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Demansionamento: quando è valido il recesso

La Cassazione, con sentenza n. 1912/2017 depositata il 25 gennaio scorso, ha ribadito il principio giurisprudenziale secondo cui non è in assoluto convalidabile il licenziamento per il lavoratore demansionato che, esercitando il proprio diritto all’autotutela, rifiuta di svolgere le mansioni peggiorative a cui era stato assegnato.

Attenzione però: il licenziamento è valido qualora il lavoratore continui comunque a presentarsi sul luogo di lavoro (nel nostro caso la sede aziendale e/o il cantiere cui è stato assegnato), di fatto rinunciando all’eccezione di inadempimento. Nel caso specifico, inoltre, sussisteva l’ “aggravante” di un comportamento sprezzante,  minaccioso e verbalmente violento nei confronti dei superiori aziendali.

Infatti, stando alla sentenza, che riprende i precedenti livelli di giudizio, il lavoratore non può invocare “ai fini della valutazione della gravità della condotta sotto il profilo psicologico l’attenuante del demansionamento”, precisando che, una volta presentatosi in azienda, aveva rinunciato all’eccezione di inadempimento, rimanendo pertanto obbligato ad eseguire la prestazione assegnata secondo correttezza e buona fede.”

Insomma, pur di fronte all’indubbio “demansionamento” (accertato peraltro anche dai precedenti livelli di giudizio), il dipendente aveva continuato a frequentare i locali dell’azienda, e questa circostanza, stando ai giudici di Cassazione, ha di fatto vanificato l’esercizio dell’autotutela -cui il lavoratore era peraltro legittimato, essendo stato effettivamente oggetto di demansionamento-, in quanto per esercitare tale diritto il lavoratore dovrebbe accompagnare il proprio rifiuto di svolgere le nuove e peggiorative mansioni con l’astensione dal presentarsi al lavoro.

Sentenza Cassazione 1912-2017

 

 

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