(tratto da “GSA Igiene Urbana” n.2, Aprile-Giugno 2010)
Con l’arredo urbano si possono costruire nuovi spazi ma anche rovinare quelli che ci sono. L’attenzione non dipende solo dalla scelta dei manufatti ma dalla loro collocazione.
Arredo che disfa
Chi guida un auto, generalmente nota meno cose della propria città: ha la radio accesa, le auto davanti, le auto dietro. Il semaforo da tenere d’occhio quando è fermo e la velocità che impedisce una buona percezione quando è in movimento. L’unica cosa che nota con piacere un automobilista è il parcheggio libero. Ma prima o poi tutti scendono dall’auto e si trovano davanti una città diversa. Una città che cominciano a percepire con occhi più attenti. Teoricamente questa dovrebbe essere pensata proprio per gente che cammina, visto che l’auto rappresenta solo una recente parentesi nella lunga storia dell’urbanistica, sebbene sia divenuta preponderante nelle sue manifestazioni. Se poi si considera che ci sono parti della città che si girano solo a piedi, dobbiamo ritornare a pensare con un passo più lento. Per questo abbiamo provato a riprendere ciò che succede a chi va a piedi.
La città cambia, ogni visione acquista più importanza, ogni angolo si arricchisce di nuovi dettagli.
E non sono sempre belli. Quello che sorprende maggiormente è vedere come gli elementi, che ci immaginiamo e ricordiamo come belli e preziosi, sono deturpati da una serie di ostacoli visivi.
Ne presentiamo una serie, raccolti in pochi chilometri, per dimostrare che la ricerca non è tendenziosa e accurata: è la realtà che ci riserva troppe sorprese amare.
Queste considerazioni sono il punto di partenza per una serie di riflessioni. Se l’arredo è un accessorio, si sottintende l’importanza dell’elemento principale. In questo caso la città, con la sua struttura urbana, l’architettura, le infrastrutture. Quando gli elementi accessori non contribuiscono alla bellezza, ma la sminuiscono, allora tutto il quadro ne risente.
Liberarsi dai segni della tecnologia
Se le dotazioni tecniche che servono per migliorare la qualità della vita si vedessero numerose in ogni strada come da noi, il mondo sarebbe pieno di colonnine dell’ENEL, contatori del gas, centraline di rilevamento, cabine del telefono di tutti i tipi, e così via. Visto che questo non accade e le città del nord Europa sono completamente sgombre da simili orpelli, significa che un sistema alternativo al nostro ci deve essere. Noi invece rimaniamo schiavi degli uffici tecnici che ci ripetono: questo ci vuole, quello deve stare li, non ci sono alternative. Dicono loro.
Se l’illuminazione non è sufficiente, si aggiungono lampioni. Ogni sistema viaggia per conto proprio, possibilmente in bella evidenza ai passanti. Forse si può anche cambiare sistema di illuminazione ed evitare come sempre che un elemento sia dedicato esclusivamente a una sola funzione: luce ai pedoni coi pali, luce alle macchine colle lampade sospese. Forse è troppo difficile. No, non mi riferisco alla risoluzione del problema, intendo: mettere tutti d’accordo.
Oppure la verità è un’altra e probabilmente le città tedesche vivono al freddo, al buio.
Didascalia A
Oggetti utili, ma messi male. Esempi di orrori assurdi ci farebbero sorridere, ma distoglierebbero l’attenzione dalle migliaia di brutture quotidiane che siamo costretti a subire. Se riconoscere il bello dipende spesso da una abilità sviluppata con una preparazione specifica, non vedere le brutture diventa un sistema per preservarci la sopravvivenza. Le foto si riferiscono a una breve passeggiata nel centro di Milano e raccontano di come gli oggetti messi a caso riescono a rovinare qualsiasi luogo. Se pensiamo che ogni nuova tecnologia, dotazione o sevizio lascia un segno visibile nella superficie della città, allora non dobbiamo stupirci se oggi siamo a questo triste punto. Arredo e accessori che rovinano monumenti e piazze, occupano spazi importanti, ma non riescono a risolvere più problemi di quelli che generano. A volte senza ragione: quale la necessità di un cestino in un punto focale del parco, perché cinque cartelli e tre pali sulla porta storica, perché disseminare elementi sui marciapiedi, senza porre attenzione all’architettura, alla funzionalità, all’accessibilità.
