(Tratto da GSA igiene urbana n.2,aprile giugno 2012)
La bici ha un carattere dai toni bassi, si guida in silenzio, non fa fumo. Non c’è aggressività, non c’è violenza, non c’è bisogno di chiedere molto di più delle regole che ci sono già. Basta farle rispettare.
La bicicletta sta iniziando una nuova vita perché rappresenta un’alternativa economica, salubre e immediatamente praticabile alla congestione e all’inquinamento che la mobilità automobilistica comporta per le città.
Parigi respira
Il motto delle rivoluzione a due ruote della capitale francese è “Parigi respira”. Scopo dell’iniziativa è portare la città ai livelli olandesi, tedeschi e danesi in fatto di ciclabilità urbana e di vivibilità. Il primo risultato positivo in tre anni, è stato l’abbassamento del livello di inquinamento, la diminuzione del traffico di 5-10%, secondo la stagione. Lo strumento principale è stata la dotazione di 20.000 biciclette e 1.450 stazioni (bike sharing), collocate dal centro fino alla periferia. A fronte di 200.000 utenti del servizio, si sta studiando un piano per diminuire gradualmente la circolazione delle auto nei distretti più centrali.
Le dotazioni urbane si adeguano allo stesso obiettivo. Il traffico ciclistico può usufruire delle zone 30 e avere sempre la precedenza come i pedoni e il libero scorrimento contromano (è provato essere molto meno pericoloso di quanto possa sembrare). Sono previsto ulteriori dispositivi di rallentamento, soprattutto agli incroci.
New York, si cambia?
Segnali di cambiamento ci arrivano da tutto il mondo. Fra le città che si stanno convertendo alla bicicletta, anche quelle che non hanno mai avuto un feeling con le due ruote, come le città americane in genere e NY in particolare.
Le nuove disposizioni propongono una città diversa, ciclabilizzata pesantemente, con un sistema originale e caratteristico. Solo piste sul lato sinistro della corsia, per non intralciare i bus, solo sulle ampie avenue, per non intasare le piccole street.
Sembra strano, ma anche l’inquinatissima e distratta New York sembra sia stata convinta dalle due ruote. Su sollecitazione di molti cittadini esasperati dal traffico e dallo smog, la città ha varato un piano per la creazione di 240 km di piste ciclabili. Non tutti sono d’accordo, ovviamente, perché lo spazio è stato sottratto alle auto e queste sono abituate a farla da padrone, causando 46.000 incidenti all’anno ai danni di biciclette. Altri residenti sono contrari alle corsie preferenziali, perché sostengono che i ciclisti vanno troppo veloci, mettendo a rischio i pedoni che stanno per attraversare la strada. Così il compromesso: la corsia preferenziale avrà i dossi di rallentamento per i ciclisti e la colorazione verde.
Il bike sharing, ha fortissimi incentivi comunali proprio per combattere i livelli intollerabili dello smog. Ma gli sforzi sono doverosi in una città dove è impossibile parcheggiare l’auto senza impegnare lo stipendio.
Piacenza: buone pratiche e indicazioni
Piacenza è una città in zona bicicletta. Qui si possono anticipare alcune condizioni che nascono dal rapporto tra un uso intenso della bicicletta e la qualità del paesaggio urbano. La prima considerazione l’avevamo già segnalata nel numero precedente di questa rivista: non sempre l’aumento della ciclabilità corrisponde a un miglioramento del paesaggio urbano. A Piacenza, abbiamo visto come l’uso della bici in prossimità dei punti di scambio, in particolare la stazione ferroviaria, provochi congestioni. Il cattivo uso dei sistemi disponibili di parcheggio, le cattive abitudini di trascurare le regole, trasformano un sistema virtuoso in una modalità censurabile.
Piccoli rimedi per grandi trasformazioni culturali
Secondo gli obiettivi di Eugenio Galli di Ciclobby, per ottenere una ciclabilità sicura e diffusa, occorre fare della bici un gesto quotidiano e non eroico.
Ritengo che non serva attrezzare una città a misura di bici, ma sia indispensabile facilitarne l’uso. Non è un’inezia. Significa che la città non deve cambiare carattere per accettare la bicicletta. Deve solo fare in modo che questa non si senta un corpo estraneo, come per il resto degli altri sistemi di trasporto, che la bicicletta va ad integrare.
Fare una città a misura di bici invece significherebbe adeguare, rileggere ogni elemento per adattarlo alla bicicletta. Ma una città deve mantenere il più possibile la propria molteplicità, accettare tutti, ma guidare le scelte. L’uso della bicicletta non può essere esclusivamente un atto spontaneo, e in ogni caso non è sufficiente per migliorare da solo il paesaggio urbano. Il processo deve essere accompagnato da una serie di attività presso la popolazione e una serie di nuove regole. Fra queste certamente la limitazione della velocità delle automobili. Riducendo la velocità massima delle zone residenziali a 30 km/h o meno, si ottengono zone più sicure.
