Una dipendente dislocata in un cantiere più lontano o scomodo, oppure destinata a una mansione lavorativa più disagevole non si presenta al lavoro, e si spinge ingiustificatamente oltre il limite di assenze previsto dal Ccnl? Attenzione, se è una lavoratrice madre non si può comunque licenziare, a meno che non si configuri una “colpa grave”, non riconducibile “alla disciplina pattizia”, ossia alle previsioni della contrattazione collettiva. A ribadire questo principio è stata la Cassazione, con la sentenza n. 2004/2017 depositata il 26 gennaio scorso.
La fattispecie, che riguarda una dipendente di Poste SpA, è facilmente applicabile anche al nostro settore. Nel caso in questione la lavoratrice, trasferita in un luogo di lavoro per lei scomodo, si era di fatto assentata senza giustificazioni, non presentandosi nemmeno al momento della presa di servizio. A quel punto la società le intimava il licenziamento “per giusta causa”, adducendo a motivo “che la condotta posta in essere dalla lavoratrice era riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 54, par. VI, lettera I) del CCNL 14 aprile 2011, che sanziona con il licenziamento per giusta causa “l’assenza arbitraria dal servizio superiore a sessanta giorni lavorativi consecutivi”, e che tale condotta di persistente e ingiustificato rifiuto della prestazione, avuto anche riguardo alla circostanza che la V. (iniziale del cognome della dipendente), all’epoca in stato di gravidanza, non si era neppure presentata al momento delle formalità di ripristino del rapporto per rappresentare le proprie particolari esigenze personali e familiari, integrava la fattispecie della colpa grave stabilita dall’art. 54, co.3, lettera a) del D.lg. n. 151/2001 quale causa di esclusione del divieto di licenziamento”.
Così anche per il tribunale e per la Corte d’Appello, che hanno confermato il provvedimento. Tuttavia proprio la circostanza della gravidanza ha avuto un peso decisivo nel ribaltamento del giudizio da parte della Cassazione.
Infatti, con la sentenza del 26 gennaio, la Suprema Corte ha accolto il ricorso della lavoratrice, richiamando il principio sancito dal Dlgs 151/2001, che tutela la maternità (in particolare gli stati di gravidanza e puerperio): in particolare, sottolinea la Corte “il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è reso inoperante, ai sensi dell’art. 3 lettera a) del d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151, quando ricorra la colpa grave della lavoratrice, che non può ritenersi integrata dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo, ovvero di una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva, essendo invece necessario – in conformità a quanto stabilito nella sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 1991 – verificare se sussista quella colpa specificamente prevista dalla suddetta norma e diversa, per l’indicato connotato di gravità, da quella prevista dalla disciplina pattizia per i generici casi d’inadempimento del lavoratore sanzionati con la risoluzione del rapporto.”
In pratica quanto previsto dalla Contrattazione collettiva (nel caso del Ccnl “Multiservizi” del nostro settore -art.48, lett. e)-, ad esempio, bastano più di 4 giorni di assenza ingiustificata per giustificare il licenziamento con preavviso) non basta a integrare l’ipotesi di “colpa grave”, la quale andrebbe invece indagata e valutata dal giudice di merito. Se poi la lavoratrice si trova “in una fase di oggettivo rilievo nella sua esistenza, con possibili ripercussioni su piani diversi ed eventualmente concorrenti (personale e psicologico, familiare, organizzativo)”, si applica quanto previsto dall’art. 54 del Dlgs 151/01 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53, pubblicato nella G.U. 26 aprile 2001, n. 96, S.O.).
Eccolo:
1) Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonche’ fino al compimento di un anno di eta’ del bambino.
2) Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, e’ tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l’esistenza all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.
3) Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:
a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) di cessazione dell’attivita’ dell’azienda cui essa e’ addetta;
c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice e’ stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;
d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all’articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni.
D’altra parte il principio sussisteva anche prima dell’entrata in vigore del 151/01: valga ad esempio la sentenza della Cassazione sezione Lavoro n. 12503 del 21 settembre 2000, riferita ad una dipendente di un istituto di vigilanza, che ha richiamato la legge 1204 del 1971.