Didascalia B
Elementi ridondanti che appesantiscono l’ambito urbano. Rumori e odori non possono essere illustrati, ma le ridondanze visive si. Per questo elementi che non sono indispensabili o sono sovradimensionati, devono essere considerati dannosi. Per esempio, la dimensione di certi cartelli finisce per essere invasiva e nuocere all’informazione stessa. La lotta a chi ce l’ha più grande, è sempre aperta, ma nessuno ne esce vincitore.
Segni vicini a noi: qualità e carattere
La qualità dell’arredo di una città non si vede dalle grandi opere, ma dalla cultura, dalle attenzioni, dalla sensibilità della gente e di una città. La stratificazione delle opere e delle infrastrutture, l’assimilazione delle architetture da parte del tessuto urbano, a volte mostrano una storia diversa rispetto alla stratificazione dell’arredo. Questo può essere una pelle, che muta e si rinnova. Mentre la struttura deriva la propria presenza da lunghi processi di decisione e a volte di consenso allargato, per l’arredo la strada è più veloce e può rappresentare l’espressione momentanea di uno stato d’animo, di una tendenza, di una moda. Ma anche molto più semplicemente ad esaudire una esigenza di breve durata, come può esserlo la visita di un dignitario o di una autorità. Alcune città hanno dimostrato una grande capacità a rigenerare il proprio aspetto, partendo dagli elementi più fragili o più soggetti a capricci o a urgenze.
Questo fatto è simile a quello che succede in una residenza: alcuni elementi di arredo sono mutevoli perché deperibili, provvisori, non facenti parte della struttura. Nella casa l’arredo si cambia senza stravolgere l’aspetto strutturale e la configurazione esterna, i volumi e gli accessi.
L’arredo ti accompagna da vicino. Ti consiglia dove fermarti, cosa osservare. Senza cartelli segnaletici ti aiuta a decidere che strada prendere. L’Arredo interpreta lo spazio. Crea sapori, colori, movimenti. Piccoli elementi che diventano fatti salienti. Gli Archi della Marina di Catania sono il punto di riferimento per la Città. Non per la ferrovia che li ha creati, ma per la forma, il ruolo catalizzatore e l’esperienza percettiva che lasciano. Eppure nessuno saprebbe dirti come sono fatti, di che colore, dimensione, consistenza. Sono solo un fatto emotivo, eppure non li ho mai fotografati, pur avendo scattato centinaia di foto a Catania. Le vie si assomigliano tutte, le chiese anche. Ma se dobbiamo scoprire qualcosa di caratteristico dobbiamo guardare quello che non ha confronti.
Didascalia C
Qualità e carattere: una serie di foto che fa piacere pubblicare. Elementi urbani che testimoniano la volontà di trattare bene il posto in cui si vive. Sia da parte dei cittadini che delle amministrazioni locali.
Dal paesino svizzero ai famosi chioschi di Catania, ogni luogo può beneficiare di un arredo ben fatto e coerente con la propria tradizione.
Segni fugaci
Piccole opere quotidiane determinano il livello complessivo dell’arredo e l’immagine di un posto. Probabilmente, se fossero prese e spostate, perderebbero il proprio valore culturale e storico. La presenza di un mercato, di una fila di chioschi, un assembramento di gente, una fila di transenne. Elementi provvisori che ci danno l’immagine di un posto.
Elementi che sono negativi o positivi a secondo di come si pongono in relazione al contesto e alla attenzione che la gente gli da. Sono elementi positivi se propongono una soluzione attenta e ponderata, se fanno esperienza, se migliorano con gli anni, se correggono gli errori, se si accorgono di essere un elemento urbano, se ritengono di essere importanti.
Sono elementi negativi se fanno finta di non esserci, se negano altre presenze importanti, se competono, se non sono coerenti con il disegno generale, se sono affidati al caso e anche se si manifestano in occasioni ripetute non fanno nulla per costruire un’esperienza.
