HomeNewsletterLegittimo il licenziamento per “competitività”

Legittimo il licenziamento per “competitività”

Il profitto diventa giustificato motivo di licenziamento, anche senza che vi sia necessità di crisi o difficoltà aziendali. A dirlo è una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 25201 del 7 dicembre 2016), che sta già facendo discutere, e non poco. La vicenda riguarda un dipendente oggetto di un licenziamento “motivato dall’ esigenza tecnica di rendere più snella la gestione aziendale” e non, come avviene solitamente in casi come questo, per fare fronte a un momento di crisi aziendale o di congiuntura economica sfavorevole. Già, solitamente. E infatti proprio su questo si basava il punto principale del ricorso del lavoratore, in cui si contestava che ai fini della giustificazione del motivo oggettivo di licenziamento debba sussistere “il requisito economico dato dall’esistenza di sfavorevoli situazioni o necessità di sostenere notevoli spese straordinarie”.

Di tutt’ altro avviso la Cassazione, che ha rimesso in discussione la sentenza di Appello (Corte Appello di Firenze, 29 maggio 2015). Per la corte, infatti, ciò non è automaticamente necessario. Riassumendo in soldoni il lungo e articolato impianto motivatorio che prende avvio dall’ interpretazione letterale della legge 15 luglio 1966 n. 604 e chiama in causa addirittura il dettato costituzionale, non sta scritto da nessuna parte che per il giustificato licenziamento l’azienda debba versare in un momento di particolare difficoltà.

Ciò lederebbe infatti, stando all’interpretazione degli Ermellini, il diritto dell’imprenditore, tutelato dall’articolo 41 della Costituzione, a gestire in autonomia la propria impresa prendendo tutti i provvedimenti necessari per garantirne il legittimo profitto, che è poi uno degli scopi del “fare impresa”: ai giudici “non pare dubbio che spetta all’imprenditore stabilire la dimensione occupazionale dell’azienda, evidentemente al fine di perseguire il profitto che è lo scopo lecito per il quale intraprende.” E ancora: “Il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.”

Secondo la Cassazione, dunque, il licenziamento può essere giustificato anche da motivi di “riassetto organizzativo” che possono essere i più vari, senza che si debbano per forza ridurre alla necessità di far fronte a momenti economicamente sfavorevoli. Ricordano ancora i giudici: “Ai sensi dell’art. 3 della I. n. 604 del 1966, nella parte che qui rileva, “il licenziamento per giustificato motivo … è determinato … da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. In pratica: “Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della  legge 604/ 1966, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa”.

Tutto ciò vale non solo all’ atto della costituzione dell’impresa: “Anche durante la vita dell’azienda la selezione del livello occupazionale dell’impresa rimane libera e non può essere sindacata al di fuori dei confini stabiliti dal legislatore, non essendo affidato al giudice il compito di contemperare ex post interessi confliggenti stabilendo quello ritenuto prevalente. In altre parole se è vero che, in via meramente ipotetica, la norma potrebbe stabilire – nella cornice costituzionale innanzi detta – che il licenziamento per motivo oggettivo possa ritenersi giustificato solo in presenza di una accertata crisi d’impresa, è anche vero che ove ciò non faccia espressamente, come nel caso dell’art. 3 della l. n. 604 del 1966, tale condizione non è ricavabile aliunde in via interpretativa.”

Ma c’è di più: chi ha detto che il licenziamento del singolo non comporti un vantaggio per la collettività, magari evitando provvedimenti più gravi in seguito a carico di un numero maggiore di lavoratori? “Compete al legislatore sancire se il fine sociale cui può essere coordinata o indirizzata l’attività eco? nomica anche privata, nella scelta tra una più efficiente gestione aziendale ed il sacrificio di una singola posizione lavorativa, debba necessariamente seguire la strada di inibire il licenziamento individuale, fermo restando che chi legifera può diversamente ritenere che l’interesse collettivo dell’occupazione possa essere meglio perseguito salvaguardando la capacità gestionale delle imprese di far fronte alla concorrenza nei mercati e che il beneficio attuale per un lavoratore a detrimento dell’efficienza produttiva possa piuttosto tradursi in un pregiudizio futuro per un numero maggiore di essi. Non spetta al giudice gravare l’impresa di costi impropri o non dovuti, quando piuttosto la Costituzione investe i poteri pubblici del compito di perseguire l’interesse collettivo dell’occupazione che la prospettiva individuale della difesa del singolo rapporto di lavoro potrebbe anche pregiudicare.”

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