151/15

Parere-ITL-Lecce-Videosorveglianza

 

 

 

 

 

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