Per lunghissimi anni il Duomo di Milano è stato chiuso dai tralicci delle impalcature erette per il restauro. Per milioni di visitatori, di abitanti di turisti e fotografi è stata l’unica condizione in cui l’hanno visto. Milioni di persone se ne fregano se una cosa è provvisoria: per loro è disponibile solo quel momento ed avrebbero voglia di essere gratificati da qualcosa di meglio.
Gestire il provvisorio non è facile, ma bisogna farlo soprattutto nelle parti strategiche di una città. Quelle che servono a rendere l’identità di un posto, quelle che si ancorano nella memoria della gente e contribuiscono a costruire il carattere di un posto.
Le bancarelle lungo la Senna non si possono dissociare dal paesaggio di quel luogo. Le loro dimensioni, i materiali e l’ingegno delle piccole soluzioni tutte diverse ed ugualmente efficienti, sono parte dell’esperienza sensoriale di un luogo. Diventano per molti il fulcro delle osservazioni e dei pensieri. Come lo sono per i bambini i venditori di palloncini o di mangime per i piccioni.
Didascalia D
Gestire il temporaneo. Non possiamo immaginare le nostre città senza trasformazioni. I cantieri urbani occupano molte aree e per lunghi periodi. A volte si raggiungono record di 60 anni, come questo cantiere in cui si è sviluppata una pianta monumentale. Le opere provvisorie possono però avere lo stesso garbo di un opera definitiva, come il cantiere Armani in via Manzoni a Milano o questo muro provvisorio in Svizzera.
L’arredo da presenza discreta e temporanea può divenire interprete di un tempo che da provvisorio si trasforma in definitivo. Alcune Piazze hanno assimilato abitudini e tradizioni facendole diventare struttura della città. Il Mercato di Piazza delle Erbe a Verona ne è un esempio famoso.
Costruzioni d’arredo
Barcellona ha inviato un messaggio preciso. La città vive dello spazio pubblico, questo deve essere curato con attenzione perché è la faccia della città. Ma non solo apparenza, anche sostanza. La consistenza della città intorno, la presenza di spazi dedicati alla gente e i luoghi di tutti i giorni, devono essere intesi come l’essenza stessa della città e quindi pensati per ospitare e non per respingere. Per accogliere e per soddisfare. In questo modo la città rende un grande beneficio all’iniziativa privata, offrendo numerose opportunità alle attività che diventano complementari agli spazi pubblici. Infatti si sono moltiplicati all’interno della città, ma anche sui bordi meglio collegati, una serie di locali, centri di commercio, cultura e spettacolo. La città stessa è diventata uno spettacolo quotidiano, proprio nei punti che rimanevano più svantaggiati da una posizione marginale.
Non certo un operazione di maquillage, ma una vera e propria rivoluzione urbana, che ha avuto nella sua parte esteriore uno dei punti più evidenti del cambiamento. Un modo per dire a chiunque della trasformazione e fare in modo che la apprezzasse e ne godesse i benefici. Sembra una banalità, ma se si va a vedere cosa hanno saputo fare le altre città nel frattempo, ci si rende conto della portata di questa esperienza.
La movida, tipicamente spagnola, è la vita della città. Vivere nei locali ma anche fuori, nelle ramblas, nelle piazze. Elementi di cui Barcellona è sempre stata dotata, ma dei quali a un certo punto non è più stata convinta. Il nuovo corso della città ha fatto nascere modelli che interpretano lo spazio, lo definiscono, aiutano ad ampliarlo e a viverlo.
Costruire il cielo
Sembra un controsenso ma non lo è. Uno dei modelli rilanciati da Barcellona è stata la costruzione di nuovi spazi che si definiscono aperti, ma rinunciano proprio ai suoi ingredienti principali che sono il cielo e il sole. Un ribaltamento del concetto: facciamo la sera uguale al giorno.
