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L’attuazione italiana della direttiva europea contro i ritardi nei pagamenti

di Riccardo Viriglio*

1. Il 15 novembre 2012 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192 (vedi link) con cui lo Stato italiano attua la direttiva europea 16 febbraio 2011, n. 7 per la lotta contro i ritardi nei pagamenti (vedi link)

L’Italia è il primo “grande” paese europeo ad attuare la direttiva; finora solo Cekia, Cipro e Romania avevano comunicato all’Unione europea le proprie misure d’attuazione (vedi link)

Il nuovo decreto legislativo contiene modificazioni puntuali al precedente decreto 9 ottobre 2002, n. 231 il quale per il resto rimane in vigore, con tecnica legislativa diversa da quella europea ove la direttiva è un atto normativo di cd. rifusione (“refonte”) il quale dunque si sostituisce integralmente alla vecchia direttiva (29 giugno 2000, n. 35) abrogandola.

2. La nuova direttiva europea non rivoluziona, ma precisa e rafforza la disciplina vigente.

Anche il nuovo decreto italiano precisa le regole già vigenti sui termini di pagamento, perché anzitutto scandisce diversamente il momento di decorrenza del termine caso per caso, con durata del termine sempre pari a 30 giorni. Si ammettono deroghe consensuali per i contratti fra imprese (quindi termini di durata superiori a 30 e anche a 60 giorni) purché non gravemente inique per il creditore. Per i contratti fra imprese e p.a. s’ammettono – a determinate condizioni – deroghe oltre i 30 giorni e fino a 60 giorni, non oltre, poiché «in ogni caso» i termini di pagamento non possono superare i 60 giorni (nuovo art. 4, co. 1°-4°, d.lgs. n. 231 del 2002).

Esce così rafforzata l’idea di un’imperatività delle norme sui pagamenti per le p.a. (cfr. già Cons. Stato, sez. V, 1 aprile 2010, n. 1885) e si esclude – o quanto meno si limita – la deroga consensuale (pure ammessa da quella stessa giurisprudenza, che vietava unicamente la deroga «unilaterale e autoritativa» da parte della p.a.).

D’altronde, si pone una definizione – molto ampia – di pubbliche amministrazioni soggette alle regole sui pagamenti (nuovo art. 1, co. 1°, lett. b, d.lgs. n. 231 del 2002).

La durata del termine è invece raddoppiata ex lege (dunque 60 giorni) per i pagamenti delle imprese pubbliche e degli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria, tuttavia senza possibilità di ulteriore deroga in aumento (nuovo art. 4, co. 5°, d.lgs. n. 231 del 2002).

Per tutti i contratti (fra imprese, fra imprese e p.a.) si pongono norme sui tempi per l’accertamento di conformità delle merci o dei servizi prima del pagamento e si riconosce la possibilità di concordare pagamenti a rate, con disposizioni che non dovrebbero prestarsi a prassi o clausole contrattuali elusive e che dunque sarà necessario interpretare restrittivamente (nuovo art. 4, co. 6°-7°, d.lgs. n. 231 del 2002).

Contro le pratiche dilatorie dei creditori, resta irrilevante per il decorso del termine la pretesa di integrazioni o modifiche solo «formali» alla fattura o richiesta equivalente di pagamento (nuovo art. 4, co. 2°, lett. a, d.lgs. n. 231 del 2002, con disposizione che – forse per un errore di drafting – non è stata collocata in un comma a parte). Si sanzionano con la nullità le clausole riguardanti «la predeterminazione o la modifica della data di ricevimento della fattura» (nuovo art. 7, co. 5°, d.lgs. n. 231 del 2002), ma solo per i contratti fra imprese e p.a., benché il fenomeno si osservi anche per i contratti fra imprese.

Per gli interessi legali di mora vale il tasso di riferimento con una maggiorazione che passa da 7 punti percentuali a 8, fermo il diverso accordo che però vale solo per i contratti fra imprese (salva la grave iniquità), non per quelli fra imprese e p.a., con maggior rigore rispetto al passato (nuovi artt. 5, co. 1°, e 1, co. 1°, lett. e, d.lgs. n. 231 del 2002).

