Ricostruiamo sinteticamente i fatti: un lavoratore con più di 30 anni di esperienza, assunto da appena due giorni da una società edile, cade dalla scala a mano inaccortamente posata su un terreno sconnesso durante lavori di banchinaggio e resta gravemente infortunato.
Il responsabile viene condannato nei primi due gradi di giudizio, in quanto non aveva adeguatamente formato ed informato il lavoratore, carpentiere dedito all’armatura del primo solaio di una palazzina in costruzione, sul corretto utilizzo di una scala durante i lavori di banchinaggio; sicché detto lavoratore, utilizzando la scala senza nessun ancoraggio e su terreno sconnesso e scivoloso, cadeva dall’altezza di m 2,50, riportando lesioni che ne determinavano la incapacità alle ordinarie occupazioni per oltre quaranta giorni.
Il responsabile si rivolge dunque alla Cassazione facendo valere in sostanza, oltre all’incerta dinamica dell’evento, il fatto che:
– Nella ditta era stato nominato un geometra come Rspp;
– L’esperienza del lavoratore era tale da non far pensare alla necessità di formazione e informazione su un compito tanto elementare come l’uso di una scala.
La Cassazione però ha ribadito la condanna per violazione degli articoli 36 e 37 del D.Lgs 81/08 (già 21 e 22 della 626/94): per i giudici della Suprema corte, infatti, la circostanza dei 30 anni di esperienza non esime il datore dagli obblighi di formazione e informazione, che devono essere contestuali all’assunzione, relativi alla specificità del contesto di lavoro e delle specifiche mansioni. Inoltre, secondo la Cassazione, la persona offesa, presa dalla routine del lavoro e da un eccesso di sicurezza, abbia utilizzato la scala senza un ancoraggio, non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento. Insomma, il datore può considerarsi “salvo” solo se nel comportamento del lavoratore sono ravvisabili connotati di eccezionalità o anormalità (criteri peraltro assai discrezionali).
Ma ancora più interessante e preoccupante, se vista dall’impresa, è la parte della sentenza che respinge l’argomentazione Rspp, perché è proprio questa che non farà dormire alle imprese sonni tranquilli. In pratica si stabilisce che anche la regolare nomina dell’Rspp, e anche una sua delega con tutti i crismi, compresi la registrazione notarile dell’atto di delega, lo svolgimento di fatto dei compiti previsti e l’autonomia di spesa non esime il datore dagli obblighi di vigilanza e di controllo gravanti su di lui. Tali obblighi, infatti, “non vengono meno con la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell’individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti” (a tale proposito è richiamata la sentenza di Cassazione n. 50605/2013). In pratica il datore deve vigiliare e controllare l’uso che l’Rspp fa della propria delega. Nel caso in oggetto, in aggiunta, agli atti del processo e alla visione dell’organigramma aziendale non è risultata nessuna delega e nessun documento attestante la nomina dell’Rspp indicato. Ma questa, semmai, è solo un’aggravante.
Insomma, attenzione. Questa sentenza suggerisce due cose.
La prima è di non dare mai nulla per scontato: anche il lavoratore più esperto e affidabile può peccare di disattenzione, superficialità o magari semplicemente eccesso di sicurezza. Il datore dunque deve chiudere perfettamente la filiera della sicurezza, testimoniandone ogni passaggio.
La seconda, però, è che anche quando tutto è fatto a norma di legge e con tutti i crismi, spesso non basta. E se da un lato è giusto tutelare in ogni modo la sicurezza sui luoghi di lavoro, dall’altro non si può non pensare che uscirne indenni è sempre più difficile, per non dire impossibile. Come dimostrano le ultime interpretazioni giurisprudenziali.