Una cosa fa pensare: se il calore della giornata estiva fosse la ragione principale dell’origine di tante strutture a pergolato, come mai nell’intero mediterraneo questo elemento è così estraneo alla scena urbana? Le città della Sicilia, della Puglia, i paesi della Liguria, della Costa Azzurra, e le città della Grecia. Dove vivono di giorno, all’ombra delle esili palme?
La sera ma non solo. Per il giorno, ci vogliono altri spazi, altri strumenti, altri arredi. La diffusione dei pergolati in città non era mai stata così massiccia. Il pergolato è una struttura che fa architettura, a volte crea spazi, pone i limiti allo spazio.
È così esotico per noi, che spesso non rientra neppure nei cataloghi dei prodotti di arredo. Entrano le pensiline, i chioschi, le bandiere, ma non i pergolati. Stranezze di noi italiani.
Alcune città ritengono il pergolato un elemento troppo frivolo e da giardino. poco adatto a interpretare il senso di civitas. Invece è un elemento che deve far riflettere. Se lo usano al nord, che sappiamo avere meno sole, perché si usa così poco nelle nostre città?
Dal punto di vista compositivo, il pergolo rende una parete di riferimento. Negli spazi ampi, dove la città si dirada e tende ad annacquarsi in qualcosa di meno definito, un pergolo, soprattutto se di grande dimensione, ridà allo spazio quel sapore di città.
L’attenzione al comfort personale, è la cosa più gradita dalla gente. Ci si accorge se qualcuno ha pensato a noi mentre percorriamo a piedi un chilometro sotto il sole. Mentre aspettiamo i mezzi pubblici, quando siamo seduti su una panchina.
Città Nuove
L’arredo asseconda, sviluppa, ha l’ultima parola in merito all’espressione urbana. Quando la città si veste a festa, non sposta la cattedrale, ma addobba le piazze e le vie. Cambia vestito. Stende passerelle rosse e alza le luci. Detto così potrebbe sembrare la descrizione di una nuova pista ciclabile, invece ci siamo capiti benissimo: la ciclabile non è festosa.
Quando parlo di arredo molto spesso mi riferisco alla città storica. Quella dove si consolidano le esperienze, si confrontano, si studiano. Purtroppo questo tipo di città non si fa più e quindi molti concetti di arredo sarebbero da rivedere. L’arredo è funzione della città. Quindi cambiare città significa anche cambiare arredo. Un nucleo concentrato e denso pone problemi completamente diversi da agglomerati sparsi e senza punti di riferimento. Confrontarsi con la cultura del luogo è molto diverso dal crearne una nuova, senza avere appigli. La comunità religiosa e quella civile hanno creato i propri punti di riferimento, per secoli accettati e condivisi come spazi di tutti. Per non doversi misurare fra loro, questi spazi spesso confluiscono e si fondono.
Ora le nostre città nascono da modelli diversi, attente ai sistemi di trasporto e alla grande distribuzione. Arredare queste città è cosa diversa. Occorre trovare motivi, valori, ecc.
È certo che a questo non può provvedere l’arredo, come qualche volta capita di vedere. L’arredo non è surrogato del senso del luogo. Non può svolgere un ruolo diverso da quello a cui è destinato. Altrimenti si chiama in altro modo. Uno spazio vuoto, con panchine, alberi e pavimentazione non è per forza una piazza. L’arredo non si può sostituire alla struttura, all’architettura, non può essere il paesaggio urbano. Ma certamente può contribuire a migliorarlo.
Il nuovo modo di fare città ci coglie impreparati. Sappiamo cosa ci lasciamo dietro, ma non abbiamo bene presente cosa stiamo andando a definire per il nostro futuro. I costruttori una volta facevano palazzi, secondo un piano urbano; ora fanno città e non hanno altri punti di riferimento se non gli standard. Questo loro ruolo deve preoccupare tutti. È una delega che non può essere affidata così liberamente. È così che scivoliamo dal fare città al più superficiale concetto di arredare una città.
Fare città nuove significa anche avere maggiori possibilità di spazi e di tecniche. Ma tutto si annulla se il concetto su cui nasce non comprende il suo sviluppo futuro. Per quello che sarà e che oggi non sappiamo. Aperto disponibile. Preparato. Deve creare una struttura di riferimento e non saturare lo spazio con concetti e modi che fra breve saranno sorpassati.