Si sono tenuti in conto non solo i costi per il recupero del credito affidato a terzi (come già nelle disposizioni vigenti), ma anche dei diversi costi cd. amministrativi o interni, indicati dalla direttiva (Considerato n. 19), causati all’organizzazione d’impresa dal fatto stesso di non aver ricevuto il pagamento nel termine (si pensi ad es. alle risorse e al tempo dedicato a sollecitare il proprio debitore): oltre «al rimborso dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrisposte», è previsto comunque un importo forfettario «a titolo di risarcimento del danno» pari a euro 40 (somma in sé risibile), salva però «la prova del maggior danno» (nuovo art. 6, d.lgs. n. 231 del 2002).

La disciplina sulle nullità delle clausole contrattuali è ridefinita e rafforzata (nuovo art. 7°, d.lgs. n. 231 del 2002), anche con presunzioni non superabili (sono sempre gravemente inique e nulle le clausole che escludono gli interessi di mora, senza possibilità di prova contraria (co. 3°), fermo restando che la grave iniquità e la nullità s’affermano per le clausole «a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto» (co. 1°), con precisazione che pare riferirsi soprattutto ai contratti affidati dalle p.a. con gara, i quali hanno il proprio antecedente nel bando o comunque negli atti di gara che – se difformi dalle nuove regole – sono da considerarsi essi stessi illegittimi.

Infine, le nuove regole si applicheranno alle transazioni commerciali a decorrere dal 1° gennaio 2013 (cfr. art. 3, d.lgs. n. 192 del 2012), dunque in anticipo rispetto al termine del 16 marzo 2013 indicato nella direttiva (artt. 12, co. 4°, e 13, co. 1°).

3. Nel nuovo decreto non è precisato espressamente che le nuove regole debbano applicarsi anche all’esecuzione di lavori, in particolare pubblici (nuovo art. 2, co. 1°, lett. a, d.lgs. n. 231 del 2002). Quindi spetterà di volta in volta alle pubbliche amministrazioni (e in definitiva al giudice) il coordinamento di tali regole con quelle speciali sui lavori pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163; d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 207). D’altronde, secondo la direttiva (Considerato n. 11), «la fornitura di merci e la prestazione di servizi dietro corrispettivo a cui si applica la presente direttiva dovrebbero anche includere la progettazione e l’esecuzione di opere e edifici pubblici, nonché i lavori di ingegneria civile»: l’ambiguità sta tutta nel verbo “dovere” al condizionale e nell’incertezza sul soggetto (gli organi politici o i giudici degli Stati membri?), né d’altronde aiutano i testi della direttiva in inglese e francese («should also include»; «il convient d’inclure également»).

Manca inoltre l’attuazione di uno dei due principi e criteri direttivi posti dalla legge di delegazione, la quale richiedeva di prevedere anche che «l’Autorità garante della concorrenza e del mercato possa procedere ad indagini e intervenire in prima istanza con diffide e irrogare sanzioni relativamente a comportamenti illeciti messi in atto da grandi imprese». La mancanza (o – se si vuole – l’attuazione parziale della delega) non dovrebbe determinare illegittimità costituzionale delle disposizioni contenute nel decreto legislativo (cfr. Corte Cost. n. 41/1975; n. 8/1977); al più potrebbe costituire per il Governo un problema politico (di giustificazione) verso il Parlamento e l’opinione pubblica che però oggi è improbabile si ponga.

Manca infine ogni disposizione per garantire «trasparenza e sensibilizzazione» sulla «questione cruciale dei ritardi di pagamento» e quindi per «sviluppare una cultura di pagamento rapido» (cfr. Considerato n. 3 e art. 8, direttiva).

Forse è un bene, forse è un male, forse è irrilevante quest’ultima mancanza. Certo è che la speranza (di questo in fondo si tratta) diviene che ogni articolazione della Repubblica italiana compia un futuro, ulteriore sforzo per adottare norme e soprattutto misure d’organizzazione utili ad affermare (fra le p.a. e le stesse imprese) quella cultura del pagamento rapido, per cui i ritardi nei pagamenti – prima che giuridicamente illeciti – siano percepiti come eticamente errati, anche in una prospettiva utilitaristica.

*Avvocato di diritto amministrativo a Torino, ha anche insegnato e lavorato in Università con ricerche di diritto costituzionale su forma di governo, fonti del diritto e tecniche legislative. riccardo.viriglio@musybiancoassociati.it

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