Altre zone saranno completamente libere da traffico: sensi unici, strade a fondo cieco con percorrenza limitata alle auto ma non alle bici, in modo che ne sia facilitata la scorrevolezza. Nessuna strada a scorrimento veloce passerà al centro delle città e sarà ridotto il numero dei parcheggi nei centro per i non residenti. In generale si potranno sostituire I parcheggi auto con parcheggio bici, soprattutto in prossimità dei sistemi di scambio bus-bike.
Evoluzione, non rivoluzione
Volevo intitolare questo articolo: rivoluzione a due ruote. Mi sono accorto che era ormai stato usato centinaia di volte per trattare questo tema. E poi, non è forse esagerato parlare di rivoluzione? Sarà vera rivoluzione se ci consentirà di cambiare anche il modo in cui viviamo e pensiamo, oltre a quello in cui ci spostiamo. Non basta il lancio di un nuovo modello di bicicletta, oppure la fondazione di una nuova comunità di appassionati, o il varo di una nuova forma di tempo libero.
Non si tratta di combattere una battaglia contro qualcosa. La bici ha un carattere dai toni bassi, si guida in silenzio, non fa fumo. Non c’è aggressività, non c’è violenza, non c’è bisogno di chiedere molto di più delle regole che ci sono già. Basta farle rispettare.
Per incentivare il trasporto pubblico o il privato leggero, sarebbe sufficiente fare rispettare il Codice della Strada. Non tollerare gli abusi, a partire dal parcheggio. Attualmente vengono commessi quotidianamente (di giorno e di notte) una quantità di abusi che se fossero sanzionati tutti, sanerebbero in pochi giorni le casse comunali. Per affrontare il problema, è inevitabile ridurre la presenza di auto.
Un cambiamento-rivoluzione che molti temono, perché pensano di perdere una serie di diritti e di libertà. In realtà se ne acquisterebbero delle nuove, ora semi-sconosciute.
Ma il sogno è più ambizioso. La ciclabile è una dotazione di cui la città deve prima dotarsi e poi disfarsi. Serve per evidenziare il fenomeno bici. Ma poi dovrebbe scomparire per favorire una maggiore vitalità dello spazio pubblico, che mantiene come riferimento principale il pedone. Prima o poi, nolenti o dolenti, tutti siamo pedoni. Sarebbe bello esserlo in un contesto rispettoso e disciplinato.
Il bike sharing è stato inventato nel 1989 da Pedro Kanof. Oggi Kanof avverte che il modello di condivisione delle biciclette potrebbe essere superato. Avendo però perso il brevetto, non può essere del tutto oggettivo sull’argomento. Secondo la sua teoria, la tendenza è verso l’acquisto della bici e non il nolo. Oggi i costi delle bici sono tutt’altro che proibitivi, mentre i costi di gestione sopportati dalle Amministrazioni cittadine sono altissimi (arrivano a pagare fino a 2.500 euro all’anno per il noleggio di ogni bici!). Il nuovo progetto di Pedro Kanof prevede un sistema di stazioni di sosta per lasciare le bici private, senza problemi “Per le bici, il futuro è il parcheggio in affitto”. Il successo dipenderà ancora una volta dal prezzo.
La bicicletta è di destra o di sinistra?
L’uso della bicicletta non si è sviluppata in Italia come nel resto d’Europa, pur avendo noi un clima migliore, un industria ciclistica di altissimo rilievo e una prevalenza di pianure. Vantiamo pure una invidiabile storia sportiva e abbiamo strade strette che si prestano moltissimo all’uso. Eppure dopo il boom economico la bici è stata relegata in cantina. Anche per ragioni politiche. Per chi ha idee di destra, la bicicletta è minimalista e quindi da attribuire sicuramente alla sinistra. A conferma di ciò, il larghissimo uso nelle zone rosse della pianura Padana. Inoltre la bicicletta si contrappone alla cultura conservatrice che ha adottato l’uso dell’automobile: quindi è un mezzo di protesta, ovvero di sinistra. Ma il discorso non è chiuso, perché la bicicletta è anche snob, non è vero che è alla portata di tutti ed è il primo passo per vantare una proprietà. Di fatto, nessun movimento studentesco, nessuna protesta di sinistra degli anni 60, 70 e 80 l’ha mai adottata o utilizzata. In buona sostanza, non era amata da nessuno e finì completamente dimenticata. (Per una strana coincidenza, ha vissuto la stessa scarsa considerazione del giardino privato: bicicletta e giardino, ignorati da tutti e da me entrambi amati, con l’amaro piacere di essere solo).
Oggi il problema è superato di slancio dalla presenza di decine di versioni di bicicletta. Le città sono colonizzate dal popolo variegato dei ciclisti. Suddivisi in gruppi o tribù diverse, non sono più omologabili in un unica massa. Spesso per i giovani, andare in bici significa appartenere ad un gruppo o seguire un pensiero specifico che si riconosce in modelli precisi, comportamenti, sport, modi di pensare. Cicloturismo, Scatto fisso, down hill, mountain bike, mkx, XC race, FR, ecc. L’effetto positivo di questa confusione è che chiunque può adottare una bici, basta scegliere quale.
Paolo Villa con il contributo di Laura Caluzzi