Il nuovo è da gestire non da vestire.
Didascalia E
Costruire con l’arredo. Monaco di Baviera, le panche costruiscono lo spazio dei giardini, spingendosi ben oltre alla loro funzione originaria di seduta. A Barcellona, un filare di pioppi crea una barriera vegetale chiudendo un cortile residenziale.
Una corretta interpretazione del concetto di permanenza della struttura e temporaneità dell’arredo a Magenta. La pianta è per sempre, la panca no. La pianta non è arredo, ma fa parte della struttura della piazza; le sedute, per quanto pesanti e massicce, sono mobili e possono adattarsi a diverse esigenze future.
Altre immagini dimostrano come sia difficile a volte separare la funzione dell’arredo con quella della costruzione dello spazio pubblico.
Didascalia F
Il pergolo di arredo. Una breve carrellata sulla grande varietà di pergolati che arredano Barcellona. La foto con gli alberi è invece scattata a Milano e dimostra come l’influenza di questo elemento sia arrivata velocemente sino a noi.
Conclusioni
Demostene si pone un quesito nel dialogo contro Afobo: l’uomo può dirsi felice se, pur avendo condotto una bella vita, fa una brutta fine? La fine è la chiave di lettura del tutto. La morte in questo caso è figurata, intesa come compimento, conclusione, risultato finale, quadro d’insieme. La città si caratterizza per il suo insieme e non per i suoi dettagli. Quindi è al quadro finale che bisogna mirare.
L’arredo è spesso la somma delle molteplici azioni di tanti operatori, decisori, progettisti, cittadini. Più raramente il frutto di una sola decisione. Questa procedura smentirebbe la complessità della macchina urbana, che può vivere solo se è alimentata da molteplici azioni.
Per questa ragione, non ne risulta sempre un quadro unitario ed armonico. Non è mai un caso se ciò dovesse risultare. Aggiustamenti continui, interventi, aggiunte, servono proprio per armonizzare un ambito che di per sé tenderebbe al caos più completo.
Quando il quadro non è armonico occorre cercare di capire dove sono le incongruenze. Comprendere se è opportuno, corretto, tempestivo intervenire. Con quali strumenti, con quali tempi e con quali modalità.
Abbiamo degli esempi notevoli di siti ben sistemati. Come potremmo avvalerci dei risultati conseguiti. Possiamo mutuare l’esperienza, possiamo copiare gli elementi, possiamo importare i fautori? Non è detto. Nessuna formula ci aiuterà a risolvere il problema con certezza.
Le cose cambiamo talmente in fretta che c’è anche da chiedersi quale sia il momento migliore per avviare una trasformazione. Potrebbe anche trattarsi di un periodo troppo movimentato e frenetico per giustificare un intervento. È come fare la spesa quando si ha fame, che si finisce per comprare più roba di quella che serve. Ci vuole anche il tempo per capire quello che sta succedendo intorno e decidere se intervenire o meno.
Soprattutto in termini di priorità. Le cose da fare sarebbero sempre tantissime, ma non si sa mai da dove cominciare. Arredare una città è soprattutto una questione di metodo e di ordine. Bisogna capire cosa è indispensabile e di cosa invece si può fare a meno. Come sempre la scelta deve legarsi ad una rinuncia. Chi non è disposto a questo, non cominci neppure.
Abbiamo visto nel numero precedente che arredare in molti casi è togliere, fare spazio. Godere di quello a cui si può rinunciare. Che non sempre significa togliere del tutto: più spesso intende semplificare, accorpare, nascondere, dissimulare. Gestire con lungimiranza.
Oggi queste azioni fanno parte della concezione di bellezza di una città, come di molte altre cose.
Architettura, forma urbana, edilizia, infrastrutture, già forniscono vincoli notevoli. Se da questi elementi non scaturisce bellezza, è difficile risolverla con l’arredo. Anche se non impossibile.
Paolo Villa, Laura Caluzzi