HomeNewsletterSentenza shock: libertà d’impresa batte clausola sociale

Sentenza shock: libertà d’impresa batte clausola sociale

Il Tar Toscana, con una sentenza che farà discutere, interviene sull’importante tema della clausola sociale disciplinata dal nuovo Codice degli appalti (e, per il nostro settore, dall’articolo 4 del Ccnl di categoria), con una pronuncia “forte”, la prima in questo senso: nella sentenza n. 231 del 13 febbraio scorso, infatti,  i giudici fiorentini, valorizzando il principio di libertà imprenditoriale, pronunciandosi su un’importante gara regionale sulla gestione del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti sanitari, hanno affermato che la clausola sociale non può imporre l’incondizionata assunzione del personale in forza all’appalto, senza tenere conto della capacità dell’imprenditore di organizzare il servizio in modo diverso.

In sede di gara pubblica, la “clausola sociale”, prevista dall’art. 50, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, deve conformarsi ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando, altrimenti, da un lato lesiva della concorrenza perché scoraggia la partecipazione alla gara e limita ultroneamente la platea dei partecipanti, e, dall’altro, atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 Cost.; conseguentemente, l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante.

Alla luce di tale premessa il Tar Toscana ha concluso – richiamando in termini i principi espressi dal Cons. St., sez. III, 30 marzo 2016, n. 1255 – la clausola non comporta alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria.

Applicando i sopra esposti principi il Tar Toscana ha dichiarato dunque illegittima la clausola sociale inserita nella lex specialis di gara perché tale da imporre in termini rigidi la conservazione del personale di cui al precedente appalto, dovendo invece essa essere formulata in termini di previsione della priorità del personale uscente nella riassunzione presso il nuovo gestore, in conformità alle esigenze occupazionali risultanti per la gestione del servizio, in modo da armonizzare l’obbligo di assunzione con l’organizzazione d’impresa prescelta dal gestore subentrante.

Ha aggiunto che tale conclusione non cambia anche tenendo conto della direttiva 24/2014/UE. Il secondo Considerando della direttiva citata si limita a prevedere un utilizzo delle procedure di gara “per sostenere il conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale”, l’art. 18, comma 2, della medesima direttiva prevede l’obbligo degli Stati membri di garantire nell’esecuzione degli appalti il rispetto degli obblighi sociale e del lavoro e l’art. 70 stabilisce che nell’esecuzione dell’appalto possono trovare spazio considerazioni sociali o relative all’occupazione; si tratta di previsioni di sicura importanza e tali da trovare esplicazione anche nella “clausola sociale” qui esaminata, tuttavia senza che le stessi arrivino a giustificare o imporre una clausola sociale di tenore forte, che impone l’obbligo rigido di riassunzione. Del resto, sempre ad avviso del Tar, l’art. 50, d.lgs. n. 50 del 2016, che disciplina specificamente la “clausola sociale” in applicazione della disciplina europea e che ha un contenuto più specifico dell’art. 69,  d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, contiene sì la specifica previsione del “possibile” inserimento nei bandi di gara della suddetta clausola, affermando che essa mira a “promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato”, ma “nel rispetto dei principi dell’Unione Europea”. Si tratta di disciplina normativa che non innova, ed anzi sussume nel testo di legge i risultati cui era giunta la giurisprudenza, giacché la “stabilità occupazionale”, che è sicuramente un obiettivo normativo importante e un valore ordinamentale, deve essere “promossa” e non rigidamente imposta e comunque deve essere armonizzata con i principi europei della libera concorrenza e della libertà d’impresa, così da escludere un rigido obbligo di garanzia necessaria della stabilità, pur in presenza di variato ambito oggettivo del servizio a gara.

Link Sentenza 13 febbraio

Link Sentenza Consiglio di Stato

 

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